Chiusi la zip della borsa da viaggio e me la caricai in spalla, prima di portarla vicino all'ascensore e voltarmi in attesa di Daniel.
«Dan, perderemo l'aereo!» minacciai con lo sguardo al soffitto.
Uscì di fretta dal bagno e si infilò il cappotto. «Hai preso tutto tu?»
«Sì, andiamo. A quest'ora avremmo già dovuto essere in aeroporto.»
Attesi pazientemente che controllasse per l'ultima volta di aver chiuso la valvola del gas, di non aver lasciato luci accese in giro o rubinetti aperti.
«Staremo via solo un paio di giorni» gli rammentai. «Cosa mai potrebbe succedere?»
«Non si è mai troppo prudenti.»
Feci un cenno della mano quando mi superò per entrare in ascensore, che stavo tenendo aperto con il mio corpo davanti alla fotocellula.
«Hai chiuso la porta d'ingresso a chiave?» gli chiesi, mentre prendeva la borsa da vero gentiluomo.
«Sì, gioia. Possiamo andare.»
«Grazie al Cielo.»
La situazione tra noi si era appianata, ma non sembrava andare nella direzione tale da tornare quello che eravamo stati prima di litigare. Adesso avevamo ripreso a sorriderci e scherzare tranquillamente, a coccolarci, ma c'era qualcosa che ci impediva di essere noi stessi al cento percento. La prima prova a favore di questa mia tesi era che non avessimo fatto l'amore dalla notte di Halloween. E ormai era passato quasi un mese.
Dovevo però ammettere che Daniel stesse davvero facendo uno sforzo, nei miei confronti: sapevo da Trycia che avesse parlato con Brie, dopo il lavoro, e che lei non sembrasse affatto contenta di quella conversazione. Ed era molto più aperto, con me, riguardo ai suoi affari; alla fine, non aveva mandato il fascicolo dell'accordo sugli armamenti alla stampa, in attesa che ci venisse in mente un'idea migliore per sabotarlo.
Io, dal canto mio, cercavo di lasciargli i suoi spazi e di non insistere, quando risultasse ovvio che non gli andava di parlare di certi argomenti. Ci eravamo decisamente concessi una tregua, ma come spesso succede, far pace non significa risanare il rapporto; a volte le relazioni tra gli esseri umani sono come un arazzo: impieghi anni per tesserlo con cura, per intrecciare i fili e creare un bellissimo disegno, poi si strappa e, nonostante si possa ricucire, non tornerà mai più lo stesso. Le cicatrici del rapporto tra me e Daniel erano ancora fresche e visibili, anche a distanza di un mese. Forse avevamo solo bisogno di più tempo per accettarle e andare avanti; solo, mi chiedevo quanto.
Speravo che passare il Ringraziamento a San Francisco, ognuno con la propria famiglia, ci avrebbe chiarito le idee e avesse potuto consigliarci su come superare quello stallo. Perciò prendemmo un taxi che ci portò all'aeroporto, effettuammo il check-in e prendemmo in tempo il nostro volo per la California.
Ad aspettarci, una volta a casa, c'erano i nostri amici e le nostre madri, che avevano approfittato dell'attesa per conoscersi. Strinsi Nada con cautela, attenta alla pancia più pronunciata, poi mia madre, mia suocera, Benjamin, Zoey e infine Julian.
«Mi sei mancata» mormorò al mio orecchio.
«Anche tu. Non rispondi mai alle mie telefonate.»
Jules mi rivolse uno sguardo sofferente, carezzandomi una guancia, ma non mi dette alcuna spiegazione. Fu il ciclone Zoey a rompere il nostro contatto e iniziare a porre una marea di domande. Aveva tinto i capelli fino a farli diventare biondo platino; fu la prima cosa che le dissi. A parte questo, non sembrava essere cambiato niente.
Come mia madre tentò di trascinarmi verso la macchina, impaziente di dare inizio al nostro Ringraziamento in famiglia, io strinsi la mano di Daniel e gli lasciai un bacio a fior di labbra, la barba sottile rasata il giorno precedente che mi pungeva il viso.
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𝑺𝑶𝑳𝑶 𝑫𝑼𝑬 𝑺𝑼𝑷𝑬𝑹𝑵𝑶𝑽𝑬
RomanceSEQUEL DI "SOLO DUE SATELLITI" "Come nell'universo, la nostra vita è basata su un sistema di bilanciamenti e contro-bilanciamenti: forze che ci spingono via, che ci attraggono, che ci sostengono, che ci spingono. A volte passa un asteroide che crea...