17. Esterno, notte

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Percorsero il tunnel in silenzio, sentirono freddo, poi freddissimo. Erano stanchi, ma sapevano entrambi che quella notte non avrebbero chiuso occhio per l'eccitazione.

L'anta dell'armadio era semichiusa in fondo al percorso. In pochi attimi si ritrovarono in quella disgustosa stanza puzzolente.

"Dalle stelle alle stalle..." provò a ridere Corrado. Non ci riuscì.

Beatrice recuperò la chiave della camera là dove Elias l'aveva lasciata e una volta usciti chiuse la porta, assicurandosi di averlo fatto a dovere. Quello era un segreto e doveva rimanere tale. Erano stravolti, si guardavano negli occhi, increduli e incapaci di parlare.

Scesero nella hall fatiscente, era tutto spento, non una luce, come se l'hotel fosse abbandonato da secoli.

Si avvicinarono al bancone cercando il piccolo omino che li aveva accolti ma non videro nessuno.

Il cassetto da cui aveva estratto la chiave era aperto.

"Non c'è nessuno qui" disse Beatrice.

"Andiamo via" rispose Corrado scrutando la sala buia.

"La chiave?"

"Per ora portiamola con noi, non mi fido a lasciarla qui" disse Corrado, infilandosela in tasca.

Uscirono fuori e la porta dell'albergo si richiuse bruscamente alle loro spalle con un rumore metallico.

Provarono a spingerla di nuovo ma era serrata, come se qualcuno avesse chiuso dall'interno.

Non ci fecero troppo caso, dopotutto nulla aveva avuto senso durante quel pomeriggio assurdo.

Fuori faceva un freddo cane ed era buio.

"E adesso?" chiese Corrado con un'espressione confusa, stranita, come se si fosse appena svegliato.

"Io non ci posso credere" rise Beatrice toccandosi le guance fredde con le mani.

"Ti rendi conto di cosa è successo oggi? Questa cosa ci cambierà la vita, io non so più chi sono, cosa voglio, non so più nulla. Io non so più nulla!" urlò Corrado con tutto il fiato che aveva in gola nel bel mezzo della via.

Beatrice scoppiò a ridere.

"Sei pazzo! Non fare casino!"

"Sai, credo che potrei impazzire davvero"

"Non chiuderò occhio stanotte"

"Non riuscirò mai più a chiudere occhio"

"Non avevi la cena con i Vanda-cosi?"

"Non me ne frega nulla"

Beatrice rise. Chi era quella specie di cavallo selvaggio imbizzarrito che aveva davanti? Che ne era del timido, pacato e riflessivo Corrado Garmigli?

"Dai, accompagnami alla bici" disse.

Poi afferrò il braccio di Corrado e affondò il viso nella manica del suo giubbotto.

Camminarono nel freddo per una decina di minuti finché non raggiunsero il sagrato dove gelida come il ghiaccio era legata la bicicletta di Beatrice.

Corrado ci saltò su.

"Salta su, guido io" disse facendo posto a Beatrice sulla canna del telaio.

"Sicuro di star bene?" rideva lei.

"Dopo stasera non sono più sicuro di niente".

Partirono barcollando e poi presero velocità, in giro non c'era nessuno, erano i padroni della città.

Sfrecciavano urlando tra le vie, sui marciapiedi, in preda all'euforia. Le poche persone che incontravano sul loro cammino si scansavano maledicendoli e credendoli ubriachi. Un pochino forse lo erano. Arrivarono trafelati a casa di Corrado, si fermarono poco prima del viale alberato, sotto la luce di un lampione.

"Grazie del passaggio" disse Beatrice afferrando la bicicletta.

"Figurati...".

Corrado fece qualche passo. Si strinse nelle spalle e abbassò lo sguardo.

"Sai, sono stato bene oggi. Intendo, lasciando stare tutta la follia e il fatto che abbiamo scoperto un mondo parallelo che sfida qualsiasi logica e qualsiasi legge fisica. Sono stato bene... con te, ecco" disse lasciando che la birra gli sciogliesse la lingua e il cuore. "Insomma in tre anni non avevamo quasi mai parlato, non so quasi nulla di te".

Era vero. Nemmeno lei sapeva nulla di lui.

Era sempre stato solo il secchione della classe, eppure c'era di più. Aveva visto molto di più dentro a quegli occhi chiari, dietro a quelle ciglia bionde.

Beatrice sorrise con un angolo della bocca.

"Già, nemmeno tu sei poi così male, per essere un secchione. E poi, il blu ti sta benissimo".

Scoppiarono a ridere ripensando a come si erano fatti agghindare da Zibone poche ore prima.

"Ora è meglio che vada, mia nonna sarà in pensiero"

"Già, certo sì. Anche i miei saranno preoccupati, mio padre avrà già chiamato la polizia... Ehi, è successo veramente? Non è che domani mattina ci sveglieremo e non ricorderemo nulla?"

"Credo di no, lo spero" rispose Beatrice allontanandosi dalla luce del lampione.

"Allora, a domani"

"A domani".

Domani, si chiedevano entrambi come sarebbe stato domani.

E nessuno dei due sembrava avere una risposta.

Beatrice saltò in sella alla bici e si allontanò nel buio mentre Corrado rimase immobile a guardarla andare via. Il freddo era pungente. Il suo cuore batteva forte. Si avviò verso l'ingresso di casa sapendo che avrebbe avuto bisogno di una scusa plausibile.

Beatrice pedalò per circa un chilometro poi imboccò la strada che portava verso casa, l'asfalto era illuminato dai lampioni e poteva vedere chiaramente la sua ombra che si stagliava in terra.

Solo in quel momento le tornò in mente il liquore d'ombra e le parole pronunciate da Galeno poche ore prima.

Trasalì e per poco non cadde a terra.

La sua ombra aveva delle enormi e svolazzanti ali di drago che le uscivano dalla schiena.

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