Capitolo 13

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«Cosa vuol dire che l'hai semplicemente perso?» sbraitò l'uomo a gran voce, dando un pugno al lungo tavolo bianco

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«Cosa vuol dire che l'hai semplicemente perso?» sbraitò l'uomo a gran voce, dando un pugno al lungo tavolo bianco.
I monitor sopra di esso traballarono pericolosamente e l'immagine dell'unico di essi acceso, vibrò con forza.

«S-signore io...non so come sia potuto succedere. L'ho...perso» mormorò balbettando il ragazzo dai capelli neri, rabbrividendo di paura davanti allo sguardo cupo e minaccioso del suo capo.
Non voleva prendersi le responsabilità di aver fallito ma non si era potuto sottrarre a quell'incarico quando gli era stato affidato. Non voleva perdere il suo posto di lavoro, aveva una famiglia da mantenere.

«L'hai perso» ripeté l'uomo in piedi, il capo, massaggiandosi il ponte del naso. Tutto quello stress gli avrebbe fatto venire le rughe. Ne era sicuro. Sua madre glielo diceva sempre ma non poteva fare a meno di infuriarsi quando succedevano queste cose.
Lui doveva avere il controllo. Non era una possibilità ma un'obbligo. Lui doveva avere il controllo e per colpa di un sempliciotto qualunque, l'aveva appena perso.
Sperava non del tutto almeno.
«E dimmi...Come puoi perdere le tracce di un fottuto ragazzino del Liceo?» urlò, chinandosi verso la sedia del ragazzo per urlargli nell'orecchio.

«Non lo so» esclamò lui nel panico, digitando qualcosa velocemente sulla tastiera per provare a rimediare al danno. O almeno per far vedere al suo capo che ci stava provando seriamente.
«Deve essere dentro qualche abitazione senza telecamere di sorveglianza.»

«Quindi sai dov'è» commentò il capo con le sopracciglia corrugate. Non capiva se il suo dipendente fosse stupido o solo terrorizzato da lui.
«Allora? Sai o non sai dov'è?»

«È sicuramente in un'abitazione privata Signore» sussurrò a bassa voce con il capo chino.
«Ma non riesco a rintracciare il suo cellulare. Sicuramente l'ha spento.»

«Trama qualcosa allora» si insospettì subito il più anziano, tamburellando le dita sulla poltrona su cui era appoggiato con quasi tutto il peso.
Era una rogna tremenda stare dietro a degli stupidi ragazzini di vent'anni. All'inizio almeno, poteva considerarsi solo una rogna ma col tempo le cose erano cambiate. Anzi, erano peggiorate per l'uomo.
Questo lo faceva sentire arrabbiato, amareggiato e frustrato. Credeva di avere tutta la situazione in mano e scoprire che non era così, lo faceva morire di rabbia.

E paura. Era anche terrorizzato da quello che un semplice ragazzo potesse fare.
Spodestarlo, metterli i piedi in testa, smascherarlo perfino. E lui certo non poteva permettere che accadesse.
Pensava di essersene liberato quella notte, giù dal dirupo. Pensava che fosse una storia chiusa e archiviata per sempre invece, in qualche modo, quel bastardo era risaltato fuori e lui non sapeva chi fosse.
Certamente, aveva i suoi dubbi ma erano rivolti a due persone che sembravano però avere un collegamento.

«Non per forza Signore. Magari ce l'ha semplicemente scarico» ipotizzò con coraggio il ragazzo ma l'occhiata di sdegno che ricevette, lo fece ammutolire.
«Mi s-scusi.»

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