Capitolo 61

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Massimo

Non posso credere di averla lasciata andare ancora una volta.

Torno indietro sui miei passi e trovo Vanessa ferma davanti al locale, con un ragazzo che le tiene la giacca per aiutarla.

Rallento quando alla mia vista pianta in asso il ragazzo che ora riconosco, era alla festa. Si precipita come una furia davanti a me. I suoi capelli ricci svolazzano indomiti come le furie che gli animano gli occhi.

«Vanessa...» La chiama lui sorpreso dalla sua reazione.

«Arrivo!» Gli fa cenno con la mano e torna a concentrarsi su di me. «Dov'è Eva?» guarda alle mie spalle convinta di vederla arrivare.

«È andata via.» Mi muove leggermente indietro e mi porto una mano stancamente sul viso. Dovevo fermarla.

«Non eri con quella ragazza, vero?» Sorrido tristemente.

«Certo che no.» Torno a infilare la mano in tasca.

«E perché eri qui?» Alzo un sopracciglio.

«Non credo siano affari tuoi.» Mi guarda a muso duro.

«Considerando quanto hai fatto lo stronzo, sì che sono fatti miei.» Il suo indice torna a spingere sulla mia spalla.

«Dovrai aspettare che mi chiarisca con lei, mercoledì.» Alzo le spalle e faccio per andar via.

«Mercoledì, ma è matta.» È davvero strana questa ragazza.

«Già, condivido. Buona serata.» Reputo la discussione chiusa e oltrepasso la riccia che borbotta contro l'amica facendomi sorridere nonostante tutto.

Salgo in auto sconfitto. Non era questo che mi ero immaginato, ma ho capito che con lei non devo dare niente per scontato. Con riluttanza rimetto in moto per tornare a casa, ero uscito davvero pieno di speranze. Sono ingabbiato nelle mie riflessioni quando il mio telefono inizia a suonare. «L'hai trovata?»

«Ciao Stefania, sì l'ho trovata.» Metto la freccia sconsolato, finirà mai questa serata? E finiranno mai queste domande?

«E allora? Perché avevi così urgenza di vederla?» Vorrei risponderle sbrigativo, diciamo come ho fatto con Vanessa, ma la mia amica non me lo perdonerebbe.

«Perché so finalmente cosa fare.» Perché sono stufo di lottare. Perché credo di amarla in un nuovo modo altrettanto unico.

«E lei? È con te?» Sorpasso un taxi che mi riporta in mente quel triste momento.

«No, Stefania. Non ha voluto ascoltarmi, era un po' sconvolta perché quando ci siamo visti una tipa mi voleva abbordare...» Che sfiga.

«E...»

«E allora mi ha chiesto di aspettare il suo ritorno per essere certo di ciò che voglio dirgli.» Che paradosso, torna per riconquistarmi e ora che mi ha se ne va via.

«Pensi che fosse necessario?» La voce di Stefania mi dimostra di esserci rimasta male e non sa come mi sento io.

«In realtà no, ma non era pronta.» Le insegne del mio quartiere mi fanno capire di essere finalmente a casa. Posteggio non staccando il bluetooth. «Che dovevo fare Stè, le ho concesso il tempo che mi ha chiesto.»

«Pazienza amico mio. Torna mercoledì, se non sbaglio.» Purtroppo ricorda bene.

«Sì.» È più un lamento e sbatto la testa sul poggiatesta. Stringo il volante frustrato, cazzo.

«Notte, okay.» Non ho più voglia di stare qui al telefono. La notte è molto buia e le poche luce dei lampioni non riescono a illuminare bene la via.

«Notte.» Schiaccio il tasto di chiusura e tiro via le chiavi, resto un attimo fermo a riflettere sul nostro scambio di battute. Forse avrei potuto dire di più.

Rimurgino sull'incontro anche quando fisso il soffitto della mia stanza. Questo letto non mi è mai sembrato così vuoto. Mi giro verso il comodino e spengo la luce. Sarà mai il nostro tempo.

Decido di dormire o almeno ci provo, troppo irrequieto per lasciarmi andare. Sento la fretta scorrermi dentro come se non avessimo più tempo. Mi giro e rigiro attorcigliando il lenzuolo alle gambe. Alla fine lo scanso via indispettito e quando sembra finalmente sopraggiungere il torpore prima del sonno, il suono del telefono mi fa saltare in aria.

Preoccupato allungo la mano verso il comodino dove lo schermo acceso mi conferma che è vero, qualcuno mi sta chiamando. Sorpreso afferro il cellulare e scorro lo schermo per rispondere con il dito senza leggere chi sia dall'altra parte.

«Pronto.» Sono scocciato, avranno sbagliato vista l'ora. Invece a pormi le domande che mi hanno fatte tutte questa sera è, finalmente, la persona giusta.

«Perché eri in quel pub?» Sollevato che sia davvero lei mi affretto a rispondere, il cuore mi batte più velocemente in petto. Non riesco a credere che non sia solo un sogno.

«Per te.» Mi siedo sul letto appoggiando la schiena alla tastiera. Non sono più agitato, sono troppo contento che mi abbia chiamato. Cerco di capire dove si trova e fino a che punto abbia cambiato idea. Sono disposto a correre da lei anche subito.

«E quella rossa?» Chiudo gli occhi affranto per quell'equivoco ma sollevato di poterne finalmente parlare. Mi mordo il labbro nel buio della mia stanza, riesco a intravedere solo il mio stomaco lasciato nudo.

«Mi voleva abbordare.» Le confesso subito, accarezzando il lenzuolo e cercando di immaginare la mia bionda. Mentre l'urgenza di averla vicina è sempre più pressante.

«E tu l'hai rifiutata.» Si risponde lei stessa, cercava solo una conferma. Spero che sia finalmente conclusa questa storia, io non posso aspettare tutti questi giorni.

Resto in ascolto del suo respiro irregolare, mi sembra quasi, come se le riflessioni che le affollano la mente fossero talmente intense da farle dimenticare quell'atto spontaneo. Il petto mi brucia per mancanza di ossigeno dimostrandomi che anche io ho un problema in tal senso.

Ormai certo che andrò da lei, ovunque sia, mi siedo sul bordo del letto. Mi gratto la nuca cercando le parole per convincerla a vederci.

«Eva...» Cosa posso dirle. Mi alzo passeggiando per la stanza buia. Il pavimento freddo mi fa raggelare ma il mio vero problema è la paura di non riuscire a stringerla nelle mie braccia questa notte.

«Massimo...» Mi interrompe lei e mi sembra di sentire qualcuno parlarle di soldi.

«Eva, ma dove sei?» Avanzo nel corridoio accendendo qualche luce qua e la.

«Massimo...» Titubante ripete il mio nome. «Io, io sono arrivata.» Impossibile sia arrivata ora a casa, dove diavolo è. «Mi apri?» Resto fermo per un attimo, se mi voleva stupire c'è riuscita perfettamente.

«Sei qui.» Mi precipito al citofono e vedo la mia piccola in attesa sulla soglia. Apro immediatamente il portone e anche la porta del piano. Incurante di essere a petto nudo l'aspetto davanti l'ascensore fremendo. Placo l'istinto che mi dice di correre giù dalle scale. L'adrenalina scorre nelle vene a ogni numero che si colare sul display luminoso che segna il piano. Stringo le mani in pugni mentre conto mentalmente ogni secondo. E quando finalmente l'ascensore si ferma, spingo per aprire velocemente le porte. Non le do il tempo di uscire che l'afferro stretta nelle mie braccia. Il dolce profumo di fiori mi avvolge riempiendomi il cuore. È lei.

Al diavolo il doverle spiegare.
Al diavolo il doverle parlare.
Io ho bisogno di farla mia come è giusto che sia, e dalla sua reazione capisco che anche lei è stufa di aspettare. L'afferro per il sedere e lei cinge i miei fianchi con le sue gambe sode, la sento stringermi mentre con le mani affonda nei miei capelli e io affondo nella sua bocca.

Cammino verso il mio appartamento chiedendole l'accesso alla sua morbida bocca e quando le nostre lingue si ritrovano, un gemito mi esce voglioso di iniziare una lunga lotta. Chiudo la porta con un calcio e la poggio sopra di questa spingendomi contro di lei. Le accarezzo i capelli mentre i nostri sapori si mischiano in ansimi di desiderio.

Il cuore mi scoppia in petto e il suo va allo stesso ritmo, come anche il nostro bacio disperato.

Bugia o MagiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora