47. Serve un piano

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La mattina di Natale Beatrice si svegliò assonnata.

Al momento di prendere sonno si era ritrovata ad un tratto incapace di chiudere occhio. Si era sentita irrequieta, agitata. Nel suo cuore aveva percepito profondamente la mancanza di qualcuno.

E lei sapeva di chi si trattasse anche se aveva una paura folle di ammetterlo.

Aveva quindi estratto il suo cartacanto da sotto il materasso, lì dove lo teneva nascosto. L'aveva aperto curiosa di leggere ciò che le pagine immacolate avrebbero deciso di mostrarle.

Mentre fuori era buio e la neve cadeva silenziosa, Beatrice lesse di un giovane soldato di nome Almarino che di ritorno dalla guerra si ritrovò solo e senza nessuno da cui tornare, la sua compagna era morta di stenti e la sua famiglia di origine era stata uccisa dalle bombe molti mesi prima. Il suo paese era ridotto ad un cumulo di macerie e lui si era ritrovato a doversi ricostruire una vita proprio su quel nulla che lo circondava.

Il suo umore non doveva essere dei migliori se quella era la storia che il cartacanto le proponeva di leggere, pensò.

Beatrice resse finché le palpebre non le caddero sugli occhi e Almarino ritrovò e seppellì il cadavere della compagna.

Quella notte Beatrice dormì un sonno agitato ma sognò, intensamente e nitidamente.

Sognò Corrado.

Sognò il suo viso che in tre anni di liceo era cambiato e lei nemmeno se n'era accorta.

Sognò le sue spalle, e la sua pelle sotto la maglietta grigia. Le lentiggini, si rese conto di adorare quelle lentiggini. Sognò la sua mano che le scompigliava i capelli, cosa che lui non aveva in realtà mai fatto. Un gesto così spontaneo non era tipico di Corrado.

Sognò il suo sorriso che si faceva serio mentre lo vedeva avvicinarsi, sempre di più.

Sognò il suo incedere deciso che non era il suo, ma era sua la voce. Una carezza dietro la nuca. Lei fatta di ghiaccio che si scioglieva in un mare caldo.

Sognò un bacio che non aveva mai dato, non a lui. Eppure, erano sue le labbra.

Il sogno fu così reale, così fisico che alla mattina, una volta sveglia ancora ne ricordava i dettagli. Sentiva qualcosa morderle lo stomaco ogni volta che ci ripensava. Ed era una cosa che non le capitava da parecchio tempo. Nascose il viso tra i cuscini provando imbarazzo all'improvviso.

Beatrice che ti succede?

Fuori dalla finestra tutto era bianco e immacolato, aveva nevicato per tutta la notte e ancora non si decideva a smettere.

Beatrice si rotolò pigramente sotto le coperte, Adriana era passata poco prima e aveva spalancato le imposte facendo entrare la luce bianca del giorno.

Beatrice indossava solo una maglietta e fuori si gelava, non aveva nessuna voglia di lasciare il tepore delle coperte ma si fece forza e si mise a sedere.

Cercò i pantaloni della tuta e il maglione a righe, li indossò e si alzò in piedi infreddolita.

Il pavimento di legno scricchiolò sotto il suo peso.

Dal piano di sotto si sentivano le voci di Adriana e Wanda che chiacchieravano di bufere di neve, gatti e vicini di casa. Adriana non aveva permesso a Wanda di tornarsene a casa e passare il Natale da sola, quindi la professoressa, che ormai Beatrice faticava a vedere come tale, si era fermata in via del Crocicchio per condividere il pranzo con loro.

Beatrice scese in salotto dopo essersi infilata un paio di calzini. Cinque le venne incontro strofinandosi sui polpacci.

"Buongiorno micione" disse grattandogli la testa.

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