'È la prima volta, da quando ho memoria, che mi annoio quando sto con te' ruppi il silenzio e mi girai verso di lui, seduto nella mia stessa posizione rilassata, mentre girava e rigirava la fede intorno al suo anulare. 'È la prima volta, da quando ho memoria, che mi offendi così spudoratamente' replicò ridendo e posando gli occhi sul mio viso, e io risi a mia volta. Poggiò il gomito sul bracciolo e si portò una mano alla testa, strofinando un po'. 'Mi manca tua madre' 'mi sa tanto che a te manca mia madre…nuda' 'quello è scontato, tesoro' mosse i capelli con vanità. 'Ehi, guarda che i miei capelli rendono mille volte meglio l'idea di superbia' mi guardò senza ridere. 'Questa era seriamente pessima' si alzò e si guardò intorno, cercando probabilmente qualcosa da fare. 'È bella questa suite, vero?' dissi guardando il soffitto. 'Perché non darci qualcosa di nostro?' esclamò lanciandomi un cuscino sul viso. 'Mi hai bombardata!' risi e cominciò una lotta sfrenata all'ultimo colpo di cuscino, che finì con piume ovunque, su di noi e nella suite. 'Tanto vale finire l'opera' lanciò una forchetta ad un quadro e centrò in pieno i bersaglio. Spostammo divani, spostammo sedie, acqua del water ovunque, saponette… fu particolarmente divertente.
Inutilmente tentai di distogliere mio padre dai suoi problemi, ma niente funzionò. Se dal quel niente escludiamo le medicine, il Demerol, sapete, quella specie di sonnifero. Era incredibile come fosse stato capace a nascondere tutto, a me, a mamma, a se stesso. Si nascondeva dietro quei medicinali, dietro quelle specie di droghe, odiose, che mi stavano portando via un padre, la felicità.
Quel 15 novembre 1993, prima del concerto, Elizabeth Taylor mi portò nel camerino di papà, visibilmente triste e preoccupata, ma mai quanto me. 'Allora, Dot' disse sedendosi sul letto, mentre papà le stava seduto accanto, su una sedia, e mi tirò a sé, facendomi sedere sulle sue gambe. 'Esistono dei sacrifici da fare nella vita che non si possono evitare, e tu lo sai benissimo, no?' 'dove vuoi arrivare?' papà sospirò, si portò una mano sugli occhi, pensieroso. 'Stasera ne devi fare un altro, piccola' mi prese le mani, ho tredici anni, non sono più una bambina. 'Devi lasciare che papà venga alla clinica londinese Charter Nightingale Clinic' 'e perché?' 'perché se torno in America mi arrestano, Dot, e non posso permetterlo. Ho te, ho tua madre, ho un altro figlio in arrivo, non posso' disse piangendo a dirotto. Papà piangeva sempre, lo sentivo, durante la notte, quando pregava per me, e si sentiva stupido a fare certe cose. Lo sentivo mentre chiedeva perché, ma nessuno sapeva dargli una risposta. Visto, Dio non ha sempre tutte le risposte. 'Tu dirai che è stato ricoverato per i farmaci. Si farà curare davvero per te e gli altri, ma tu…Dot non devi piangere. Starai con tua madre, i tuoi fratelli…' ma se c'era una cosa che odiavo era proprio quella: stare lontana da lui. Sapevo che poi sarebbe cambiato tutto, sapevo che ci saremmo divisi man mano, sapevo che sarebbero successe le cose più disparate, ma che lentamente mi avrebbero distrutto.
È brutto essere figli di star.'Ci siamo' disse poggiandosi alla colonna che sovrastava quella sala di arrivo a Gatwick. 'Aspettiamo tua madre' mi sedetti a terra e mi misi la testa fra le mani e piansi. 'Dot' si sedette accanto a me, nonostante fosse dolorante alla schiena. 'Perché la vita fa schifo' dissi asciugandomi le lacrime, e lui rise, facendosi piccolo. 'La vita non fa schifo, Dot. Siamo noi che la facciamo essere uno schifo' ci guardammo un po'. 'Se avessi preso gli occhi da tua madre non mi piaceresti' disse sinceramente e facendomi sorridere. 'Quell'azzurro sta bene solo a lei, mi dispiace' mi aggiustò il capello. 'Ti voglio tanto tanto bene' 'anche io' alzai la testa e vidi mia madre con zia JoJo e un altro paio di ragazze, e stavano lì, aspettando noi. 'è arrivata in tempo, strano' ci abbracciammo forte prima di lasciarci. Non dicemmo nulla, ma lasciammo solo che i nostri corpi si unissero in quell'abbraccio, uno dei migliori. Poi mi prese la mano, lentamente si incamminò verso mamma, che ci vide fra quei dieci uomini vestiti di nero pronti a proteggerci. 'Fai la brava' disse accarezzandomi dietro la nuca, quando arrivammo di fronte a quelle quattro donne. 'Quel po' di spazio che mi serve per passare' disse sorridendo passando fra due bodyguard, impiantati nei loro posti prefissati. Un bodyguard che non aveva capito chi mamma fosse la spinse un po' indietro e papà si buttò in mezzo spingendolo indietro. 'Toccala di nuovo e ti licenzio' disse a denti stretti. 'MICHAEL!' urlarono delle ragazze correndo verso di noi. Doo doo fece cenno a sei di loro di passare a proteggere noi, non fece nemmeno in tempo a dire ciao a mamma, dopo un bacio veloce se ne andò. La lasciò così. 'Almeno volevo dirgli che stavo bene' disse incrociando le braccia e io la abbracciai.
Avevo lei ora.
Almeno ora.

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Fiksi Penggemar"io ti proteggerò, che ci siano tempeste o no. noi saremo torre nella bufera"