Jumper.

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(Mi scuso per eventuali errori di battitura)

Il cancro non mi preoccupava più di tanto. Mi ero resa conto, in quei mesi, che fai l'abitudine alla consapevolezza che il tuo corpo combatte una guerra civile dentro di sé, una guerra fra l'istinto di sopravvivenza e il lasciarsi andare. Mi trovavo proprio in mezzo a quei due titani, e non sapevo cosa scegliere, da quale parte schierarmi. L'istinto mi suggeriva sopravvivenza, lasciare mi suggeriva andare. Cercavo sempre di porre la mia attenzione su cose che non riguardasseto visite in ospedale o chemioterapia. Spesso mi immaginavo che nel monotono circolo vizioso di ogni uomo esistesse un momento in cui la chemioterapia diventasse necessaria. Nessuno escluso, perché altrimenti avrebbero perso un dono importante che non di certo avrebbero più avuto l'opportunità di vivere. Sembra un paradosso, e probabilmente lo è, ma nella mia mente contorta era un ottimo modo per sentirsi meglio. Mi immaginavo come il mio dolore potessero sentirlo gli altri, con la stessa intensità, e probabilmente non mi avrebbero più preso in giro per i pochissimi capelli che, grazie a dio, stavano riscrescendo.
Spesso a scuola mi chiedevano se avevo i pidocchi, se la mia malattia era contagiosa. Ma con quale stupidità si domanda ciò, mi chiedevo costantemente. Non so se ero io quella strana che tentava di aiutare tutti quando ne avevano bisogno, o erano loro quelli contorti che invece di aiutare finivano per deridere. Alla fine qual è il problema se una ragazza ha i capelli da maschio, ha i capelli rasati, o è calva?
Era la stessa concezione che hanno i razzisti. Ponevo loro una tesi con varie argomentazioni che molto spesso funzionava a far cambiar loro idea.
Alla fine, cancro o no, persone di colore o no, asiatici o no, anche se magari il colore della pelle, il colore degli occhi è diverso, se i tratti somatici sono diversi dai tuoi, se la lingua è diversa dalla tua, se la religione è diversa dalla tua, se la cultura, la tradizione, la patria stessa è diversa dalla tua, non avete lo stesso colore del cervello? Non avete lo stesso colore del cuore? Non avete le stesse funzionalità motorie e fisiche? Perché chiamate sporchi e merde chi ha il vostro stesso cuore, il vostro stesso tessuto epiteliale, tessuto connettivo o tessuto muscolare? Non abbiamo tutti la stessa forza di chi ha il coraggio di guardare avanti?
È un discorso che non si può fare a persone poco intelligente, perché non hanno mai assaporato il sapore della derisione.

"Quando ti ricapita nella vita? Hai un bellissimo fidanzato, che ti invidio onestamente, nonostante può tranquillamente essere mio figlio, e ti ha oltretutto invitato al ballo di fine anno!" disse zia JoJo poggiando una mano sulla mia spalla, mentre mamma mi aggiustava la benda sul buco del recente drenaggio ai polmoni che mi avevano fatto. "Sì, te lo invidio anche io il fidanzato, Dot. Oraa va meglio" si alzò e si mise dritta, tirando su il jeans stretto che aveva. "Andiamo e troviamo questo vestito" continuò. "e anche in fretta" continuai sussurrando. Entrammo in un negozio di bellissimi vestiti appositamente scelti per i balli di fine anno, ma non appositamente scelti per chi aveva delle fiale di chemio attaccate al petto. All'inizio non volevo andarci affatto al ballo, perché mi sarei sentita a disagio ad essere l'unica ragazza con i capelli da maschio. Ma Tyler aveva voluto farsi rasare i suoi bellissimi capelli castani per me, come per starmi vicino il più possibile, nonostante non mi avesse arrecato chissà quale piacere. Mi dispiaceva non poter passare più una mano nel suo ciuffo ribelle, mi sentivo meglio quando lo facevo.
Mentre giravo per il negozio guardavo i manichini donna, anche loro senza capelli. "So come ci si sente ad essere calvi" dissi accarezzando il braccio del manichino. "ma se smetti di fare la chemio ti passa. Questa è l'ultima fiala della mia vita, poi devo solo pensare ai reni" Probabilmente lui mi era più amico che i miei compagni di classe, che raramente mi prendevano davvero in considerazione. Per fortuna la scuola era finita, avrei avuto un'estate intera da vivere, con la paura del domani e la sicurezza di ieri. Forse l'ultima estate da godermi, forse una delle tante. Domani è il mistero più irrisolto del mondo, e mi spaventava sapere che mi sarei svegliata un giorno in cui non era domani.
I miei pensieri vennero offuscati dalla chiamata di mia madre che a quanto pare aveva trovato il vestito adatto a me. Lei sapeva meglio di chiunque cosa mi stasse bene o no, ma, in fondo, tutte le mamme lo sanno. Mi guardai allo specchio e lei sorrideva a trentadue denti al posto mio. Avrei dovuto essere io quella felice. "Allora? Ti piace?" chiese zia JoJo battendo le mani. "No" risposi e i sorrisi scomparvero dalle loro facce. "ma perché no? Ci stai benissimo, principessa sei fantastica" "si vede questo" cacciai fuori le fiale di chemio. "lo mettiamo più sotto, papà sa mille volte meglio di me come si fa" "ma se non ci vado? Dove sta il problema? Fingo una crisi respiratoria e non vado, rimango a casa con piacere" "Dot non dirlo nemmeno. Prendiamo questo vestito e basta"

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