5. Via degli Orti Neri 13

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La fermata dell'autobus distava un centinaio di metri da casa, Corrado percorreva quel breve tragitto quasi tutti i giorni, senza troppo entusiasmo. Le case si susseguivano una dopo l'altra come ricche e grasse signore adagiate sulle loro poltrone, pronte a raccontarsi le ultime sul quartiere e sulla città.

Corrado raggiunse casa sua, l'ultima in fondo alla via al limitare del bosco. Elegante, bianca e spietata. Dominava tutte le altre da quando gli architetti strapagati e tenuti sapientemente al guinzaglio da sua madre Cecilia, l'avevano provvista di quel patio colonnato che aveva costretto tutti gli altri vicini ad accettare la sconfitta senza opporre resistenza, dichiarando la supremazia dei nuovi proprietari.

Corrado raggiunse il cancello d'ingresso e qualcuno aprì senza che lui avesse suonato al citofono.

Mise piede nel vialetto d'ingresso che attraversava il grande giardino. Osservò le siepi di ligustro geometricamente potate. Dovevano essere passati i giardinieri. Raggiunse poi l'invidiato patio e la porta di nuovo si aprì magicamente.

"Buongiorno Corrado".

"Ciao Evelina" ricambiò lui varcando la soglia di casa. C'era silenzio.

"Non c'è nessuno?" chiese togliendosi la giacca.

Evelina la prese e la ripose con cura nel guardaroba.

"Simone, in camera sua, in cucina c'è il pranzo"

"Grazie".

Si avviò verso la cucina.

Era affamato, ma già sapeva che non avrebbe tratto soddisfazione alcuna dal pranzo che lo attendeva. Sua madre Cecilia impartiva direttive precise riguardo l'alimentazione: dieta bilanciata, verdure sempre, carne bianca poca, molto pesce e legumi, legumi legumi. Frutta chiaramente.

Evelina eseguiva alla lettera, seguendo meticolosamente la tabella appesa al frigorifero. Era un'ottima cuoca per fortuna, mentre sua madre Cecilia a malapena sapeva preparare un tramezzino.

Corrado si sedette da solo in cucina, di fronte a lui perfettamente adagiate nei piatti: qualcosa che sembrava una vellutata di qualcos'altro, due fettine tristi con contorno di broccoli e carote al vapore. A far da guardia al piatto un panino perfettamente tondo, un bicchiere colmo d'acqua fresca, non fredda e un tovagliolo immacolato. Più in là sul ripiano della cucina, sull'attenti, pronta a scendere in campo, una macedonia senza zucchero.

Avrebbe ucciso per una pizza bisunta.

Divorò tutto in cinque minuti netti.

Non fece in tempo ad asciugarsi la bocca che Evelina tornò e sparecchiò la tavola.

Corrado si alzò e aprì la dispensa, prese una bella pagnotta fresca e la farcì con tutto ciò che riuscì a trovare in frigorifero, prosciutto, sottaceti, qualcosa che sembrava formaggio.

"Vado in camera mia, più tardi esco di nuovo" disse con la bocca piena.

"Va bene, la signora rientra nel tardo pomeriggio, si raccomanda per la cena di stasera" rispose Evelina, ma Corrado fece finta di non sentire.

La cena con i Vandapersi, coppia improbabile, amici dei suoi genitori da sempre, medico lui e farmacista lei. Si finiva sempre a parlare di ceppi batterici, terapie mirabolanti e ventricoli bucati. Egocentrici e pure noiosi, pensava Corrado.

Attraversò la sala da pranzo perfettamente in ordine e il salotto dove l'enorme dipinto sopra il caminetto richiamò la sua attenzione. Anche impegnandosi a fondo era impossibile evitarlo. Quelle orribili macchie blu e verdi che vorticavano in un mare arancione, mentre fili bianchi le legavano insieme tenendole vicine. Suo padre Vittorio Maria ci vedeva una specie di metafora della famiglia unita o una stupidaggine simile. L'aveva acquistato da un antiquario durante una vacanza. Questi gli aveva decantato le lodi dell'autore, un tale Manfredo Vascellino, in modo così entusiastico che lui si era lasciato ammaliare ed era uscito dal negozio con la convinzione di essersi portato a casa un Van Gogh originale. Manfredo Vascellino, e chi diavolo era?

Corrado ricordava solo le infinite litigate con suo fratello Simone su chi dei due dovesse essere la macchia più grande. Sua sorella Valentina invece l'aveva sempre definito un vomito, chiamandosi fuori da qualsiasi discussione in merito.

Proseguì lungo il corridoio e intravide Simone sdraiato sul letto di camera sua con le cuffie alle orecchie intento a giocare con qualche videogioco certamente non adatto ad un ragazzino di undici anni.

Passò oltre la camera color verde salvia di Valentina, vuota da quando aveva mollato tutti per studiare fuori città.

Raggiunse camera sua e ci si chiuse dentro.

Appoggiò a terra lo zaino e si sedette alla scrivania, accese il computer continuando a mangiare il suo secondo pranzo.

Digitò nella barra del browser PASSANTE 31 e attese i risultati della ricerca.

Quello che il web gli restituì furono informazioni sommarie su treni e ferrovie, componenti elettrici e qualche notizia di disgraziati investiti su e giù per il paese.

Tolse la targhetta dalla tasca dello zaino e la osservò alla luce del sole. Non c'era nulla che potesse far pensare a qualcosa di strano.

"Sembrerebbe ottone".

Digitò allora PIASTRINA OTTONE CAMARELLI ma quello che lesse furono solo pubblicità di aziende locali che si occupavano di insegne, targhe e incisioni laser.

Il nulla cosmico.

Corrado si rigirò la piastrina tra le mani poi pensò che ragionare con la logica non sarebbe servito a nulla, essendo la situazione poco logica anzi parecchio assurda.

Prese una matita dall'astuccio e sfilò un quaderno dallo zaino. Lo aprì circa a metà e infilò la targhetta tra le pagine, poi la ricalcò con la matita, come faceva da bambino con le foglie degli alberi.

In cuor suo sperava di veder comparire qualche messaggio segreto, qualche indizio per capirci qualcosa, ma nulla accadde.

C'era solo quella scritta indecifrabile che lo fissava dal foglio bianco. 

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