Capitolo 47

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«Dovresti chiamare Nadia e dirle di venire in comune domani mattina» disse Marzio. «Suppongo tu voglia lei come tuo testimone.»

«Io sarò quello di Marzio» mi rassicurò Mattia, notando che non avevo aperto bocca da quando mi avevano dato quella notizia.

Il mio cervello aveva archiviato quell'informazione e continuava a spostarla in un angolino. Il giorno seguente, a quella stessa ora, probabilmente io e Marzio saremmo stati marito e moglie. Eppure, c'era qualcosa di più urgente a cui stavo pensando, qualcosa che al momento mi sembrava essere più importante del fatto che la mia vita stava per cambiare inesorabilmente.

«Potresti anche dire qualcosa adesso» mi riprese Marzio.

Senza dire nulla, gettai sulla sua scrivania le riviste che avevo portato dal mio ufficio, imitando il gesto che mio padre aveva fatto poco prima con me.

Marzio lanciò uno sguardo confuso a quei giornali che gli avevo scaraventato sulla scrivania, ma fu Mattia ad avere una reazione più veloce.

Ne prese uno in mano e, dopo aver appurato quale fosse il problema, cominciò a spostare lo sguardo da me a Marzio con un'espressione di puro stupore.

«Io vi lascio soli» disse soltanto, fiondandosi fuori dalla stanza.

Marzio gli lanciò uno sguardo confuso e prese una di quelle riviste per capire cosa lo avesse scioccato al punto da lasciarci soli in fretta e furia.

Notai la sua espressione cambiare e passare attraverso mille sfaccettature di confusione, stupore e irritazione. Lui odiava che il suo nome fosse associato a dei pettegolezzi e, nelle ultime due settimane, era stato il centro dell'attenzione del gossip cittadino.

«Cosa sta succedendo?» gli chiesi con tono stanco, sedendomi sfinita sulla sedia su cui fino a poco prima c'era Mattia. «C'è qualcosa tra di voi?»

«No!» esclamò immediatamente. Lo aveva detto con un tono sincero che non lasciò spazio a dubbi. «Ieri sera, avevo del lavoro da completare dopo la riunione. Avevo dei documenti a casa e mi serviva che Elvira mi desse una mano. Dovevo inviarli entro questa mattina» spiegò.

«E non hai pensato ai giornalisti sotto casa tua, quando l'hai portata da te, giusto?» chiesi.

Nei suoi occhi, lessi che ci avevo azzeccato. Avrei voluto sbattergli la testa al muro in quel momento.

«Non c'è nulla di vero in quello che scrivono qui» disse. «Non c'è nulla di più di un semplice rapporto di lavoro.»

«E allora spiegami questa» dissi. Presi una delle riviste e la sfogliai fino alla pagina con l'articolo che li riguardava. Gli misi davanti la foto del suo abbraccio con Elvira e vidi il lampo di stupore che gli aveva attraversato il volto.

Mi rendevo conto che quello sembrava un interrogatorio, ma non mi importava di fargli il terzo grado dal momento che c'era decisamente qualcosa sotto.

«Non è come sembra» si difese lui.

«Davvero? E allora dimmi, perché la stavi abbracciando?»

«È stato il giorno in cui mio padre ha avuto l'infarto» rispose. «Era solo un abbraccio di conforto.»

Abbassai la testa. Non sapevo più cosa pensare a quel punto. Era davvero solo un abbraccio di conforto? Perché a me non sembrava proprio.

«Stai forse insinuando che io possa avere una relazione con Elvira?» mi chiese con tono difensivo, interpretando perfettamente il mio silenzio.

«Puoi biasimarmi?»

«Vorrai scherzare, spero. È una delle mie dipendenti e sta facendo un tirocinio. È solo una ragazzina!»

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