❙ SAY SOMETHING, A Great Big World feat. Christina Aguilera
New York era una strana città, se osservata da una finestra. Quando la vivevi e ne facevi parte, non vi prestavi molta attenzione, ma isolandoti dal caos delle strade potevi notare la sua diversità entro pochi isolati, la sua frenesia, la creatività degli artisti di strada, dei musicisti e dei personaggi bizzarri accostata alla serietà degli uomini d'affari, degli uffici ai piani alti dei grattacieli, degli attici di lusso. New York era come un puzzle con pezzi di fotografie diverse che, in qualche modo, riuscivano comunque a coincidere gli uni con gli altri. Il risultato erano frammenti di immagine che creavano un guazzabuglio di colori e forme, come un Delaunay.
Io ero abituata a vivere il mondo che mi circondava, non a guardarlo da fuori; avevo passato gli ultimi anni della mia vita quasi costantemente a lavoro, poiché la mia paga era stata troppo bassa e mi aveva costretto a fare gli straordinari. Tra il mio impiego ed il fatto che viaggiassi sempre in bicicletta, avevo avuto l'opportunità di vedere molte persone diametralmente diverse tra loro e mi ero abituata a stare tra la gente, nelle strade affollate, seduta ad un tavolo circondata di vita; ero abituata a far parte io stessa di quella vita. Perciò per me era molto inusuale starmene a fissare un fiume stanco ed il suono dei clacson da una vetrata al settimo piano.
Avevo tentato di distrarmi, quella mattina, dopo aver supplicato Daniel di restare a casa con me, dato che non avevo molto da fare - visto che avrei iniziato a lavorare e studiare solo due giorni più tardi, ma con scarsi risultati; avevo terminato la mia lettura de "Il buio oltre la siepe", avevo fatto le faccende domestiche e mi ero preparata un tè; all'ora di pranzo ero uscita per fare una passeggiata ed ero rientrata con il pranzo da asporto quando avevo notato che il cielo si stesse lentamente oscurando a causa di nuvole promettenti pioggia che venivano dall'Atlantico. Avevo collegato il mio cellulare all'impianto stereo, dopo essermi arresa alla noia mentre mi cambiavo i vestiti - rimanendo così soltanto in camicia e intimo - e aver ascoltato il lento ticchettare dell'orologio per un po', come se anche il tempo fosse tanto tediato da trascinarsi a fatica. Ero stata persino tentata di mandare una foto poco casta a Daniel per convincerlo a tornare a casa prima del previsto, ma alla fine avevo accantonato l'idea assieme al mio telefono. Quindi mi ero stesa sul letto, le gambe sollevate contro il muro, a fissare come le mie caviglie ruotassero in un gioco di ombre, come un prassinoscopio, mentre muovevo i piedi a ritmo di musica.
Non riuscivo davvero a comprendere come alcune persone potessero definire "dolce" il far niente, io non riuscivo a stare ferma, rotolavo sul letto perché non riuscivo a stare nella stessa posizione per più di due minuti, mi alzavo, ballavo sulle canzoni più ritmiche, mi rigettavo sul letto, mi sedevo per terra, scuotevo le gambe... Infine, aveva iniziato a piovere, come da previsione. Adesso me ne stavo poggiata contro lo stipite della portafinestra a braccia conserte, ad osservare il pavimento della terrazza ricoprirsi di un sottile velo lucido d'acqua.
Afferrai una felpa da indossare sopra la camicia ed uscii; il lieve ciac-ciac dei miei piedi nudi, i quali facevano saltare l'acqua dal pavimento attorno, si armonizzava al ticchettio delle gocce che battevano sul tavolo alle mie spalle. Lasciai che la pioggia mi attaccasse i capelli - di cui ormai era forse giunta l'ora per un taglio - al collo e che mi scendesse lungo la fronte, per poi colare dalla punta del mio naso e dal mio labbro inferiore. Il freddo che mi scivolava sul viso e sulle gambe come spilli di ghiaccio che mi si scioglievano addosso mi penetrava la felpa, appiccicandola alla mia schiena umida, lungo la quale sentivo delle piccole gocce percorrermi la pelle accaldata. Chiusi gli occhi, sentendo l'acqua appesantire le mie ciglia, ed ascoltai l'Hudson che ruggiva poco più avanti, mentre le onde si accavallavano l'una sull'altra come facessero a gara a chi arrivava per prima nell'Upper Bay. In lontananza ancora riuscivo a sentire il canto scatenato di Gloria Gaynor che aveva tentato di rallegrarmi riempiendo la camera da letto con la sua versione di "Can't take my eyes off you". Riuscivo a sentire l'odore dell'asfalto bagnato risalire nell'aria, e da sotto le palpebre potevo immaginare la pioggia colpire le foglie degli alberi come spilli, per poi accumularsi sulle punte e lasciarsi cadere giù, su un terreno che si sarebbe scurito in un istante mentre l'assorbiva. Ed in questo scenario si introduceva un sapore nuovo e familiare. Ovviamente avrei riconosciuto il suo profumo tra mille; quel gusto acre degli agrumi che si mescolava alla dolcezza del sandalo ed un mix di retrogusti speziati e floreali che erano capaci di portarti in Oriente tanto quanto il loro portatore era abile nel portarti su tutt'altro pianeta.
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𝑺𝑶𝑳𝑶 𝑫𝑼𝑬 𝑺𝑼𝑷𝑬𝑹𝑵𝑶𝑽𝑬
RomanceSEQUEL DI "SOLO DUE SATELLITI" "Come nell'universo, la nostra vita è basata su un sistema di bilanciamenti e contro-bilanciamenti: forze che ci spingono via, che ci attraggono, che ci sostengono, che ci spingono. A volte passa un asteroide che crea...