Capitolo 54

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Ero bella carica e riposata.

Marzio aveva preparato la colazione per me quella mattina e i pancake che aveva fatto erano stati un'iniezione di energia nel mio corpo.

Avevo la nausea all'idea che mio padre si sarebbe sposato con Giselle di lì a poche ore, ma il fatto che il giorno precedente non avessi messo quasi nulla nello stomaco mi aiutò a trovare la voglia di mangiare.

La villa in cui si sarebbe svolto il matrimonio era la stessa villa dove mio padre aveva vissuto con mia madre per circa trent'anni. Non riuscivo a credere alla mancanza di rispetto di quell'uomo nei confronti di tutte le persone che lo circondavano.

Per l'occasione, dei fiori bianchi e rossi erano stati sistemati all'interno della casa e nel giardino, dove si sarebbe svolto il matrimonio. Fu incredibile come mi sentissi un'estranea in un posto in cui ero cresciuta e in cui avevo vissuto fino a qualche anno prima.

Le persone mi guardavano incuriosite, come se avessero capito che ero io la Daphne Riviero che aveva abbandonato il mondo dell'alta società. Sicuramente, però, il fatto che il mio nome fosse finito sui giornali insieme a quello di Dylan era ciò che li aveva portati a riconoscermi.

C'erano centinaia di persone presenti e li vedevo osservarmi curiosi per poi cercare di capire se fossi con qualcuno. Ero sicura che stessero cercando con lo sguardo quell'idiota di Dylan e Marzio veniva continuamente trascinato via da me da chiunque per parlare di affari.

Mi gettai sul terzo bicchiere di champagne, quando una mano bloccò il mio polso.

«Non credi di star esagerando?» mi chiese Marzio preoccupato. Lo smoking che aveva indossato gli stava proprio bene addosso.

«Non pensavo di dovermi gettare sull'alcool per farti materializzare al mio fianco» ribadii, bevendo un sorso dal bicchiere. Non aveva tutti i torti, ovviamente. La cerimonia doveva ancora iniziare e io ero già sul punto di prendere un quarto bicchiere dai vassoi con cui i camerieri giravano nel giardino.

Quando ci invitarono a prendere posto per dare inizio al matrimonio, ero un pugno di nervi.

Io e Marzio ci eravamo seduti in ultima fila, il più lontano possibile. Era già tanto se mi ero presentata lì quella mattina: non c'era alcun bisogno di andarmi a sedere in prima fila e fingere di sostenere le scelte discutibili di mio padre.

Lui, d'altro canto, non aveva neanche provato a chiedermi di essere più partecipe. Si era semplicemente accertato che mi fossi presentata e che mi fossi seduta per assistere allo scambio delle promesse. Poi, mi aveva abbandonato a me stessa.

Quando Giselle comparve tra i sussurri di stupore generale "per la sua bellezza", mi resi conto che l'abito confezionatole dalla Grimaldi Corporation le dava quel tocco di grazia che non le avevo mai attribuito. In questo caso, l'abito faceva proprio il monaco.

L'abito fasciava il suo corpo come una seconda pelle ed evidenziava le sue forme in modo tale da valorizzare il suo fisico. L'azienda per cui lavoravo aveva fatto proprio un buon lavoro, anche se non mi sarebbe dispiaciuto se, per quell'occasione, si fosse impegnata meno.

Giselle si diresse verso mio padre seguendo il ritmo della marcia nuziale. In volto, aveva il sorriso che qualunque sposa sfoggiava quando stava per sposare l'uomo che amava. Quando però lei e mio padre si scambiarono le promesse, ero sicura che quasi tutti i presenti avessero pensato che quelle parole fossero un po' banali e poco profonde.

Persino io e Marzio, che ci eravamo sposati senza che fosse esattamente una nostra scelta, avevamo pronunciato parole più sincere di quelle che stavo sentendo ora.

Mi sembrava che le uniche cose sincere, che mio padre aveva detto quel giorno, fossero i ringraziamenti che aveva rivolto ai suoi invitati prima di aprire il banchetto. Aveva ancora il microfono in mano quando uno dei suoi invitati, un signore alto e senza capelli, con degli occhiali rossi sulla punta del naso, lo interruppe.

«Signor Riviero» disse, «uno dei miei dipendenti mi ha informato che sua figlia si è sposata recentemente.»

Per poco non mi affogai sentendo quelle parole. Quello era un giornalista, sicuro come la morte. Solo un giornalista avrebbe interrotto mio padre nel bel mezzo del suo discorso per fargli una domanda simile.

«Proprio così» rispose mio padre con un sorriso stentato. «La nostra famiglia ha molto da festeggiare in questo periodo.» Era evidente che stava tentando di chiudere lì quella conversazione, ma le cose non andarono come voleva.

«Mi risulta che il marito non sia il signor Dylan Toronto però» incalzò quell'uomo. «Eppure sua figlia è stata fotografata in atteggiamenti intimi con lui non molto tempo fa.»

Marzio era al mio fianco e aveva assunto la stessa espressione truce che avevo io.

«Il signor Toronto e mia figlia hanno avuto una relazione che è giunta al termine parecchi anni fa» rispose mio padre, dicendo ciò che i giornalisti sapevano già.

«Mi risulta» continuò però quell'uomo, completamente disinteressato alla risposta che aveva ricevuto, «che sua figlia abbia sposato l'attuale marito perché lo ha imposto lei, signor Riviero.»

A quel punto, un vocio si alzò nella sala. Riuscivo a percepire le parole sussurrate da chi mi stava vicino: tutti si chiedevano se fosse ancora possibile organizzare matrimoni combinati.

«È vero che il signor Marzio Grimaldi, direttore della Grimaldi Corporation, è stato costretto a sposare sua figlia per salvare l'azienda?»

Quella domanda era la perfetta conclusione a cui quel giornalista voleva giungere quando aveva tirato fuori quell'argomento. Non ero sorpresa, a quel punto, di come fosse proseguita quella conversazione.

Non avevo mai creduto, tuttavia, che qualcuno potesse davvero scoprire le circostanze in cui io e Marzio ci eravamo sposati. Rimasi di sasso, mentre le persone intorno cominciavano a posare gli occhi su noi due.

Era come se il mio peggior incubo si fosse avverato: ciò che più avevo temuto da quando quella storia era cominciata, alla fine era diventato realtà.

Marzio mi rivolse uno sguardo dispiaciuto. Quella situazione non lo metteva di certo a suo agio, ma ero stata io quella che di più tra noi due aveva temuto che la verità potesse venire a galla ed era per me che era preoccupato.

C'erano stati malintesi su malintesi, litigi su litigi, negli ultimi mesi, proprio perché io non avevo voluto che quel matrimonio organizzato da mio padre diventasse un argomento di dominio pubblico. Eppure, alla fine era successo davvero. Alla fine, era stato inutile tentare di tenere tutto nascosto.

A grandi passi, sotto lo sguardo di centinaia di persone, mi diressi verso il punto in cui mio padre era ancora fermo con il microfono in mano. La sua espressione nascondeva una rabbia che mi fece capire che quel giornalista avrebbe potuto chiudere la sua rivista molto presto.

Presi con decisione in mano il microfono e mi schiarii la voce per attirare l'attenzione.

C'era qualcosa di molto importante che avevo da dire.

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