Non penso ci rendiamo conto di quanto intricato sia il tessuto delle nostre vite, finché non dobbiamo costruircene una da zero. Quando siamo piccoli, siamo soltanto esistenza, dei corpicini vuoti che si approcciano ad un mondo completamente nuovo, e non ci rendiamo nemmeno conto di quanto impariamo ogni singolo giorno, poiché i ricordi dell'infanzia sono sepolti in una parte recondita del nostro cervello e ciò che allora era sconosciuto, oggi è per noi abitudinario. Gli oggetti, i luoghi, le parole; come parlare, come camminare, come leggere e scrivere. A mano a mano, ci costruiamo un bagaglio di conoscenze ed abilità, di ricordi, interessi e affetti, che compongono la nostra essenza; ciò che ci piace, ciò che ci riesce, ciò che siamo. Ecco, quando siamo costretti a rifarci da capo in età adulta, è come uscire dalla nostra realtà, dal guscio che ci siamo tanto accuratamente cuciti attorno, per rinascere sotto altra forma. E ci rendiamo davvero conto di quanto sia in realtà un lungo e impercettibile processo, quello di crearsi delle abitudini, delle amicizie, di ambientarsi nel mondo che ci circonda.

Io non riuscivo nemmeno ad immaginare, a fronte della mia difficoltà nel cambiare città, come potessero vivere coloro che non avevano radici, che per lavoro o per scelta personale viaggiavano senza sosta, senza avere amici né famiglia, senza dei luoghi di riferimento che potessero chiamare "casa"; era uno stile di vita che io, purtroppo, non potevo nemmeno pensare di intrattenere. Avevo bisogno della stabilità della mia routine, di essere certa che alla fine della giornata avrei avuto sempre le quattro mura di casa mia in piedi nello stesso luogo, ad aspettarmi con i miei effetti personali, i miei ricordi, le mie abitudini. Avevo bisogno della sicurezza che il mio spazzolino avrebbe sempre avuto dei piccoli residui di dentifricio secco sul manico, che nel mio armadio avrei trovato quell'orribile maglione viola melanzana che mi aveva regalato mia nonna nel Natale del 2016 e che in cinque anni non avevo indossato neppure una volta - ormai dubitavo persino che fosse ancora della mia taglia, ma che non avevo mai il coraggio di dar via; che il mio bagno avrebbe sempre profumato del mio bagnodoccia al miele, che le mie pareti fossero tappezzate dei quadri che avevo appeso e sui cui bordi si erano depositati strati di polvere, perché ogni volta che facevo le pulizie quegli erano gli unici punti in cui non mi ricordavo mai di arrivare.

Dopo aver traslocato a New York già da una settimana, mi ero resa conto che fosse davvero difficile, per me, considerarla casa mia. E non solo perché in realtà fosse il rifugio di Daniel e, pertanto, lo specchio della sua personalità, - i suoi libri, i suoi spartiti, i suoi vestiti sparsi nel bagno, il suo bagnodoccia al cardamomo, i suoi biscotti integrali sullo scaffale della cucina - ma anche perché il venerdì sera non lo avevo passato al Trick Dog con i miei amici e la domenica non avevo fatto visita ai miei genitori; perché ogni mattina, invece di salire in sella alla mia vecchia bici ed andare al Bazaar, avevo camminato tra i quartieri della Grande Mela a distribuire curriculum.

Compresi perciò di dovermi reinventare. La vecchia Abigail non sarebbe mai sopravvissuta a New York, - non avrebbe nemmeno preso il primo aereo per l'altro capo del Paese, a dirla tutta - quindi avrei dovuto diventare una mia versione migliore. Se fosse stato vero che in una nuova città avrei potuto essere chiunque avessi sempre voluto, allora era giunta l'ora per me di rimboccarsi le maniche e lavorare su me stessa e su tutti i lati di me che non mi erano mai piaciuti. Ero intenzionata a diventare più intraprendente - avevo compiuto un primo passo iscrivendomi finalmente ad un corso di arredamento d'interni organizzato sulla 70esima Strada, lasciarmi il mio passato alle spalle ed imparare cose nuove.

Fu con questo intento che avevo acquistato un libro di ricette e mi ero messa ai fornelli; Daniel si era sempre beffato di me per la mia incompetenza in cucina ed ero determinata a farlo ricredere. In effetti, scoprii con soddisfazione che, quando mi ci fossi messa di impegno, non sarei stata affatto una pessima cuoca.

Mi pulii velocemente le mani ad un panno e compii un passo indietro, di fronte ai vasetti di crema diplomatica ai lamponi che avevo appena preparato. Affondai il dito con un movimento fluido in un bicchierino e me lo portai alle labbra, per riconoscere che fosse persino buona. Sollevai lo sguardo, orgogliosa del mio risultato, e trovai Daniel poggiato contro lo stipite della porta del bagno, a braccia conserte, le punte dei capelli umide dalla doccia ed un sorriso beffardo sulle labbra. Sbuffai una risata: com'è che si dice, "beccata con le mani nella marmellata"? Immagino mi avesse beccata proprio con le mani nella diplomatica.

𝑺𝑶𝑳𝑶 𝑫𝑼𝑬 𝑺𝑼𝑷𝑬𝑹𝑵𝑶𝑽𝑬Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora