Capitolo 25

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«Va tutto bene» sussurrai per la centesima volta. La mia mano accarezzava la sua fronte nel buio più totale, nel tentativo di tranquillizzarlo e farlo smettere quantomeno di tremare. «La luce tornerà presto» aggiunsi, sfiorandogli le palpebre con le dita.

«Non respiro» disse in affanno. Stava avendo un attacco di panico e quella maledetta luce non si decideva a tornare.

«Sì che respiri» replicai con fermezza. Sbottonai qualche bottone della sua camicia, sperando di alleviare la sua sensazione di soffocamento. «Adesso respiriamo insieme, d'accordo?» dissi con dolcezza. Sembrava un bambino lì tra le mie braccia, con la differenza che non aveva avuto solo un brutto sogno.

Gli portai la mano sul petto, sperando di ottenere qualche risultato.

«Tieni gli occhi chiusi» gli suggerii, prima di cominciare a guidarlo. «Inspira» dissi, mentre il suo petto si sollevava sotto la mia mano. «Espira» continuai dopo due secondi.

Ripetemmo questo mantra per qualche minuto e, alla fine, sentii che si era per lo meno calmato. Tuttavia, la luce non era ancora tornata.

«Va meglio?» gli chiesi, spostando la mano dal suo petto alla sua guancia. Lo sentii annuire. Per lo meno, avevamo calmato l'attacco di panico, ma non aveva neanche la forza per rispondermi un misero "sì".

«Grazie» sussurrò flebilmente. Riuscii a sentire ciò che avevo detto solo perché la sua testa era appoggiata sulla mia spalla.

Adesso cominciava a sembrare davvero un bambino impaurito.

«Sai cosa faceva mia madre quando facevo un brutto sogno?» gli chiesi. Gli accarezzai i capelli, nel tentativo di trasmettergli calma. «Mi descriveva gli abiti più belli che disegnava.»

«Davvero?» sussurrò Marzio. La sua voce nascondeva un sorriso leggero. E, soprattutto, era riuscito a pronunciare almeno una parola.

«Già. Ed erano per la regina delle fate» aggiunsi.

«La regina delle fate?» ripeté. Questa volta aveva detto quattro parole. Facevamo progressi.

«Che c'è? Non credi nelle fate?» lo provocai. Nel frattempo, continuavo ad accarezzargli i capelli. «Io avevo cinque anni» gli spiegai. «E pensavo che la regina delle fate fosse Stefania, la nostra domestica.»

Avvicinai le dita agli angoli della bocca di Marzio e notai che sul suo viso era comparso un debole sorriso. Inoltre, il suo respiro si era fatto regolare. Perciò, decisi di continuare a parlare.

«Una volta», raccontai, «mia madre fu costretta a svegliarla nel pieno della notte perché volevo vedere Stefania indossare l'abito che mamma le aveva fatto per il ballo di corte.»

«E poi cosa è successo?» sussurrò.

«In realtà, non ricordo molto bene» risposi, tentando di far tornare alla mente ricordi parecchio sbiaditi. «Credo di aver fatto organizzare a mamma e Stefania una sfilata alle tre di notte, ma non ne sono sicura» constatai, dopo averci riflettuto.

«Che peste...» commentò Marzio. Stavolta, un chiaro sorriso aveva attraversato la sua voce. «Quindi tua madre era una stilista?» mi chiese.

«Già» risposi. «È per questo che mi sono appassionata al settore della moda. Ero sempre vicino a lei quando disegnava e mi piaceva vedere i suoi abiti durante le sfilate.»

«Dovevi volerle molto bene» disse dopo un po', vedendo che non aggiungevo altro. Mi ero persa nei miei pensieri. Erano anni che non parlavo più di lei. Per cui, parlarne in quel modo, come se fosse la cosa più naturale del mondo, era una sensazione strana.

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