Le notti cominciavano a farsi sempre più fredde, l'aria pungente entrava nelle ossa, gelava il respiro e diventava sempre più difficile trovare un riparo adeguato. Antonio si trovava in una zona piuttosto periferica della città, dove non sarebbe stato troppo disturbato dal traffico e dai passanti.
Trascinò in suo carrellino sgangherato lungo i portici di Piazza del Ducato, i pochi negozi erano quasi tutti chiusi, solo alcuni si attardavano tenendo le luci ancora accese dietro le serrande abbassate.
Camminò lento per una ventina di metri sotto il porticato finché non trovò una piccola apertura, uno spazio semicoperto tra due edifici, dove stazionavano diversi cassonetti in fila. Il pavimento era ricoperto di mozziconi di sigarette.
Tra i cassonetti Antonio notò una pila di cartoni accatastati. Una piccola fortuna pensò.
Anche se in quel periodo, durante la folle corsa agli acquisti di Natale non era difficile trovare qualche grosso scatolone abbandonato sui marciapiedi.
Antonio osservò meglio la situazione, una donna elegante piuttosto anziana che passava di lì lo notò ma non lo guardò veramente, erano tutti molto bravi a non incrociare il suo sguardo. Ma Antonio li capiva, eccome. Mica era semplice trovarsi di fronte la miseria della vita nella sua veste più eclatante, senza sentirsi addosso la colpa delle proprie fortune. Antonio era uno schiaffo in pieno viso, era lì, di fronte al mondo con tutto il suo sudiciume addosso, sporco e maleodorante, ma con una dignità che oltrepassava le cime dei palazzi.
Si sistemò come meglio poteva, proprio dietro la fila di cassonetti, dove nessuno poteva vederlo.
Aprì un paio di cartoni piuttosto grandi e li stese a terra per isolarsi dall'asfalto gelido. Poi dal carrellino tirò fuori alcune coperte logore, si sdraiò e se le tirò fin sopra il viso cercando di scaldarsi.
Poteva sentire da lontano i rumori della strada, le automobili, gli autobus che sbuffavano, le chiacchiere e gli auguri che gli ultimi passanti si scambiavano prima di rientrare a casa per la cena.
Gli avevano offerto più volte un riparo sicuro, un letto nel dormitorio della città, ma Antonio si era sempre rifiutato. Accettava solo qualche pasto caldo o un bicchiere di thè quando gli veniva offerto dai volontari che pattugliavano la città durante le notti più fredde.
Dopo tanti anni, passati a vivere in quelle condizioni, Antonio si sentiva parte di quella città. Una parte del corpo vera e propria. Come se fosse una pietra della Cattedrale, un tiglio di Corso Vittoria. Erano talmente intimi lui e la città, che Antonio le dormiva sulla pelle ogni notte. Senza curarsi se quella pelle fosse gelida, rovente o sudicia. Era la sua pelle e lui, solo lui, poteva percepirne l'abbraccio. Ormai non l'avrebbe più lasciata.
Passarono diversi minuti, Antonio cercò una posizione comoda che finalmente riuscì a trovare, chiuse gli occhi e si concentrò sui suoni che giungevano attenuati all'interno del suo bozzolo.
Lentamente si lasciò cullare dai pensieri, che andavano e venivano come un'altalena stanca e finalmente si addormentò.
Fu il rumore di un furgoncino della nettezza urbana a svegliarlo qualche ora dopo.
Doveva essere circa mezzanotte e il piccolo mezzo parcheggiò con il motore acceso proprio di fronte allo spazio angusto tra i palazzi, dove Antonio si era sistemato.
Era venerdì, quindi avrebbero ritirato i bidoni del vetro. Quelli più fastidiosi. Antonio conosceva il calendario della raccolta cittadina a memoria, ed era stato svegliato più volte da quel fracasso di vetri e lattine che si schiantavano sul fondo metallico del camion. Si maledisse per non averli notati prima proprio in fila sul marciapiede, non avrebbe mai scelto quel posto di venerdì se li avesse visti.
Almeno non avrebbero toccato i grossi cassonetti verdi dove stava riposando ben nascosto, pensò cercando di non muoversi.
