9 - The shadows, they grow in a back of my mind

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"La libertà non può essere da nessun'altra parte se prima non è in me."

Ayane-Sensei

«Adesso mangia», ordinò e mi porse un piatto fumante

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«Adesso mangia», ordinò e mi porse un piatto fumante.
La mia fame si era dissolta nel nonnulla, la bocca del mio stomaco era sigillata.
«Non ho fame», risposi soltanto.
Lui mi guardò con l'aria di una persona che stava per farmi la predica.

«Il mio era un ordine. Non ti ho chiesto: vuoi mangiare? Oppure: hai fame?», chiarì.
«Non puoi fare come vuoi, Venere. Non con me. Mangia. Non farmi pentire di averti slegata», aggiunse, seccato. Sbuffai e iniziai a mangiare.

«Brava. Almeno qualche volta sai anche eseguire quello che ti ordino di fare», scherzò.

Stetti zitta e continuai a mangiare sotto il suo sguardo scrutante. Il suo sguardo mi metteva in soggezione.

«Smettila di fissarmi». Mi guardò confuso e divertito. Sghignazzò.
«Perché dovrei?», domandò sbigottito. «Mi metti ansia», confessai.

«Piantala, Venere. Se voglio osservarti lo faccio, con o senza il tuo permesso».

«Ti sto soltanto guardando mentre mangi, nulla più. Perché ti scaldi tanto?», domandò, con stupore che si fuse all'irritazione. Dio, era maledettamente attraente da irritato.
Stetti zitta. Muta come un pesce.
Dopo aver terminato il cibo, fece per rimettermi le manette.

«Ti prego... no», mormorai, flebile e angosciata al solo pensiero.
«Ti avevo avvisata».

«Non potresti immobilizzarmi con la magia? Come con le mie gambe...?»

Ripensai a quando mi aveva paralizzato le gambe per impedirmi di fuggire.

«Se non lo faccio, c'è un motivo», rispose seccato e snervato da tutte le mie domande. Non mi sopportava. Era lapalissiano. Mi odiava.
«Quale?», chiesi, stufa di non sapere nulla ed essere sempre all'oscuro di ogni singola e misera cosa.

«È magia nera, Venere. Ha delle conseguenze se ne si abusa. Se ti immobilizzassi le gambe per una notte intera, otto ore di media, potresti perdere la sensibilità e non riuscire più a camminare in autonomia. Ogni azione ha una conseguenza, ricordalo», spiegò, austero.
Restai stupefatta.

«Allora perché ti sei servito di quella magia anche se è così rischiosa?», domandai, incredula.

Mi legò entrambi i polsi. Poi si alzò e mi guardò attentamente. Mi lamentai, erano stretti.

«So quello che faccio, se mi servo di qualcosa conosco sempre le conseguenze e i vantaggi dell'usufruirne. Per un tempo breve come il tragitto per giungere qui, non ci sono conseguenze rischiose. Per ore intere, invece si», mi informò, serio e professorale.

«Mi fanno... male. Allentale un pochino, per favore».
Guardai le manette troppo strette. Amon si avvicinò e le allentò di poco.

«Non tentare più di fregarmi e di fuggire... lo dico per te, Venere. Non puoi sfuggire da me, da questa casa, e da quello che sei», sussurrò al mio orecchio.

«Da quello che sono?», domandai confusa e titubante. Ovviamente non rispose alla mia domanda.
«Adesso dove stai andando?», domandai, quando lo vidi dirigersi verso la porta.

«Smettila di pormi domande, sai già che non risponderò», si limitò a dire, seccato per la mia insistenza.
Uscì dalla stanza a luci rosse.

*

Il tempo parve essersi bloccato, Amon era sparito non sapevo dove, e io ero ancora qui, immobilizzata e priva di libertà.
Non che avessi mai avuto libertà, ma questa situazione era molto peggiore.
Mi ricordavo i giorni passati all'orfanotrofio, con Luana, e la mia amica Jess.
Non avevo mai avuto libertà, lì però era meglio di questa casa, di Amon.

Chissà cosa stavano facendo ora?
E chissà se avevano fatto qualcosa dopo la mia scomparsa?

Sentii la porta aprirsi, vidi una donna dai lunghi capelli rossi e lisci, entrare affiancata da un uomo.

I miei occhi saettarono sull'uomo, era identico a quello del dipinto i fratelli Le Savage.

Folti capelli castani che ricadevano sul suo viso spigoloso sebbene armonico, la pelle risplendeva di una luce dorata, le labbra rosee e piene, uno sguardo mielato che quasi abbagliava.
Il suo corpo snello e muscoloso era cinto da un completo in alta sartoria nero, con le cuciture dello stesso colore dei suoi occhi, fatto su misura per lui, sembrava disegnato con estrema precisione.

L'uomo era il predatore che stava dando la caccia alla sua preda: la donna dai capelli rossi.
Flirtavano spudoratamente. Mi sentii improvvisamente di troppo.

Perché diavolo Amon mi aveva lasciata qui, da sola?

Mi scandii la voce a mo' di tosse.
Attirai l'attenzione dell'uomo; volse il suo sguardo su di me, esaminandomi da capo a piedi, soffermandosi sui polsi legati.
Ridacchiò malefico, la donna, confusa, si girò esattamente dove erano indirizzati gli occhi dell'uomo con cui si stava scambiando effusioni fino a pochi istanti fa.

«Chi diavolo è?», chiese la donna, innervosita, guardandomi. Sembrava quasi gelosa.  L'uomo si avvicinò a me, mi scrutò in volto.
Mi rivolse un mezzo sorriso perfido e poi guardò la donna dai capelli vermiglio.

«Vattene», le ordinò, categorico.
La donna lo guardò sbilenca, annuì e abbassando il viso se ne andò imbarazzata.

Restai sola con l'uomo dagli occhi dorati.
«Chi... chi diavolo sei?!», domandai, preoccupata, balbettante e terrorizzata.
Mi guardava dall'alto della sua imponenza.
Si avvicinò ulteriormente a me e si sedette sul letto.

«Kai, il fratello di Amon». Spalancai gli occhi. Me l'aspettavo ma restai ugualmente sorpresa.

Sghignazzò divertito.
«Tu devi essere Venere...», constatò, analizzandomi con quello sguardo felino.

«...Mi sarei aspettato di trovarti dentro una cella, non in questa stanza. Tra tutte le stanze di questa casa, perché Amon ti ha rinchiusa proprio qui?», domandò, divertito e seccato al tempo stesso.

«Credimi, vorrei saperlo anch'io», risposi esasperata.

«Credimi, mostriciattolo, mi hai interrotto sul più bello... sono alquanto infastidito dalla tua presenza». Glaciale, il tono freddo come mille inverni. Lo guardai lapidaria.

«Non chiamarmi mostriciattolo, ho un nome, ed è Venere...»
Lo lapidai con i miei occhi grigi.

«...Inoltre, non è colpa mia se mi trovo qui, prenditela con Amon». Mi guardò divertito.

«Conosco mio fratello... devi aver combinato qualcosa se adesso non ti trovi rinchiusa in una cella», intuì. Distolsi lo sguardo.
«Lo hai provocato troppo... e poi ti ha lasciata qui, tutta sola e immobilizzata. Non è così?»
La voce soave e suadente.
«Be', mostriciattolo, ora non sei più sola... posso intrattenerti io».

The Serpent of DarknessDove le storie prendono vita. Scoprilo ora