Capitolo 11

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«È di nuovo in ritardo, Riviero» mi salutò Grimaldi mentre entravo nel suo ufficio.

«Buongiorno anche a lei, capo» ricambiai, ormai abituata al fatto che mi ripeteva la stessa cosa ogni santo giorno. «Le ho portato questo» dissi, appoggiando una custodia per abiti davanti alla scrivania.

«E quello cos'è?» mi chiese confuso.

«Il vestito che mi aveva chiesto di indossare alla sfilata» risposi ancora più confusa. «Stia tranquillo perché l'ho fatto lavare. Anzi, mi scuso ma sono riuscita a ritirarlo dalla lavanderia solo ieri sera.»

Grimaldi mi osservò in silenzio e poi abbassò lo sguardo sul vestito appoggiato sulla sedia.

«Era un regalo, Riviero» disse riportando lo sguardo su di me. «Non mi aspettavo che me lo restituisse.»

«Eh?»

«Può tenerlo» spiegò il mio capo, deciso a chiudere lì la conversazione.

«Non lo sapevo» sussurrai fissando l'involucro che conteneva il vestito. «Se lo avessi saputo, non avrei accettato.»

«E perché non avrebbe dovuto?» mi chiese Grimaldi, non seguendo il filo del mio ragionamento. «Le ho già spiegato che è il mio modo per chiederle scusa per... tutto» disse facendo un gesto vago con la mano.

«Accetto le scuse, ma non il vestito» dissi decisa. «Non saprei comunque che farmene.»

«Perché, io cosa dovrei farmene?» replicò Grimaldi. «Di sicuro non è della mia taglia.»

Tentai di sopprimere un sorriso. Era vero che, dopo la sfilata, il nostro rapporto era parzialmente migliorato, ma da qui a ridere al suo tentativo di farmi accettare quel vestito ce ne voleva di strada.

«Potrebbe regalarlo a qualcun'altra» proposi, avendo un lampo di genio. «La signorina Costa, per esempio? Lei ne sarebbe entusiasta!» esclamai. Immaginare Grimaldi che dava un regalo, che io avevo rifiutato, a Barbie, solo perché non sapeva che farsene, mi divertì non poco.

«No, Riviero» disse Grimaldi con un'espressione seria. «L'ho comprato per lei e ora lei se lo tiene.»

«Ma...»

«Niente ma. La conversazione è chiusa. Prenda quel vestito e si metta a lavoro» disse Grimaldi, abusando della sua posizione di capo per evitare che protestassi ancora.

Uscii dal suo ufficio tenendo tra le braccia quell'involucro ingombrante, ma mi sentivo incomprensibilmente leggera.

«Hai l'aria di chi potrebbe spiegare le ali e volare da un momento all'altro» disse Mattia dietro di me. Indossava ancora il cappotto, per cui constatai che doveva essere arrivato in quel momento.

«Senti un po', ma com'è che io vengo ripresa per un ritardo di cinque minuti e tu arrivi tranquillamente quando vuoi?» gli chiesi, evitando di rispondere e di pensare al suo commento.

«Perché io posso permettermelo. Tu no» disse divertito, ma poi la sua espressione tradì un pizzico di preoccupazione quando i suoi occhi si soffermarono sulla porta dell'ufficio di Grimaldi.

Durante quella settimana, dopo la batosta della sfilata, lui e il mio capo si erano chiusi dentro lo studio e avevano avuto continue riunioni che li avevano lasciati sfiniti. Quelle poche volte in cui avevano richiesto anche la mia presenza, avevo potuto captare che, se non avessimo trovato qualcuno disposto a risollevare finanziariamente l'azienda, la Grimaldi Corporation rischiava di chiudere.

In azienda, nessuno dei miei colleghi sapeva della situazione in cui ci trovavamo. Infatti, a causa dei preparativi per il matrimonio di mio padre, avevo avuto l'occasione di frequentare assiduamente gli altri piani ed era evidente che nessuno immaginava il rischio di poter rimanere senza lavoro di lì a poco. La vita di tutti continuava tranquilla e beata, ignara dell'incertezza che ci aspettava nel futuro.

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