Il colloquio all'Éclair Bakery, una pasticceria francese sulla 53esima Strada, sembrava essere andato bene. La proprietaria, Daphne, era una sorta di mamma chioccia, un po' bassa e sovrappeso, con un viso rotondetto e un paio di occhiali rotondi e un piccolo sorriso tenero, due grandi occhi nocciola e una cascata di ricci scuri. Anche soltanto vedendola, si capiva che esprimesse gentilezza e familiarità; infatti, mi aveva accolto calorosamente, con un bel sorriso piccolo e sottile. Anche il resto dell'ambiente e del personale si era rivelato altrettanto affabile; in particolare, mi avevano dato un caloroso benvenuto quando Daphne aveva annunciato - persino prima di rivelarlo a me - che dal lunedì successivo avrei fatto parte della "famiglia" della pasticceria.
Quando tornai a casa ero talmente euforica da non trovare la forza di fare altro se non starmene sul letto per una buona mezz'ora, con i pantaloni calati fino alle caviglie e lo sguardo perso nel vuoto, mentre ripercorrevo l'intero colloquio nel mio cervello; non riuscivo a realizzare di aver ottenuto un lavoro, un buon lavoro. Alla fine ero così persa all'interno della mia mente da decidere di rinunciare al cambiarmi gli indumenti, indossare un cardigan di lana sopra il dolcevita che avevo scelto in occasione dell'opportunità di quella mattina e sorseggiare un tè nella tranquillità del soggiorno.
Riuscivo a vedere i tasselli che componevano la mia vita andare lentamente ognuno al posto giusto; la settimana seguente avrei iniziato il corso di arredamento, avrei cominciato a lavorare e sentivo di aver trovato un'amica, in Trycia, nonostante i dissapori iniziali. Perciò nascosi un sorriso nella tazza, che mi bruciava i palmi delle mani, congelati dal clima rigido di New York. Mi resi conto, inoltre, che fosse assurdo che vivessi in quella città da quasi due settimane, ormai, e che non l'avessi mai realmente visitata; certo era difficile, per me, spostarmi a mio piacimento con i soli mezzi pubblici e avevo avuto tutt'altre priorità, da quando mi ero trasferita, ma non vedevo alcuna ragione per cui non dovessi concedermi una giornata da turista per girare i punti di interesse artistico e culturale della Grande Mela.
Mi abbandonai con una spalla contro lo stipite della portafinestra che dal soggiorno dava sulla terrazza; al di sotto del condominio, oltre la Statale 9A, si estendeva la passeggiata lungofiume dell'Hudson River Park, con i suoi alberi spogliati dall'autunno che avevano ricoperto il cemento di foglie rosse e gialle e le sue panchine arrugginite dagli agenti atmosferici. Oltre i pali in legno che spuntavano dalla superficie dell'Hudson, sui quali i gabbiani si posavano in attesa di scovare qualche pesce, si estendeva il profilo della costa di Jersey City. Sarebbe stato bello, un giorno, godersi un'escursione in traghetto lungo il fiume, per raggiungere la Statua della Libertà, che avrei potuto intravedere sulla mia sinistra, se non fosse stato per l'edificio affianco che ne limitava la visibilità.
Ignorai il segnale acustico dell'ascensore diretto e mi strinsi di più nelle spalle quando un braccio di Daniel mi circondò la vita, prima che mi lasciasse un bacio sulla guancia. «Ciao» borbottò al mio orecchio con tono stanco.
«Hey» risposi con un sorriso.
Quando mi voltai verso di lui, la mia espressione si addolcì di tenerezza: Daniel era evidentemente a terra dopo una lunga giornata di lavoro, con il nodo della cravatta allentato attorno al collo e la camicia sbottonata sotto il colletto, eppure, ancor prima di posare la ventiquattrore, aveva messo me al di sopra di tutto il resto. Erano questi piccoli gesti istintivi che mi facevano capire quanto lui tenesse davvero a me: mi facevano sentire come se, prima di tutto il resto, per lui venissi io, e dovevo ammettere che fosse una bella sensazione.
«Com'è andato il colloquio?»
«Bene. Ho ottenuto il lavoro.»
«È grandioso! Sono fiero di te, gioia. Devi raccontarmi tutto.»
Gli accarezzai un braccio con premura. «Magari più tardi. Adesso è meglio che ti riposi.»
«Va bene.» Mi scostò i capelli dal volto per baciarmi sulle labbra, prima di andare a farsi una doccia sfilandosi la cravatta dalla testa.
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𝑺𝑶𝑳𝑶 𝑫𝑼𝑬 𝑺𝑼𝑷𝑬𝑹𝑵𝑶𝑽𝑬
RomanceSEQUEL DI "SOLO DUE SATELLITI" "Come nell'universo, la nostra vita è basata su un sistema di bilanciamenti e contro-bilanciamenti: forze che ci spingono via, che ci attraggono, che ci sostengono, che ci spingono. A volte passa un asteroide che crea...