Capitolo 39

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«Signora, sua figlia è qui» disse la dottoressa avvicinandosi a lei.

Non la vedevo letteralmente da anni e faceva male vederla lì in quelle condizioni. Le sue rughe erano aumentate dall'ultima volta che ero andata a trovarla, ma rimaneva sempre una bella donna.

«Non so se mi riconosce» dissi, «non ci vediamo da qualche anno.»

La dottoressa mi osservò e trovai sorprendente il fatto che non mi stesse giudicando. Nei suoi occhi c'era... comprensione.

«Non è la prima volta che i parenti rifiutano di accettare la malattia dei loro cari» mi spiegò e io trasalii a quelle parole. «Sua madre ha iniziato a mostrare segni di squilibrio mentale in giovane età, posso comprendere che per lei che è la figlia non sia una cosa facile da accettare» disse soltanto.

Rimasi in silenzio, non sapendo cosa dire. Trovarmi lì in quel momento mi faceva capire come avevo abbandonato mia madre in una struttura dove non conosceva nessuno e a come avessi chiesto a Stefania di prendersi cura di lei al mio posto.

Per il resto, io mi ero tagliata fuori da quella situazione. Volevo che mia madre fosse quella dei miei ricordi e non la donna impazzita che mi guardava incuriosita da quel letto.

«Però adesso lei è qui» disse la dottoressa. «Vi lascio un po' da sole, non vi vedete da un po' di tempo e avrete molto da raccontarvi» aggiunse, uscendo dalla stanza.

«Ciao» dissi, come se quella davanti a me fosse un'estranea. Non sapevo bene come approcciarmi a lei: era come se davanti a me ci fosse un'estranea. «Come si chiama?» chiesi, indicando la bambola che aveva in mano.

Mia madre mi osservò. Era come se stesse tentando di capire se fossi una persona di cui ci si poteva fidare.

«Daphne» rispose semplicemente, tornando ad accarezzarle i capelli.

La guardai con stupore e feci del mio meglio per impedire alle lacrime di bagnarmi le guance.

«È un bel nome» commentai.

«Perché è il nome di mia figlia» replicò con un sorriso genuino. Sapevo che mia madre mi voleva bene, ma vederla fuori di sé mi aveva fatto credere che lei non fosse più la mia mamma. Ma il suo amore non era sparito. Semplicemente, si manifestava in altri modi.

«È anche il mio nome» le dissi, accennando ad un sorriso.

Questo attirò la sua attenzione. Si voltò con il corpo verso di me e prese una ciocca dei miei capelli in mano, maneggiandola delicatamente.

«Spero che mia figlia un giorno diventi bella come te» disse, rivolgendomi un altro sorriso.

Questa volta, fu proprio impossibile tentare di trattenere le lacrime. Nonostante mia madre stesse bloccando il loro tragitto con le dita, io ero un fiume in piena.

Non sapevo esattamente come mi immaginasse nella sua testa. Forse credeva che avessi dieci anni, forse tre. Ma almeno, in quel momento, sapeva di avere una figlia.

Una fitta mi strinse il petto, ricordando le crisi che aveva avuto in casa anni prima.

«Posso tornare a trovarti?» le chiesi. Eravamo state insieme solo pochi minuti, ma era comunque difficile per me trovarmi con lei nella stessa stanza.

«La prossima settimana c'è una sfilata. Sai, sono una stilista» mi rivelò, come se fosse un segreto. «Ti presenterò mia figlia e mio marito» mi disse contenta.

Annuii con la testa. Forse aveva costruito un mondo parallelo dove poteva essere felice o forse credeva semplicemente di vivere nel passato.

Non sapevo quello che le passava per la testa, ma avrei provato a fare uno sforzo per capirla.

La dottoressa mi aspettava fuori dalla stanza, seduta su una sedia.

«Tutto bene?» mi chiese, dando un'occhiata dentro la stanza. Mia madre era seduta nella stessa posizione di qualche minuto prima.

«Credo sia andata bene» risposi. «Almeno sapeva della mia esistenza oggi, anche se non ha capito chi fossi.»

«Stamattina ha fatto il suo nome» mi rivelò lei. «Sa decisamente della sua esistenza, anche se a volte sembra averla rimossa» mi rassicurò.

«Posso chiederle cosa è successo oggi?» le chiesi. «Stefania mi ha detto che negli ultimi tempi non aveva avuto queste crisi e che sembrava più serena.»

La dottoressa sospirò e mi mostrò un giornale che giaceva su un tavolino lì accanto.

«Di solito, facciamo molta attenzione a ciò che i parenti portano all'interno della struttura, ma non credevamo che un semplice giornale avrebbe innescato una crisi a sua madre» si giustificò. Mi porse l'oggetto incriminato, dicendo: «la vicina di stanza lo ha dato a sua madre per una lettura "rilassante", ma l'effetto è stato l'opposto.»

Osservai disgustata la foto che campeggiava in prima pagina. Mio padre aveva un braccio intorno alla vita di Giselle e il titolo dell'articolo di punta era: "L'amore sboccia in casa Riviero."

Adesso, i giornalisti sapevano non solo della fantomatica storia tra me e Dylan, ma anche di quella di mio padre.

«So che le condizioni di sua madre sono peggiorate drasticamente dopo la separazione da suo padre» disse la dottoressa.

Annuii per confermare ciò che aveva detto. «Sono peggiorate dopo che ha scoperto di essere stata tradita» la corressi però. Lanciai uno sguardo alla rivista che avevo nuovamente posato sul tavolo. «Lei lo amava troppo. Più di quanto mio padre amasse lei. Ed è andata fuori di testa quando ha scoperto che lui aveva un'amante.»

«Voglio che lei sappia che sua madre era già un soggetto fragile, incline a queste crisi, prima di questa vicenda» mi disse la dottoressa. Probabilmente, aveva percepito il tono accusatorio che avevo utilizzato. «Naturalmente, tutto questo ha innescato un peggioramento drastico del suo stato mentale, ma non posso garantirle che non sarebbe comunque avvenuto.»

Annuii soltanto. Sapevo che aveva ragione. E lei sapeva che mio padre aveva avuto comunque un ruolo fondamentale in tutto ciò, nonostante la predisposizione genetica di cui tutti i dottori mi avevano sempre parlato.

«So che non dovrei esprimere la mia opinione a proposito, ma forse potrebbe venire a trovare sua madre più spesso. Credo davvero che le faccia solo del bene vederla, anche se non sa chi ha davanti» mi disse con gentilezza.

Non sapevo cosa dire. Non avevo molte scuse per giustificare la mia totale negligenza e per me era un macigno pensare di tornare a trovarla a breve.

«Forse può venire con qualcuno» mi suggerì, leggendo probabilmente le emozioni sul mio volto. «Con qualcuno con cui si sente a suo agio.»

La mia mente immaginò immediatamente due occhi ambrati caldi che mi tranquillizzavano con la sola potenza di uno sguardo.

«Ci penserò» dissi semplicemente. Forse, se lui fosse stato al mio fianco, avrei potuto farcela.

Miele nei tuoi occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora