Capitolo 26

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Massimo

Questa mattina mi sono svegliato con una sensazione strana che mi accompagna fino a lavoro. Come sempre sono il primo ad arrivare e mentre infilo le monetine per il solito caffè mella macchinetta, quello strano sfarfallio allo stomaco non mi lascia infastidendomi.

Non sopporto le distrazioni nei momenti importanti e questo lo è. Devo fare del mio meglio per scrivere un articolo da premio. Per errore mi ritrovo un caffè zuccherato in mano che mi fa storcere la bocca proprio nel momento in cui, mi si ripresenta davanti la scena del giorno prima.

Eva e Matteo escono dall'ascensore sorridendo fra loro e non posso non notare la mano di lui sulla sua vita. Comincia a darmi realmente fastidio le libertà che lui si prende con Eva. Cerco di giustificarmi con me stesso che la mia gelosia è un riflesso di quella che Stefania prova per quel deficiente, ognivolta che fa il cascamorto.

«Ciao ragazzi.» Saluto entrambi a denti stretti, non potrei sorridere neanche volendo oggi, ma non è un problema, perché io non ho nessuna intenzione di farlo.

«Oh, ciao amico.» La voce squillante di Matteo contrasta con quella appena udibile di Eva che si volta verso di me con ancora gli occhiali da sole indosso, cosa che odio, quando lo fanno gli altri, perché personalmente lo faccio sempre.

«Mi prenderesti un caffè anche a me?» Anche se vorrei già mandarlo al diavolo, mi rendo conto che la mia reazione non avrebbe molto senso ai loro occhi e allora, di malavoglia, ritorno a inserire monetine nella fessura in alto a destra di quell'aggeggio.

«Sai parlavamo con Eva delle tribù indiane. Lei è stata nelle riserve, incredibile. Ha pure parlato con un capo sciamano.» La vedo tirare la manica della camicia del mio amico come a zittirlo e la sintonia fra i due è sempre più evidente.

«Deve essere stato emozionante.» La mia voce fintamente interessata fa abbassare gli occhi a Eva. «Ora noi dovremmo lavorare?» le sottolineo passando il caffè caldo a Matteo che sbuffando se ne va al suo posto.

«A dopo tesoro.» Le deposita il solito bacio sulla guancia facendomi sbuffare, per non parlare del "solito" sorrisino che mi lancia mentre va via.

Restiamo soli tra i vari colleghi che iniziano ad affollare l'ingresso visto l'orario di apertura. Cerco di calmarmi. «Ci avviamo insieme o hai qualcosa da fare prima?» La vedo rialzare gli occhi nei miei e le sue dita che tengono il manico dello zaino si stringono sbiancandosi.

«No no, andiamo pure.» Allargo le braccia a indicarle di farmi strada e poi la seguo fino al suo ufficio.

Eva entra nella stanza buia e subito tira su la serranda per far entrare il sole che anche questa mattina è alto nel cielo, in barba al mio umore.

Mi accomodo nella sedia del giorno prima e in silenzio la osservo. Indossa dei blu jeans con una maglia nera, il ciondolo che porta sempre al collo rimbalza sul suo sterno a ogni movimento. È un po' agitata lo vedo dal suo respiro leggermente accelerato e dai suoi modi imbarazzati. Alla fine si siede davanti a me con un sospiro.

«Scusa, non sono abituata ad avere qualcuno in stanza.» Le guardo gli occhi verdi e lo sfarfallio nel mio stomaco si accentua, aumentando il mio malumore.

«Tranquilla, hai acceso il pc?» Non riesco a trattenere il mio tono quasi maleducato.

«Oh, sì certo.» Spinge il pulsante di accensione e sbattendo le dita sul ripiano attende di poter iniziare a lavorare.

Le sue dita accarezzano la treccia che con cura si posiziona sulla spalla sinistra. «Hai deciso come dobbiamo procedere?»

