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Una sera, dopo essere tornata a casa, aver fatto una doccia bollente ed aver iniziato a leggere uno dei libri che Daniel lasciava sempre in giro per casa, senza nemmeno badare a di quale si trattasse, sentii il campanello suonare nello stesso momento in cui l'ascensore diretto si aprì sul soggiorno. Daniel, appena di ritorno dal lavoro, mi guardò indeciso se salutare me, come prima cosa, o se andare ad aprire la porta. Alla fine mi schioccò un bacio veloce e con uno scatto si diresse verso l'ingresso, facendomi scoppiare a ridere per il modo in cui correva nel suo completo blu di Prussia.

«Abigail Howard?» chiese il facchino con degli scatoloni ai piedi.

«Eccomi» risposi mentre mi slacciavo i capelli ancora umidi dalla precedente doccia. Firmai la bolla di accompagnamento ed il dipendente della ditta di traslochi aiutò me e Daniel a portare dentro le mie cose da San Francisco.

Ero felice di poter finalmente spuntare un'altra voce della mia lista per ricominciare a New York: mi sarebbe bastato restituire le chiavi del mio bilocale al proprietario di casa entro Natale e avrei potuto dire addio a quel piccolo prezioso appartamento che mi aveva ospitato per ben quattro anni. Adesso avevo tutti i miei effetti personali - qualche vestito in più, i miei libri, i miei dischi musicali e alcuni ninnoli che tenevo qua e là per casa - e forse integrarli a quelli di Daniel avrebbe potuto farmi sentire un po' di più come se fossi nel posto giusto, quello dove tornare a fine giornata, dove potermi prendere del tempo per me, insomma... Come se fossi a casa. Avrebbe potuto sembrare una concezione materialistica, ma ritrovare ciò che arredava il mio vecchio appartamento tra pareti che ancora non ero abituata a riconoscere mi avrebbe fatto sentire più a mio agio, ne ero certa. In fondo, siamo indissolubilmente dipendenti dalla forma materiale del mondo che ci circonda e gli oggetti hanno un forte potere evocativo di sensazioni immateriali. Era normale che il contenuto di quei bagagli mi donassero dei ricordi o delle emozioni, in particolare dato che associavo alla loro presenza quell'abitudine e quel calore domestico tipico del mio vecchio domicilio, avendoli avuti tanto sotto gli occhi da essere ormai familiari, per me.

A mano a mano che spacchettavo gli scatoloni, Daniel mi aiutò a sistemare le mie cose, con la giacca abbandonata sul letto e le maniche della camicia rimboccate sui gomiti: sistemammo i miei vestiti nell'armadio - anche se, incredibile ma vero, i suoi erano decisamente di più - e unimmo la mia collezione letterario-musicale alla sua, quindi esponemmo gli ammennicoli in alcuni punti, come sul pianoforte, sul tavolo da fumo in salotto, sugli scaffali.

L'ultima scatola, però, conteneva degli oggetti che erano stati miei così tanto tempo addietro che non avevo nemmeno la più pallida idea di come i miei genitori li avessero rinvenuti: c'erano il mio orsacchiotto di peluche di quando ero bambina, alcuni album fotografici, ed una busta di carta con la dicitura "per Abby, da mamma".

Sapevo che mi sarei emozionata, avevo già quel presentimento nel sapere che delle mie cose si sarebbe occupata lei, che era sempre stata sentimentale. Non potetti fare a meno di passare una mano sugli occhi opacizzati dal tempo del mio vecchio pupazzo con un nodo alla gola, scuotendo il capo; provavo quella terribile malinconia delle cose che hai perso e che sai non torneranno più, come lo spirito di quando eri bambino e il tuo problema maggiore era l'indecisione sulla scelta del gusto di gelato, quando potevi sceglierne solo tre ma ti sarebbero piaciuti tutti. E mi tornarono alla mente ricordi tanto lontani da non riuscire nemmeno a credere di non averli del tutto perduti, memorie di quando avevo forse cinque, sei anni e mia madre tentava di convincermi con le buone maniere ad indossare i braccioli, che mio padre stava gonfiando con la propria bocca seduto dietro di noi, al mare, o di alcuni bisticci avvenuti alle elementari con delle compagne di classe risolti con un mattoncino giallo prestato per terminare la costruzione l'una dell'altra.

Mostrai a Daniel la busta che tenevo in una mano, con gli occhi lucidi. «Pensa sempre a tutto, non è vero?» sussurrai trattenendo le lacrime.

«Vuoi che ti lasci sola?» mi chiese con tono premuroso, accarezzandomi una spalla.

𝑺𝑶𝑳𝑶 𝑫𝑼𝑬 𝑺𝑼𝑷𝑬𝑹𝑵𝑶𝑽𝑬Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora