Capitolo 59

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Giselle aveva finalmente avuto la decenza di presentarsi in ufficio.

Era diventata lei la principale responsabile della Grimaldi Corporation, eppure non si era ancora fatta viva. A lei interessava solo andare alle sfilate, essere sui giornali e far fare dei tour alle sue amiche nell'azienda come se fosse un museo.

Come era stato deciso, era Marzio che continuava ad occuparsi ufficialmente delle decisioni amministrative e tutto era andato bene fino a quel momento.

I problemi erano cominciati con l'unica decisione che Giselle aveva preso: appoggiarci alla società di un'amica per il rifornimento dei materiali.

Era la terza volta di seguito che si erano registrati ritardi sulle consegne e questo comportava anche ritardi per la realizzazione dei vestiti.

I clienti, anche quelli più affezionati alla Grimaldi Corporation, ci avevano fatto notare più volte problematiche che già conoscevamo. Le lamentele principali riguardavano il ritardo che accumulavamo nel consegnare loro gli abiti e, ancor di più, la scarsa qualità della stoffa che usavamo per confezionarli.

Molti avevano smesso di rivolgersi a noi e anche le vendite nei negozi, dopo il calo di qualità del materiale che usavamo, erano drasticamente diminuite.

Le cose non sembravano andare bene e Marzio era un fascio di nervi.

«Ha parlato con la sua amica, signora Riviero?» le chiese Marzio per l'ennesima volta. «Le consegne erano previste per la settimana scorsa e ancora i miei stilisti non vedono traccia di stoffa.»

«Un po' di pazienza, caro» rispose lei tranquilla. «Sappiamo tutti che possono esserci dei problemi.»

Marzio fece un respiro profondo e poi spiegò a Giselle la situazione usando un tono che solitamente un adulto usa con un bambino delle elementari. «Signora, lei si rende conto che ultimamente la sua amica ha avuto troppi problemi, giusto? E non si tratta solo dei ritardi nelle consegne. Vuole che le mostri anche la pessima stoffa che ci danno? Questa situazione avrà delle ripercussioni sulla credibilità dell'azienda e sulle nostre finanze.»

«Mi sembrava di aver capito che la situazione economica si fosse risolta grazie a mio marito.»

Marzio mi lanciò uno sguardo esasperato, ma io non sapevo proprio che fare.

«Suo marito non è onnipotente» le spiegò. «E se gli affari non vanno bene e perdiamo clienti, neanche i suoi soldi potranno fare molto.»

Non ero sicura che Giselle avesse compreso a pieno ciò che Marzio le aveva detto, ma almeno andò via promettendo di fare pressione sulla sua amica.

L'atmosfera che aleggiava in azienda era identica a quella che c'era stata l'anno precedente, quando la Grimaldi Corporation era ad un passo dal chiudere e mio padre si era proposto come suo salvatore.

All'epoca, però, solo io, Marzio e Mattia sapevamo delle difficoltà economiche che stavamo vivendo, gli altri dipendenti erano all'oscuro di tutto.

Ma, questa volta, chiunque capiva che le cose non stavano andando per niente bene e ciò significava solo una cosa: la situazione era di gran lunga peggiore dell'anno precedente.

Provavo un senso di colpa che non riuscivo a spiegare a parole per quella situazione. Forse, sposarmi con Marzio aveva permesso alla Grimaldi Corporation di non affondare l'anno prima, ma adesso i problemi erano dovuti proprio a quell'accordo che era stato fatto con mio padre.

Se Giselle non avesse avuto il controllo, la Grimaldi Corporation sarebbe tornata a spiegare le ali e a volare alto come aveva sempre fatto.

Adesso, però, sembrava che stessimo di nuovo colando a picco. Era come se il nostro matrimonio, a conti fatti, non fosse servito a nulla se non a far peggiorare le cose.

Forse, se io e Marzio non ci fossimo sposati, la Grimaldi Corporation si sarebbe risollevata da sola, senza l'aiuto di mio padre.

La mia mente era in preda a questi pensieri negativi e avevo paura che Marzio cominciasse ad avere dei ripensamenti. Avevo paura che cominciasse a capire che sarebbe stato meglio non aver portato avanti quella folle idea di utilizzare un matrimonio per salvare l'azienda.

Avevo paura che si fosse pentito di avermi sposato.

Sapevo che Marzio mi amava, ma ricordavo anche ciò che aveva detto Elvira. "Non vi sareste mai sposati se non fosse stato per la Grimaldi Corporation" ed era inutile dire che non aveva tutti i torti.

Se l'azienda fosse fallita, sarebbe stato tutto inutile.

L'unica scialuppa di salvataggio che avevamo a disposizione era la collezione esclusiva su cui lavoravamo da parecchio tempo e che sarebbe uscita di lì a poche settimane. Gli abiti erano davvero belli ed erano dei pezzi unici. Ci aspettavamo dei guadagni sufficienti a tamponare tutte le perdite di quei mesi.

Quella piccola speranza era ciò che permetteva a chiunque di non andare fuori di testa.

Mi trovavo sul divano con Marzio, quando Mattia ci chiamò. Ci stavamo godendo un banalissimo momento di pace, tentando di lasciare tutte le preoccupazioni in disparte. Ma sembrava proprio che non fosse quello il giorno in cui ciò sarebbe accaduto.

Riuscivo a sentire la voce allarmata di Mattia, nonostante Marzio non avesse messo il vivavoce. Stava dicendo qualcosa come: "Sbrigati" e "Siamo fottuti".

Marzio si precipitò a prendere il tablet e, quando si risedette sul divano, riuscii a vedere quale era il problema.

L'Arabesque, l'azienda rivale della Grimaldi Corporation, aveva lanciato una nuova collezione a sorpresa quel giorno e, sorpresa delle sorprese, l'abito di punta era molto familiare.

Marzio cominciò a scorrere le foto che erano state caricate sul loro sito e anche tutti gli altri abiti della collezione non erano nuovi per noi.

Ogni singolo vestito, dall'accessorio più banale al colore, era frutto dello spirito creativo dei nostri stilisti. Non c'era nulla di originale o che fosse stato modificato. Era come se qualcuno avesse preso il nostro lavoro e avesse detto all'Arabesque: "Ecco, fanne quello che vuoi".

Quando Marzio giunse alla fine della galleria, i miei sospetti trovarono una conferma.

L'ultima foto ritraeva una donna di mezz'età che riconoscevo come la proprietaria dell'Arabesque e una ragazza sorridente sulla ventina con i capelli rossi e una nuova montatura di occhiali che non mi permise immediatamente di riconoscerla.

Ci volle solo qualche frazione di secondo in più del necessario, però, per capire che si trattava di Elvira.

Sotto quella foto, c'era scritto "La nostra musa ispiratrice".

Leggere una cosa del genere in riferimento a qualcuno che ispirava solo odio e cattivi pensieri era un insulto a tutti quelli che erano davvero in grado di tirare fuori il meglio nelle persone.

Milioni di parole sarebbero state più appropriate di quelle che l'Arabesque aveva usato per descrivere Elvira, ma a me ne veniva in mente solo una. "Ladra".

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