45. Il terremoto

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Wanda camminava spedita lungo il marciapiede. Beatrice e Corrado la seguivano a ruota.

Il rumore di tacchi che erano abituati a sentire per i corridoi della scuola, sembrava stonare in quella circostanza. Era come sentire il ruggito di un leone al Polo Nord, qualcosa non quadrava.

Si trattava a tutti gli effetti della loro professoressa di Letteratura e Storia, mai si sarebbero aspettati che la Ossolini fosse una maga venuta da un altro mondo e che avrebbe guidato quel pomeriggio una missione di vitale importanza.

La casa di Carlo era un appartamento al terzo piano all'interno di un complesso di edifici che si affacciavano tutti sulla medesima corte. Beatrice e Corrado riconobbero il posto, quello dove videro Carlo che veniva caricato in ambulanza e suo padre Arturo con la faccia disperata.

Corrado aveva un groppo in gola che non andava né su né giù.

Si chiedeva come avrebbe reagito Carlo a tutto ciò che stava per scoprire e soprattutto come avrebbe reagito Arturo.

L'aria era fredda e le previsioni davano neve.

Arrivarono di fronte ad un cancello dove una trentina di citofoni impegnarono la professoressa Ossolini per un minuto buono.

"Eccolo" disse alla fine individuando più o meno a metà della seconda fila quello giusto.

Suonò una sola volta e a lungo.

Nessuno rispose ma il cancello si aprì con uno scatto.

"Premonizione" osservò Corrado.

"Videocitofono" rispose Beatrice.

Percorsero velocemente lo spazio che li separava dalla porta d'ingresso della scala B. La raggiunsero e la trovarono aperta. Chiamarono l'ascensore e attesero nell'atrio mentre l'agitazione cominciava a farsi sentire.

Corrado con le mani infilate in tasca si guardava intorno nervoso, non avrebbe voluto trovarsi nei panni di Carlo per nessuna ragione al mondo. Si sentiva coinvolto in tutta quella storia anche se, per come si erano messe le cose, gli altri lo erano molto più di lui. Eppure, era lì, con lo stomaco a pezzi e l'incertezza della vita stampata sul volto. Si domandava quale fosse il suo ruolo e non trovava una risposta soddisfacente.

"Stai bene?" gli chiese ad un tratto Beatrice riportandolo con i piedi per terra.

"Certo, sono solo un po' nervoso".

Lei gli sorrise ed entrarono nell'ascensore che nel frattempo era arrivato al pianterreno.

La cabina era vecchia e strettissima, a malapena riuscirono ad entrare in tre. Non c'erano specchi, in quale ascensore non ci sono specchi? La situazione era claustrofobica.

Beatrice si spinse contro Corrado, per far posto alla professoressa, che portava una borsa delle dimensioni di un contrabbasso.

Il viso di Corrado si ritrovò a pochi centimetri da quello di Beatrice, la professoressa armeggiava con i pulsanti cercando di far chiudere le porte che a causa della sua borsa spropositata continuavano a riaprirsi. Ad un certo punto diede uno strattone, si pigiò contro i ragazzi e finalmente le porte si chiusero. Beatrice fu spinta ancora più avanti, Corrado disarmato se la ritrovò addosso con la sua fronte che premeva contro il suo mento. Wanda dava le spalle ad entrambi e controllava i pulsanti luminosi, l'ascensore iniziò a salire lentamente con un inquietante rumore di ferraglia.

"Scusa non...".

Beatrice sollevò lo sguardo e vide Corrado a un centimetro dal suo naso. Era serio, quasi spaventato e la fissava con i suoi occhi chiari. Il suo viso era punteggiato di piccole lentiggini, le ciglia lunghissime e quei capelli troppo corti.

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