«Ho bisogno di avere il massimo delle informazioni sul giapponese, quel Mitoshi, così da avere la certezza di quello che posso scrivere, nel frattempo, inizierò a pubblicare degli articoli chiamiamoli preparatori. Sarò lusinghiero e piccato quanto basta per fargli abbassare la guardia.» Immagino già la reazione che le mie parole provocheranno e me ne sento entusiasta.

«Dovrò fare delle foto legate all'evento di beneficenza, giusto?» La vedo emozionata come me e purtroppo questo mi fa piacere, fin troppo.

«Sì, ma andremo insieme, okay?» Voglio essere presente agli scatti deve essere tutto perfetto.

«Pensi sia davvero necessario?» sposta la treccia sulla schiena e si appoggia alla spalliera della sua sedia con le mani incrociate in pancia.

«Sì, non te la devi prendere Eva, ma è troppo importante per me che sia tutto perfetto e noi lavoriamo insieme da un giorno.» Come deciso per me il passato non conto più, se non per il tenermi lontano da lei.

«In realtà, abbiamo lavorato insieme per più di un giorno.» Alza il sopracciglio a sottolineare il fastidio che prova per la mia poca fiducia.

«Vorrei evitare di parlarne, per me tu sei Eva la collega che ho conosciuto due giorni fa.» Stavolta sono io a spostarmi indietro fino a poggiare le spalle alla sedia.

«Sai che è una stronzata vero?» i suoi occhi brillano sfidandomi a dire che ho dimenticato il passato, ma non lo farò. Chi mai potrebbe crederci.

«Stronzata o no, io sono stato chiaro sui nostri rapporti attuali e futuri.» Resto legato a quegli occhi verdi che per anni ho adorato fino a conoscerne ogni dettaglio e che ora mi sembrano più sconosciuti che mai.

«Come vuoi.» Alza la mano e prende agitata il mouse fra le dita, preme con forza il tasto per aprire i files che avremmo visionato oggi, mostrandomi tutto il suo disappunto. «Io direi di iniziare con la storia di Mitoshi. Qui troverai la sua vita: quando è nato, dove è come ha iniziato la sua scalata nella realtà mafiosa di Kyoto.» Il file word che mi mostra è di diverse pagine.

«Sarà bene iniziare, mi sembra abbastanza lungo il racconto.» Cerco di alleggerire l'aria pesante di poco prima.

La lascio leggere ad alta voce, il suo timbro morbido e roco non è cambiato in questi anni. È affascinante almeno come la donna che attentamente mi sciovina date e luoghi di vita di una persona che mi rendo conto essere molto pericolosa.

Prendo appunti sul mio notes come mio solito, con Eva che mi ribadisce i concetti più importanti. Ritrovo in quei dettagli la mia di Eva, ma questo non glielo dirò mai, anche perché sono convinto che, quella come questa, non esistano veramente.

Finiamo il secondo approfondimento e la vedo stropicciare gli occhi, guardo l'ora e mi rendo conto di averle fatto saltare, nuovamente, il pasto.

«Sei stanca?» Le chiedo mentre trascrivo l'ultimo passaggio.

«Avrei bisogno di una caffè.» Si stiracchia tendendo la maglia nera e mostrandomi le sue sinuose forme.

«Non puoi sfamarti con un caffè. Scendo al bar qui sotto e torno. Tu mentre sistemeresti i miei appunti?» La vedo sorridere mentre con delicatezza afferra il mio notes, lei sa che non è una cosa che concedo a tutti ma, purtroppo, stando così a contatto, mi viene difficile tener fede al mio proposito.

«Ti prendo un panino caprese e un acqua gasata?» Il suo sorriso si trasforma in un espressione stupita almeno quanto la mia di quando mi rendo conto di aver ricordato perfettamente i suoi gusti.

«Sì...» In imbarazzo mi alzo e portandomi la mano destra ai capelli vado via da quella stanza minuscola. Sospiro per alleggerire la sensazione allo stomaco che mi tormenta.

«Idiota, resta concentrato.» Mi rimprovero mentre scendo le scale fino al pianterreno.

Bugia o MagiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora