Capitolo 38

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«Elvira» dissi, controllando di aver raggruppato tutti i fascicoli correttamente, «puoi portare questi a Marzio? Deve firmarli e mettere un timbro» le spiegai.

Ormai, neanche più fingevo di doverlo chiamare "signor Grimaldi". Nei giorni passati, avevo capito perfettamente che chiunque in quell'azienda sapeva che ero io la donna misteriosa di cui i giornalisti si davano tanta pena. L'unico mistero per i dipendenti era però capire perché c'era in giro una foto di me che baciavo un altro uomo.

«Non avete ancora chiarito?» mi chiese Elvira da dietro i suoi occhiali.

Sollevai di qualche centimetro lo sguardo e, con tono più glaciale del dovuto, dissi soltanto: «Pensavo fossi alla Grimaldi Corporation per il tuo tirocinio, non per informarti sui pettegolezzi d'ufficio.»

Elvira trasalì alle mie parole. «Mi dispiace» bofonchiò, chinando il capo. Avevo esagerato. Avevo decisamente esagerato.

«No» risposi con un sospiro. «Non dovevo prendermela con te solo perché le cose sono difficili, ti chiedo scusa. È solo che... le cose tra di noi non stanno andando bene» dissi tutto d'un fiato.

«Cosa intendi dire? Vi siete lasciati?» mi chiese Elvira.

Come potevo spiegare quello che c'era tra di noi? Dopotutto, era come se la nostra relazione fosse terminata, considerando l'ultima conversazione che avevamo avuto. Tuttavia, presto sarei tornata a vivere a casa sua e ci saremmo anche sposati. Era un grosso casino.

«Forse» sussurrai sconsolata. Anche volendo, era impossibile spiegare ad Elvira la realtà della situazione. «Piuttosto, hai notizie di Pierre?» le chiesi, sperando di cambiare argomento.

Avevo spiegato al mio amico per telefono la situazione e mi era sembrato molto comprensivo. Mi aveva anche detto che finalmente comprendeva perché gli era sembrato di non piacere particolarmente al mio capo ed entrambi avevamo finito per farci due risate.

«Non siamo stati molto in contatto» mi disse soltanto, con una scrollata di spalle.

Questo per me era particolarmente strano. Avevo visto quei due parlare la sera della festa e mi era sembrato che Pierre iniziasse ad essere coinvolto da Elvira.

«Sta' tranquilla» le dissi. «Pierre è fatto così, ma presto si renderà conto che deve darsi una svegliata con te.»

Elvira sospirò pesantemente e disse qualcosa che mi sorprese non poco. «Io sono così carina, con me ci deve cascare» bofonchiò.

Lo aveva detto a voce bassa, come se stesse parlando tra sé e sé e non sembrava neanche essersi resa conto di aver espresso apertamente i suoi pensieri.

Tuttavia, quelle parole non si addicevano affatto alla Elvira che conoscevo ed erano state pronunciate ad un volume talmente basso che ero abbastanza sicura di aver frainteso buona parte di quella frase.

«Comunque il signor Grimaldi mi è sembrato abbastanza normale in questi giorni» disse, attirando la mia attenzione su un argomento che mi interessava molto. «Non mi è sembrato ci fosse nulla di strano.»

Dovevo ammettere che Elvira, nel ruolo di spia, stava facendo un lavoro impeccabile. Le avevo chiesto di tenerlo sottocchio, dal momento che i contatti tra me e lui erano ormai inesistenti, e di riferirmi se percepiva qualcosa di strano. D'altronde, più di una volta Elvira mi aveva mostrato di essere un'acuta osservatrice.

«Ho capito» risposi, «ti ringrazio.»

Sapere che Marzio riusciva a ostentare così tanta calma da comportarsi normalmente, non mi faceva particolarmente piacere. Di solito, era sempre nervoso dopo che litigavamo, ma stavolta la situazione era davvero seria.

«Forse posso provare a dirgli qualcosa» mi suggerì Elvira. «Non so, provare a fargli capire cosa stai passando o qualcosa del genere.»

«Ti ringrazio» replicai con gentilezza. Se fosse servito a qualcosa, non mi sarebbe dispiaciuto ricevere un po' di supporto. «Ma non credo che Marzio si faccia influenzare da qualcun altro.»

Soprattutto da una tirocinante, aggiunsi mentalmente. Non mi sembrava carino far notare ad Elvira la posizione di subordinazione in cui si trovava rispetto a Marzio, non quando era stata così disponibile da provare a mettere una buona parola per risolvere la situazione.

Lei annuì con la testa e, prendendo i fascicoli, si diresse verso l'ufficio del mio non esattamente fidanzato.

Tirai un sospiro di puro sconforto. Era da un po' di tempo che non mi sentivo così impotente ed era una sensazione che non mi piaceva per nulla.

Fu il suono di una notifica proveniente dal mio cellulare a distogliermi dai miei pensieri. Stefania, la mia seconda mamma, mi aveva appena mandato un messaggio: "Chiamami appena puoi", aveva scritto.

Era da qualche anno che non ricevevo uno di quei messaggi e mi si strinse un nodo in gola. Sapevo perfettamente quale era il motivo per cui dovevo richiamarla, era lo stesso da tempo.

«Pronto» dissi, quando Stefania rispose alla mia chiamata.

«Daphne, piccola mia» rispose Stefania come ogni volta, «ha chiamato-»

«Lo so» la interruppi. «Lo so. Prendo un permesso e vado subito.»

«Dicono che questa volta è stato peggio» disse semplicemente.

"Questa volta è stato peggio". Le parole di Stefania mi risuonavano in testa mentre mi dirigevo verso l'ufficio di Mattia.

«Va tutto bene?» mi chiese lui, dopo avermi accordato il pomeriggio libero senza problemi.

«Sì, va tutto bene» risposi soltanto.

«Per caso Marzio...»

«Non c'entra Marzio» lo interruppi subito. Sapevo che era naturale pensare che la mia espressione fosse dovuta a lui, ma per una volta non era così.

Corsi fuori dall'edificio e, proprio come Stefania mi aveva detto, c'era un'auto ad aspettarmi. Mio padre non aveva mai voluto sapere nulla di quella faccenda, ma almeno aveva sempre concesso sia a me che Stefania il permesso di usare la sua auto e il suo autista per quelle occasioni.

Il viaggio in macchina era più lungo di quanto ricordassi, ma mi aiutò a prepararmi mentalmente a ciò che mi aspettava.

Mi incamminai verso l'ingresso dell'edificio grigio che mi stava davanti. La sua aria triste era in perfetto contrasto con l'accogliente giardino curato che lo precedeva e in cui diverse persone in vestaglia stavano prendendo il sole.

«Salve, sono Daphne Riviero» dissi alla hall. «Sto cercando la signora Margherita-»

«Stanza numero 7, secondo piano» mi interruppe semplicemente la signora seduta alla scrivania. «Avverto io la dottoressa. Lei spenga il telefono o potrebbe fare interferenza con i dispositivi medici.» Né un saluto, né un sorriso. Mi aveva liquidato in fretta e furia.

Era così che mi immaginavo Lucrezia Costa da lì a trent'anni.

Arrivata sul piano, una donna dall'aria giovanile, ma che portava i segni del tempo sul viso, si avvicinò a me, parlando a bassa voce.

«Lei deve essere Daphne» sussurrò. «La situazione è più calma adesso, ma questa mattina ha avuto una brutta crisi» spiegò, facendomi strada verso la stanza numero 7.

La stanza aveva dei girasoli dipinti sulle pareti e, anche se c'erano delle sbarre alle finestre, la vista sul giardino era davvero gradevole.

Sul letto, una donna era seduta di spalle e pettinava i capelli ad una bambola che teneva in grembo. I suoi capelli erano grigi per metà ed erano raccolti in una coda spettinata. Era evidente che non li tingeva più da un po', ma la mia mente li confrontò involontariamente con le morbide onde nere che le erano sempre ricadute sulle spalle.

«Mamma» dissi solo in un sussurro.

Miele nei tuoi occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora