Capitolo 32

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Massimo

Passeggio avanti e indietro nell'androne del palazzo del giornale con in mano la mia stick accesa. Okay, forse fumo un po' di più ultimamente, ma sono particolarmente stressato. Neanche il duro allenamento di ieri sera è riuscito a sciogliere i miei muscoli. Mi tira il livido che ho sullo zigomo.

Finisco di fumare e mi avvicino al marciapiede dove si trova un secchio per i rifiuti, alzo gli occhi ed ecco la scena degli ultimi giorni ripresentarsi ancora una volta. Eva scende dall'auto di Matteo che accosta, per permetterle di tirarsi dietro anche il borsone azzurro, più grande di lei. Istintivamente mi avvio da quella parte, con un sopracciglio alzato, e il cattivo umore che peggiora drasticamente.

Afferro il manico dalle sue mani e mi carico il peso sulle spalle. «Grazie, Matteo.» Gli faccio cenno di andare e lo stronzo ha il coraggio di guardarmi con un ghigno prima di inserire la prima e andare a posteggiare.

«Tranquillo, posso fare da sola.» Mi rincorre la donna minuta a cui non ho ancora neanche rivolto la parola. Mi dirigo alla nostra destra, dove avevo posteggiato la mia di auto, tiro fuori la chiave dalla tasca con la mano libera e premo il pulsante per aprire.

«Massimo, ho detto che faccio io. Non ho bisogno di aiuto.» A quelle parole sorrido tristemente, lei non può vedermi, il portabagagli aperto mi cela alla sua vista, ma è sempre la stessa storia: lei non ha bisogno di me.

«Di questo non ho dubbi.» Sarcastico le rivolgo le mie prime parole mentre chiudo il dietro dell'auto, per tornare sul marciapiede da lei.
«Hai altro da prendere?» sorvolo sul discorso che sarebbe troppo intimo e complicato da fare e non ne ho voglia.

Neanche gli occhiali da sole riescono a celare il suo risentimento verso di me. Forse ieri ho esagerato o forse l'altro ieri ho esagerato, ma che importa, io non voglio un rapporto amichevole con lei. Non mi interessa il suo pensiero su di me.

«Eva, rispondi per favore, non voglio fare tardi.» Mi passo una mano fra i capelli spazientito. Visto che non posso guardarla in viso scendo sul ciondolo, abbandonato sulla sua pelle bianca, che mi si mostra fin sopra l'attaccatura dei seni. Audace maglietta per Eva e pericolosa visuale per il mio autocontrollo che mi spinge a guardare oltre, inondando la mia bocca di saliva.

«La pianti!» distolgo lo sguardo da quel piccolo spicchio di desiderio per riportarlo sul suo viso, dove, ora, due splendidi occhi verdi brillano di indignazione. Io odio gli occhiali da sole, ne sono ormai certo, quando mi celano questa bellezza.

«Di fare cosa?» sorrido provocatorio.

«Oh, al diavolo.» Si gira velocemente per entrare nel palazzo ma non riesce a celarmi le sue guance arrossate. Ha capito tutto Eva, ha riconosciuto il desiderio in me e sono certo che nessun altro avrebbe fatto caso a quel dettaglio. C'è bisogno di più sfacciataggine al giorno d'oggi per farsi capire, ma lei riesce a leggermi dentro come sempre e devo stare attento. Non posso permettermi che capisca altro.

«Devo prendere un foglio dal mio tavolo e poi ho bisogno di un caffè.» Mi urla praticamente mentre spinge la porta di ingresso.

Muovo il primo passo per seguirla di malavoglia ed entro con lei nel palazzo. «Io prendo due caffè qui giù. Hai due minuti.» Le mostro il due con la mano prima di girarmi per raggiungere le macchinette.

Infilo la mano nella tasca destra della giacca che ho deciso di indossare oggi, per conformarmi all'ambiente snob della politica e della beneficenza in cui andremo a breve. Attendo la preparazione del caffe con la mano appoggiata alla macchinetta, fischiettando la canzone di Menegoni Due mila volte quando mi sento colpire alla spalla.