Il netturbino si avvicinò ai contenitori blu, li afferrò uno alla volta e li agganciò al retro del piccolo furgoncino. Con un gran rumore di vetri rotti il contenuto fu scaricato e Antonio si sveglio del tutto, maledicendo per l'ennesima volta quella chiassosa pratica notturna.
Abbassò il lembo della coperta che gli copriva il viso e osservò in direzione della strada.
Il netturbino, un uomo alto e corpulento, spostava i bidoni blu con una sola mano, come se contenessero piume. Lo faceva con una certa noncuranza, come se ormai quello fosse un gesto automatico esercitato da una vita intera.
Antonio attese che l'ultimo maledetto bidone venisse rovesciato per poter tornare a dormire, ma quando l'uomo si avvicinò per riporlo al suo posto sul marciapiede, sentì all'improvviso uno strano rumore gutturale, come di un urlo strozzato.
Di nuovo si scoprì gli occhi per osservare meglio e vide due figure ancora più corpulente, vestite con dei lunghi cappotti scuri, che braccavano quel pover'uomo alla schiena e gli tappavano la bocca.
Non li aveva sentiti arrivare, si chiedeva chi fossero e che intenzioni avessero. Antonio, spaventato, si tirò su a sedere non sapendo cosa fare, era vecchio, gracile e l'avrebbero sbattuto a terra con una sola mano se avesse provato ad affrontarli di persona.
Pensò quindi di urlare e chiedere aiuto, mentre i due uomini trascinavano la loro vittima verso la strada.
L'uomo si dimenava, provava ad urlare ma i due gli tappavano la bocca e lo tenevano fermo come un povero animale. A quel punto successe qualcosa di alquanto singolare, nel bel mezzo della colluttazione l'uomo si calmò, come se fosse stato sedato. Si mise dritto in piedi, silenzioso e cominciò a camminare davanti agli altri due, sparendo così dalla visuale di Antonio che subito si alzò per seguirli.
Arrivò alla strada oltre il muro degli edifici inciampando nelle coperte e nei cartoni, il camioncino era ancora parcheggiato con la portiera aperta, il motore acceso e i lampeggianti che fiammeggiavano sulle pareti della piazza, ma dei tre non v'era più nessuna traccia.
Antonio girò l'angolo, ma tutto taceva. Osservò l'intera piazza e non c'era anima viva. Aveva il cuore in gola. Provò a chiamare ma non rispose nessuno. E la voce gli tremava terribilmente.
Tornò al camion parcheggiato e osservò la chiave inserita nel quadro. Si coprì le dita della mano con un lembo del soprabito e girò la chiave spegnendo il motore e le luci. Non sapeva perché l'avesse fatto, forse l'istinto gli suggerì di non attirare l'attenzione. Pensò che la situazione gli si sarebbe potuta rivoltare contro e non aveva nessuna voglia di passare un guaio. Era molto scosso, si chiedeva chi fossero quei due e perché avessero aggredito quell'uomo. Pensò ad un regolamento di conti, qualche affare losco di cui nessuno era al corrente.
Raccolse le sue povere cose in fretta e furia e le legò al piccolo carrellino.
Osservò con circospezione la strada e con coraggio si incamminò lungo la via, trasportando dietro di sé il cigolio di tutto ciò che aveva.
La città era deserta e silenziosa. Solo qualche rumore di automobili si sentiva provenire da lontano.
Antonio camminava, pensando che quella notte la sua amata città non era stata clemente e protettiva come sempre. Si chiedeva se avesse dovuto prenderlo come un avvertimento, come una specie di messaggio che gli giungeva inaspettato, che lo metteva in guardia, che gli intimava di pensare, di cambiare magari. Scacciò via quei pensieri quasi subito e si rispose che no, non era affatto così. Lui conosceva bene la sua città. Aveva solo scelto il posto sbagliato, quella era una ferita aperta, che bruciava.
Avrebbe trovato un posto migliore, un altro pezzo di pelle su cui appoggiare la testa.
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Il Passante
FantasyCOMPLETATA. Corrado e Beatrice. Due ragazzi, due compagni di classe, quasi due perfetti sconosciuti. Finchè a Camarelli, paese perduto tra le nebbie del nord Italia, non accade l'impossibile. Un uomo ha appena attraversato il muro della Cattedrale...