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Quel sabato decidemmo di fare visita alla casa-famiglia a cui gli assistenti sociali avevano affidato Ronan e Liz. Jaleelah, una delle educatrici, ci accolse alla porta con un bel sorriso raggiante, che si spense non appena incontrò lo sguardo di Daniel. Lui aveva preso quei ragazzi davvero a cuore e ancora non riusciva a perdonarsi per non aver prevenuto gli eventi capitati a Ron e sua sorella; perciò, adesso aveva assunto la sua espressione insofferente che portava spesso sul lavoro, ma io sapevo bene che dietro vi si nascondesse un profondo dolore.

«Siete qui per Elizabeth e Ronan, immagino» dedusse Jaleelah, dispiaciuta.

«Come stanno?» le chiesi.

«La piccola con gli altri sta bene, ma spesso la notte ha gli incubi e di giorno ha crisi di pianto. Suo fratello le sta lontano, non interagisce con gli altri, sta sempre da solo a disegnare. Lo psicologo dice che è un suo modo di punirsi, pensa di essere colpevole della morte della madre e della sofferenza della sorella. Si impedisce di starle vicino per paura di farle di nuovo del male.»

«Cosa disegna?»

«Non è chiaro. Dai toni di colore che usa, secondo lo psicologo rappresenta la morte di sua madre. C'è spesso una porta, delle mani, un vestito, cose del genere.»

«Possiamo vederli? I bambini, intendo.»

Jaleelah si fece da parte per farci entrare. «Certo, venite.»

Liz aveva un vestitino azzurro, mentre giocava con gli altri bambini alle costruzioni. Non si accorse di noi finché non fu richiamata dall'educatrice stessa; quindi, mi corse tra le braccia e io la tempestai di baci sul viso, mentre rideva.

«Come stai, piccola?» le chiesi, sentendo il mio cuore scoppiare come fuochi d'artificio. Era triste, pensare che quel viso da bambola di porcellana fosse spesso deformato dal pianto. Non se lo meritava, nessun bambino se lo meritava.

I suoi occhioni diventarono lucidi e si strinse contro la mia spalla, tirando su con il naso.

«Va tutto bene» le sussurrai. «Va tutto bene.»

«Vengono spesso dei signori» raccontò. «Ci chiedono come stiamo. E poi ci separano. Non mi piace, quando mandano Ronny in un'altra stanza. Mi lascia sola con un signore che mi fa tante domande. Non mi piacciono le sue domande. Mi chiede della mamma. Io non so rispondergli. Sono stupida.»

«Liz, non si dice. Chi ti ha insegnato questa parola?»

«La mamma diceva spesso che sono stupida.»

«Be', non lo sei. Sei forte e coraggiosa. E sei anche adorabile. Puoi dimenticare quella parola per me?»

Lei annuì contro la mia spalla e io le baciai il capo, stringendola più forte.

«Quei signori vengono da voi per assicurarsi che stiate bene, qui» le dissi sottovoce. «Altrimenti vi farebbero andare in un posto dove vi trattino meglio. E quel signore ti fa tante domande per conoscere il tuo stato d'animo. Quello che provi è importante e lui cerca di scacciare le emozioni negative, okay?»

Liz annuì di nuovo, ma poi alzò la testolina per guardarmi negli occhi. «Però non voglio che mandino via Ronny.»

«Proverò a parlare con loro per farvi restare insieme» le promisi, anche se sapevo che non sarebbe stato possibile: Ronan influenzava lo stato emotivo di Elizabeth, anche se in positivo, ed era importante che lei guarisse dal suo trauma, invece di sopprimerlo.

«Se non stessimo bene qui, verremmo di nuovo da voi?» mi chiese.

«Non penso, tesoro.»

«Perché non possiamo stare con voi? Ronny è amico di Daniel.»

𝑺𝑶𝑳𝑶 𝑫𝑼𝑬 𝑺𝑼𝑷𝑬𝑹𝑵𝑶𝑽𝑬Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora