suicide.

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Credo sia inutile forzare qualcuno a fare qualcosa che non gli procura gioia, ma anzi la trovo la tortura peggiore fra tutte. Mia madre non sapeva tutto quello che provavo in quei momenti, nemmeno poteva immaginare, trovò un'ottima idea mandarmi alla festa che aveva organizzato una mia "amica", la cui madre era una commessa che aveva aiutato mamma a prendere il posto ad Harrods mesi prima.
Zia JoJo ci accompagnò al palazzo dell'"amica", e scese con noi fino a raggiungere l'appartamento, dove venimmo aperte da una signora che non aveva mai visto prima di allora. 'Gladys!' esclamò abbracciandola. 'Ciao, Judith' rispose mamma in un sussurro. 'Ciao, Avri. Vai, i tuoi compagni sono di là' disse indicandomi un lungo corridoio, e lo attraversai, guardando indietro verso mamma, osservata dagli adulti nel salotto. 'Oh' disse la mia "amica" venendo a sbattere contro di me, indietreggiando di un paio di passi. 'Guarda dove vai' mi passò davanti e seguii lei e la sua comitiva nel salone, dove c'erano anche mamma e zia JoJo. Nessuna delle due aveva sentito papà per quelle due settimane, e quando avevamo provato a telefonargli diceva di non volerci sentire. E la cosa che più mi faceva male era che con i Cascio aveva tutta la voglia e il tempo di farlo. Io che ero sua figlia non potevo chiedergli come stava. Credo fosse più per una forma di autoprotezione, o forse per non far soffrire né me né mamma.
Giocavamo ad obbligo o verità, o meglio giocavano, visto che non venivo mai scelta. Mi piaceva però guardate mentre dicevano o facevano cose imbarazzanti. 'Okay, ora...Faith' disse un ragazzo. 'Obbligo o verità?' mi chiese, distogliendo il mio sguardo da terra e i miei pensieri da papà. 'Puoi ripetere, per favore?' 'che sei sorda? Obbligo o verità?' disse scandendo le parole e gli altri risero. 'Verità' mormorai, e con la coda dell'occhio vidi mamma e altri adulti avvicinarsi a noi. 'Tuo padre' iniziò giocando con i fili del tappeto su cui eravamo seduti sopra. 'è un pedofilo?' continuò posando lo sguardo sul mio viso. Calò il silenzio, le voci cessarono, io mi misi più dritta. 'Allora?' continuò la mia "amica". 'Sì o no?' guardai mia madre, senza sorriso, quello che lei aveva sempre avuto il coraggio di avere rispetto a me. 'No, non...' 'e si dice anche che tu e tuo fratello, quello che tua madre aspetta, non siate di tuo padre' 'io non...' 'Dot...' mi chiamò mia madre, e io mi alzai immediatamente, camminai verso di lei, e la abbracciai, forte, nonostante il suo ventre gonfio intralciasse. 'Oh mio dio' sentii dire da una donna e gli adulti cominciarono a rimproverare i rispettivi figli, perché nessuno, secondo loro, doveva sentirsi dire quelle cose. Ma non faceva niente, non era un problema. Papà diceva sempre di non ascoltarle quelle stronzate. 'Ascoltami, Dot' mamma mi prese il viso fra le mani per far scontrare i nostri sguardi. 'Tuo padre non è nulla di tutto quello che ti dicono, che ti vogliono far credere. Tu sai la verità, io so la verità. E lo sai benissimo che è lui tuo padre, non nessun altro' 'ce ne andiamo?' le chiesi. 'Certo, certo' sussurrò prendendomi la mano. Tentarono in tutti i modi di fermarla, ma mamma voleva rispettare me e anche lei. Non è bello sentirsi dire certe cose sul proprio padre, figuriamoci sull'uomo che si ama.
Durante il viaggio di ritorno non parlammo, non c'era nulla da dire in fondo, c'era soltanto molto da pensare e su cui riflettere. Non avevamo cenato, quindi venne l'amica di mamma, Sanya, che ci portò la cena cinese da asporto. Loro parlavano dei miliardi di pannolini che mamma e papà avrebbero dovuto cambiare, alle notte insonne, al comportamento di papà. 'Togli il cappello a tavola, Dot' disse mamma togliendo il cappello dalla mia testa e poggiandolo davanti a me, accarezzandomi la testa calva, coperta da una bandana.

Chiusi la portiera della macchina alle mie spalle. Dei bulletti scapparono come conigli e feci un sorrisetto, salendo le scale che mi separavano dalla mia famiglia. Bussai alla porta di casa il più silenziosamente possibile, sperando ci fosse qualcuno ancora sveglio da aprirmi. Sentii la maniglia abbassarsi e vidi la porta aprirsi completamente: c'era JoJo ai piedi della porta. 'Entra' sussurrò. 'AJ sta dormendo. Gladys è sul divano' continuò, spostandosi per farmi passare. Era lì seduta, con un ginocchio al petto, mentre guardava la televisione insieme ad una donna. Sembravo un bambino con quel mazzo di fiori in mano, mentre tiravo fuori il petto fiero. 'Oddio, oddio, oddio' disse la ragazza facendosi aria con le mani. 'Che c'è? I bambini dormono, non urlare' disse Gladys girandosi verso di lei. Finalmente guardò verso di me e mi sorrise a trentadue denti. 'Ciao' le dissi avvicinandomi. 'Ciao' sussurrò quando le fui vicino. Mi abbassai e la abbracciai forte, lei mi strinse a sé, come per non lasciarmi più andare. Ero totalmente di sua proprietà, e volevo che fosse così. Era la mia regina. Era semplicemente mia. 'Mi sei mancato così tanto' sussurrò. 'Sono qui ora' mormorai nella sua spalla. Fu un abbraccio lungo, bellissimo, romantico. 'Tieni, ti ho portato dei fiori' li prese e li guardò. 'Sono belli' 'solo belli?' 'bellissimi' disse ridendo. Mi abbracciò di nuovo e poi potei sentire la sua lingua con la mia. Si staccò e sorrisi. 'Devo ammettere che mi sei mancata anche tu' 'ti amo tanto, mrs Jackson' 'anch'io, mr Jackson' le diedi un bacio a stampo. 'Ciao, tu piccolo qua dentro' sussurrai abbassandomi al suo ventre, e ci lasciai su un bacio e lei sorrise, portando una mano sui miei ricci. Lo accarezzai lentamente. 'Come sì comportato?' 'bene, bene. Vai a vedere AJ, starà dormendo' disse mentre mi mettevo dritto e mi alzavo. Avevo un macigno a posto del cuore: ero emozionato e spaventato allo stesso tempo. Avevo evitato la sua voce per quasi più di due settimane. Aprii la porta, ed era distesa sul lettone, respirava lentamente. 'È arrivato il tuo mostro preferito!' dissi scoprendola. Fu lo spettacolo più orrendo che avessi mai visto in vita mia.

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