Capitolo 67

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Massimo

Questi giorni sono stati una tortura. Ranieri è stato una tortura. Il lavoro è stato una tortura. Eccitarmi a telefono con Eva è stata una dolce tortura. La più sfiancante e elettrizzante. Non so come abbia fatto a resistere dal darmi sollievo da solo, e che, ora, avendola riassaporata è solo con lei che voglio soddisfarmi. Unirmi a lei, per poi esplodere di piacere.

Cazzo, riecco il mio amico sugli attenti, ma stavolta lei sta arrivando. Stavolta sarà nostra per tutta la notte.

È mercoledì mattina e me ne sto nel posteggio dell'aeroporto in attesa che atterri il volo di Eva. Sono arrivato in anticipo, troppo trepidante di riaverla fra le mie braccia e quando ho letto che il volo portava un'ora di ritardo ho maledetto il mondo intero.
Sono tornato in auto e sto tentando di lavorare, ma i miei pensieri libidinosi non mi aiutano molto con l'articolo sul clero che devo scrivere. Che tempistica la nomina dell'eccelso papa che da un anno ormai ci aiuta con le sue parole vere e profetiche. Avevo voglia di far vedere tutto il buono che ci può essere in una persona, dopo che ho fatto vedere tutto il male che ci può essere, ma di certo l'argomento è ben lontano dal mio stato attuale. Sono ben lontano dal potermi identificare in cotanta magnificenza, quando nella mia carne brucia il desiderio di lussuria per la mia donna.

Chiudo risoluto il portatile e mi ravvio i capelli osservando le persone che entrano ed escono dalle porte scorrevoli davanti a me. Dopo tanto mi sento di poter condividere i volti felici di chi ritrova la propria metà dopo un lungo viaggio. Faccio fatica a utilizzare il termine "amore", perché ne conosco troppo intimamente le sfaccettature della sua complessità che in questi nostri primi attimi insieme, non voglio ne faccia esplicitamente parte. Voglio tenerlo in panchina, in attesa del suo momento per travolgermi. Ovviamente è una stupida convinzione, ma mi fa stare più tranquillo sapere il mio cuore a riposo, anziché in balia dei mille sentimenti che mi graffiano la gola. Finalmente l'orologio segna l'ora che attendevo. Scendo su di giri dall'auto e vado incontro al mio presente.

Mi trovo in mezzo agli altri parenti, amici, amanti e condivido la loro fretta di veder aprire quelle porte scorrevoli per vedere mostrato il volto tanto desiderato. Uno, due, conto chi per primo è finito in qualche abbraccio o ha semplicemente fatto cenno a un taxi. Tre, quattro dondolo sulle mie converse con le mani nei jeans e gli occhiali da sole inforcati. Cinque, sei il mio respiro perde un fiato. Sette...

Lunghi capelli biondi sfiorano la giacca di pelle nera, gli occhi verdi scrutano la folla e quando mi scorgono ne vedo cambiare il colore, scaldarsi come sotto un sole cocente. La sua mano stringe il manico di un trolley blu con sopra adagiata la borsa da lavoro. Altre persone le camminano dietro, accanto, ma tolti i miei occhiali neri, nei nostri occhi c'è solo il nostro riflesso.

Passo dopo passo la tensione sale e quando finalmente il divisorio termina Eva si fionda fra le mie braccia che la raccolgono come se non la vedessero da una vita intera. Respiro il suo profumo, i suoi capelli nascondono il mio viso e non resisto, non sono un tipo molto paziente, non sono neanche un esibizionista ma il bisogno di lei è troppo impellente. Le prendo il viso fra le mani staccandola leggermente da me e con un sospiro mi impossesso delle sue labbra piene e invitante. Le nostre lingue si sfiorano e non trattengo un lamento perché ne voglio di più. Come non sono solito fare in pubblico esploro la sua bocca e lei fa lo stesso a me, in un languido bacio fatto di schiocchi e sospiri accelerati. Il suo corpo si modella al mio e quando mi rendo conto che sto per perdere la ragione l'allontano poggiando la mia fronte sulla sua.

«Ben tornata.» Bisbiglio sulle sue labbra.

«Non vedevo l'ora.» Mi sussurra lei stringendo fra le sue esili dita il giubotto che indosso.

«Andiamo...» La invito a seguirmi, afferro il trolley con la mano destra e passo l'altro braccio sulle sue spalle stringendola a me.

«Non dirmi che devi passare da lavoro perché non esiste.» Le dico subito, sedendomi accanto a lei nell'abitacolo, afferro distratto la cintura che inserisco nello scatto, in attesa di una sua risposta ma appena mi volto a guardarla vengo investito dal suo profumo floreale. Si spinge a cavalcioni su di me e a occhi aperti si cala lentamente sulle mie labbra fino a lambire con la lingua la superficie, incantatrice. Un bacio a occhi aperti. Credo sia la cosa più eccitante che io abbia mai provato, i nostri pensieri messi a nudo mentre le lingue si divertono a scontrarsi. Posa le mani sulle mie spalle che accarezza fino a sfiorare con la punta delle dita il mio collo nudo.

Una scarica elettrica, a quel lieve contatto, mi porta a mordere la sua bocca. Ansimo eccitato mentre con una mano tento di farla stare ferma sui miei pantaloni e con l'altra le arpiono i capelli incollandola a me. Sono in paradiso, dopo giorni di agonia. La sento rallentare il ritmo quando io sono ormai pervaso dalla frenesia, nella luce del sole al tramonto, sarei disposto a farla mia in un parcheggio, ormai perso alla ricerca della nostra fine.

Con un mugugno di protesta le sue labbra si staccano dalle mie. Tento un nuovo contatto ma alla fine cedo alla sua pressione che mi riporta al mio posto.

«Andiamo a casa.» Ritorna a sedere e io boccheggio in cerca di ossigeno.

Mi porto le mani a sfregare il mio viso per recuperare il controllo. Perché l'ho proprio perso.

«Andiamo...» Con il respiro ancora accelerato metto in moto verso casa. Non mi importa se la sua o la mia, mi importa solo che ci stiamo dentro entrambi.

Posteggio sotto casa mia poco tempo dopo, durante il viaggio ha regnato il silenzio, quel tipo di silenzio in cui pregusti l'eccitazione che ti scorre in corpo.

«Arrivati.» Il suo viso si volge verso il mio e non resisto ad accarezzarle il profilo. Passo il pollice sulle sue labbra ancora gonfie per il nostro bacio, ne tasto la consistenza morbida e mi riempio di brividi quando il suo respiro ne l'ambisce il polpastrello. Stringo i denti a torturare il mio labbro inferiore mentre ipnotizzato ammiro la sua bellezza.

«Ti prego, saliamo.» Le sue guance si colorano di rosso per avermi mostrato il suo desiderio e io faccio scattare le nostre cinture.

Le lascio un bacio a stampo e velocemente entrambi scendiamo per ritrovarci vicini davanti l'ingresso di casa mia. Apro la porta e la faccio passare per poi tirarmi dietro la sua valigia fino all'ascensore. Dentro quella minuscola scatola non la tocco, questa volta non mi fermerei se lo facessi.

Il bip del piano mi fa stringere lo stomaco per l'attesa e dal suono del suo respiro capisco che anche lei ha perso un battito. Le faccio spazio fino allo porta e poi dentro casa ma, a questo punto, siamo liberi. A questo punto non ci sono più freni al nostro desiderio di appartenerci. Le afferro un braccio per tirarla a me e spingerla con frenesia sopra il legno che avevo appena chiuso.

Il suo "Oh", sorpreso, è l'inizio della fine.

Bugia o MagiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora