Ero un ragazzo diverso io. Non avevo mai avuto un'infanzia, non avevo mai conosciuto riposo, amore familiare. Ero il ragazzo più solo del mondo. Difficile a dirsi, contando che avevo quasi diciotto anni, il più famoso al mondo. Di solito a quest'età si è felici e liberi. Io ero triste e incatenato.
Il mio professore trovò che fosse miliare per me trovarmi un amico, ma non ci riuscii. Suggerì allora di costruirmi un amico immaginario nel frattempo: scrivere ad un diario.
Trovavo stupido scrivere pensieri e parole a qualcosa di inanimato che non sapeva darti risposte. Ma mi resi conto che era l'unica scelta che avevo per sentirmi meno solo.
Ormai avevo perso ogni speranza. Nessuno avrebbe mai voluto condividere con me risate, gioie, delusioni. Nessuno mi avrebbe mai capito. Non mi capivo nemmeno io. Perché questo era successo a me?
Ero un ragazzo timido, introverso, che durante le discussioni mi mettevo in un angolo e ascoltavo, in silenzio, senza intervenire. Nessuno mi aveva mai preso sul serio. Pensavano fossi matto. Ma non era così. Io stavo meglio di chiunque altro ed è questo che mi rendeva diverso. Vivevo la vita come se ora avessi avuto ottant'anni.
Lavoravo già da dodici anni, senza mai fermarmi, migliorandomi di giorno in giorno.
Ma tutti erano gelosi di quanto ero bravo.
Da piccolo ero un bambino bellissimo, dolce e molto dispettoso. Ero estremamente divertente e simpatico. Socievole quando volevo, gentile.
Ora l'acne aveva il sopravvento di me, e la bruttezza si faceva sentire, da come diceva mio padre.
mi picchiava da dodici anni. Mi picchiava più fra tutti, perché ero bravissimo rispetto a lui, rispetto ai miei fratelli. Me lo ricordo quando mi cospargeva il corpo con l'olio e mi picchiava con la fune, senza che avessi fatto niente.
Me lo ricordo quando mi picchiava con il ferro da stiro. Faceva male. Tanto male.
E spesso mi picchiava ancora ora. Avevo diciassette e mi facevo picchiare dal padre. Ma non potevo reagire. Gli volevo bene in fondo.
E forse anche mio padre voleva bene a me.
Avrei tanto voluto chiamarlo papà invece di continuarlo a chiamare Joseph. Ormai ci avevo fatto l'abitudine.
Quella notte l'avevo passata come le altre, camminando senza sosta fra le strade del mio quartiere, mascherato, in cerca di amici. E ogni volta che mi fermava chiedevo: 'ehi, vuoi essere mio amico?' ma loro rispondevano con un semplice no. Forse perché ero nero, forse perché...non lo sapevo nemmeno io. Ci ero abituato alle delusioni, alle sconfitte. Non avevo mai dato il primo bacio. Nessuna ragazza mi voleva, e io nemmeno ne desideravo una. Ero troppo concentrato sul lavoro. Un giorno mi sarei sposato, certo.
Stavo tornando a casa, come le altre notti, completamente solo. pioveva e la pioggia mi aveva inondato.
D'un tratto sentii una ragazza piangere a singhiozzi,mentre correva verso di me. Mi venne a sbattere contro e cademmo entrambi a terra. Io mi alzai subito. 'Stai bene?' domandai. La aiutai ad alzarsi. Era spaventata, sola e tremava. Probabilmente aveva la febbre. La guardai dritta negli occhi. Erano gli occhi più belli e azzurri che avessi mai visto. E per quella ragazza i miei occhi erano neri come la pece, ma che l'avevano fatta già innamorare. Non avevo mai visto tali occhi.
'Come ti chiami?' era spaventata, tremava ancora più di prima. Si girò verso dove si sentiva un bambino neonato piangere. Io capii immediatamente. 'Dio' sussurrai, correndo verso il bambino, posato davanti una porta, al caldo fra le coperte. Lo presi dolcemente fra le mie braccia. Era una bambina!
La ragazza mi guardava da lontano, con le mani fra i capelli e le lacrime che si fondevano alla pioggia fredda. Andai verso di lei e mi abbracciò, senza pensarci troppo. Mi abbracciò forte perché voleva sentirsi protetta fra le mie braccia. Si sentiva protetta davvero e io avrei voluto stringerla per sempre.
Non avevo mai creduto nei colpi di fulmine eppure ne ero stato vittima, proprio ora, in quel preciso momento. 'è tua figlia?' domandai io, guardandola dritto nei suoi occhioni azzurri. Niente da fare, eravamo pazzi l'una dell'altra.
Lei fece di sì con la testa. Era il quattro gennaio, faceva tanto freddo. 'Quanto ha?' domandai ancora. 'è... è nata il due gennaio' balbettò lei. Aveva la classica voce da bambina. Mi allontanai di qualche passo. Come potevo essere innamorato di una bambina? 'Come ti chiami?' chiesi con indugio, come stessi facendo qualcosa di sbagliato, ancora una volta. 'Gladys Edwards' 'Gladys. Bel nome. Io sono Michael. Vieni a casa con me?' mi guardò a lungo, sotto la pioggia. Anche io la guardai. Avrebbe voluto posare le sue labbra sulle mie. Non sapevo cosa pensare io, nessuno mai mi aveva guardato in quel modo.
Ci avvicinammo tanto da sentire il respiro pesante dell'altra sul proprio viso. Io posai soltanto le labbra, quasi a sfiorare, ma lei con le sue mi spinse indietro. E io non sapevo cosa fare! Cercai di imitarla. Tentar non nuoce, e mi riuscì bene. ci baciammo a lungo sotto la pioggia, mentre io tenevo stretta la bambina sotto la mia giacca, e la sentivo gemere nel sonno. Poi scoppiò a piangere e ci staccammo ridendo. Era il mio primo bacio ed era stato bellissimo. Mi piaceva baciare quella ragazza. Sarei stato tutto il giorno a giocare con le sue labbra, così belle, carnose.
Anche lei avrebbe passato anni a baciare me, che la facevo sentire speciale. 'Starai da me fin quando non ti sarai sistemata con tua figlia. Tranquilla, viviamo io, i miei genitori e i miei due fratelli più piccoli. Non darai alcun fastidio. Siamo felici di ospitare chi ne ha bisogno. Parlami un po' di te' raccontò me di tutta la sua struggente e schifosa vita. Aveva ancora tredici anni, ne avrebbe compiuti quattordici a maggio, il tredici maggio. La bambina si chiamava Rose. Era stata concepita durante uno stupro sulle colline di Hollywood. A tredici anni non puoi badare ad una bambina, ma io l'avrei aiutata ad ogni costo. La vita era stata tanto crudele con lei. La portai a casa, la feci lavare, le diedi panni puliti, e, cosa più importante, la feci mangiare. Forse non mangiava da giorni, perché butto giù tutto. Il cuore mi si comprimeva in petto. Chi avrebbe mai avuto il coraggio di far del male a tanta perfezione. I capelli biondi, corti e tagliati male le cadevano appena sulle spalle. 'Domani andiamo da un parrucchiere' dissi prendendo a togliere tutto dal tavolo per rassettare. 'Piange la notte?' domandai per attaccare bottone. 'Non molto. è calma' 'è un bene, allora. Non ti farà alzare cinquanta volte a notte' rise timidamente. 'In effetti sì'.
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Fanfiction"io ti proteggerò, che ci siano tempeste o no. noi saremo torre nella bufera"