«Adoro la tua faccio di cazzo quando mi vede arrivare con Eva.» La risata fuori luogo di Matteo me lo fa girare almeno quanto la sua di faccia da cazzo e almeno quanto il fatto che accompagni Eva come un fidanzatino.

«Si può sapere perché ogni mattina sei con lei?» Di malavoglia gli passo il primo caffè e pur sempre mio amico.

«Perché la vado a prendere. Non ha un auto al momento e per non farla andare in giro da sola le faccio da autista. Dovresti esserne felice.» Si compiace da solo della sua idea.

Gentilmente mi preme un dito sulla fronte. «Quando comincerai a riflettere sul darle una seconda possibilità?» Gli allontano la mano malamente.

«Tu sei matto. Io non do seconde possibilità in nessun caso.» Lo guardo minaccioso, perché non voglio sentirgli dire più cazzate di questo genere.

Il rumore dell'ascensore alleggerisce l'atmosfera e mi fa spostare indietro, mi ero anche avvicinato senza farci caso.

«Io non c'ero. Non ho visto quello che eravate ma sono certo che fareste ancora scintille. Tu, amico mio, sei fatto per quella donna.» Incurante della mia minaccia e di Eva che si avvicina, finisce con questa sua perla di saggezza.

«Hai ragione, non sai un cazzo di lei e di noi, quindi per favore lascia stare l'argomento Mattè. Io tengo a te, ma questo è un qualcosa di cui non voglio parlare.» Porto il caffè alle labbra prima che il profumo di Eva mi giunga alle narici facendomi capire che è arrivata.

«Io comunque lo faccio per te. Secondo me ti sbagli su di lei.»

«Matteo, lascia stare.» Sibilo.

«Cosa?» si intromette Eva prendendo il caffè dalle mie mani. La sua pelle sfiora la mia e io sento una scossa, tutta colpa di quel deficiente che mi fa venire strani pensieri.

«Niente tigre. Ti riporto a casa?» le porta una ciocca di capelli dietro l'orecchio facendomi sempre più incazzare. Ora ho capito il perché lo fa e ne sono ancora più infastidito.

«No, la porto io.» Che cazzo dico! Entrambi si girano verso di me: una incredula e l'altro divertito. «Visto che saremo in giro mi sembra pratico.» Getto il bicchierino ormai vuoto. «Okay, andiamo, si sta facendo tardi.» Inforco gli occhiali scuri e mi volto verso l'ingresso dove mi incammino brotolando infastidito.
Ovviamente Eva non mi segue e io sono sempre più nervoso.

Arrivo fuori e conto fino a dieci, se non arriva all'ultimo numero me ne vado. «Dieci.»

«Eccomi, allora andiamo?» mi sorpassa diretta alla mia auto che apro pigramente. Non ho certo molta voglia di stare chiuso li dentro con lei, già ho problemi nel suo ufficio.

Mi siedo al posto di guida e tiro giù il finestrino prima di partire. «Sei sicura di avere tutto?» odio essere impreparato o dover tornare indietro.

Il suo sbuffare mi fa quasi ridere ed è il primo momento di ilarità che provo oggi o forse da giorni. «Sì, Massimo, è il mio lavoro e lo so fare molto bene, okay?» non le rispondo neanche accendendo l'auto pronto a partire. Sono nervoso di incontrare Massaro, nonostante ora so che finirà in carcere, provo repulsione per quell'uomo che ha stuprato diverse donne o addirittura ragazzine e che ci vuole rappresentare come politico.

«Aspetta!» la voce terrorizzata di Eva mi fa subito fermare. Mi volto allarmato verso di lei, che mi guarda preoccupata.

«Che è successo?» non sono abituato a vederla in questo stato.

«E se mi riconoscesse?»

Bugia o MagiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora