22 - The normals, they make me afraid, The crazies, they make me feel sane

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"Ti odio così tanto... che delle volte in testa ho solo te, te e il tuo modo di fare fastidioso, ma che cattura la mia attenzione inevitabilmente."

Ayane-Sensei

Quando le carte impilate in una sottospecie di torre iniziano a oscillare, scosse da una folata di venticello, sai già che siano sul punto di precipitare

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Quando le carte impilate in una sottospecie di torre iniziano a oscillare, scosse da una folata di venticello, sai già che siano sul punto di precipitare. Il vento, in questo caso, era Amon, mentre la torre di carte ero io. E lui aveva intenzione di farmi precipitare.

Il vero problema della situazione... era che Amon faceva sembrare invitante ed eccitante persino cadere e farsi un male cane, riusciva a far suonare tutto come se fosse una sinfonia ipnotica che ammalia i sensi e irretisce la mente.

E può darsi che cadere non fosse così male... se fosse stato lui quello a spingerti con impeto, per farti separare dalla terra ferma che ti legava a lui, per farti nuotare nel vuoto. Forse ti faceva sentire viva. Io mi sentivo morta da quel giorno. Per me ero morta in quel maledetto incendio. Forse era per questo che Amon era così... invitante. Perché, in qualche strano modo, lui mi riparava il cuore, sintonizzava i pensieri su di lui e mi rubava la razionalità. Era nocivo sotto ogni punto di vista, un virus infettivo che corrode tutto l'organismo.

Amon provocava sulla mia pelle una sorta di dolore che in qualche strana maniera mi rendeva assuefatta a esso. E ti faceva desiderare di averne ancora, di dolore misto al piacere.

Io ero appena caduta da una montagna russa di emozioni tortuose che portava il suo nome.
Ed è quando credevo di avercela fatta, di aver fatto un passo in avanti, che ne facevo dieci indietro.

Mi sentivo ancora le sue dita dentro di me, le sue labbra provocative sul mio clitoride e la sua lingua vorace tra le mie pieghe, mentre ero seduta sul wc e fingevo di non pensare ad Amon. Io non volevo pensarci. Non volevo e non dovevo pensare a lui. Amon era un uomo perfido, manipolatore, che giocava con le menti altrui come fossero il suo passatempo preferito. Amon era il classico esempio di tutto quello che una donna dovrebbe temere e allontanare. Tutto quello che si reputava tossico e malsano era riconducibile a quell'uomo.

Dio, se lo odiavo... ma odiavo ancora di più non riuscire a cacciarlo dalla mia mente.

Provavo delle strane emozioni, e io non volevo sentire nulla per quell'uomo. Era sbagliato. Immondo. Amorale sotto ogni punto di vista. Ero pazza. E ne volevo ancora, di più, di Amon, e il problema era questa bramosia. Desideravo che mi provocasse. Che mi facesse sentire uno schifo. Che mi facesse male, tanto male, perché oramai io mi sentivo viva solo con il dolore.

Odio e umiliazione.

Queste erano le sensazioni principali che imperversavano nel mio corpo.
Ero pervasa da tante di quelle emozioni controverse e conturbanti da perdere la mia sanità mentale - che non possedevo più da quando Amon era piombato nella mia vita. Amon era un repellente per la mia razionalità. Quando lo guardavo... tutto il resto sembrava come sfumarsi e divenire solo un monotono sottofondo. E no, non andava bene per niente. Era da pazzi. Era da manicomio. E io dovevo continuare a ripeterlo a me stessa, tentando di farmi rinsavire. Eppure, a ogni bugia propinata a me stessa, nasceva sempre più desiderio.

Finalmente ero riuscita ad andare in bagno, ad accaparrarmi quello che sembrava quasi essere un privilegio, date le mie circostanze. Tutta colpa di quella donna, Grace, che adesso si trovava proprio ospite nel mio stesso corpo.

«Quanto ci metti, Venere?», domandò serio Amon, per poi proseguire con sarcasmo e divertimento: «Ci sei caduta nel gabinetto?».
Sbuffai, snervata. Neppure potevo stare in bagno senza avere scocciature.

Smettila.
Smettila!
Non dire nulla.
Già parli troppo nella mia mente...
Sta' zitto, Amon. Zitto.

«Magari, sarebbe meglio che continuare a sopportarti, molto meglio di avere la tua stressante compagnia non richiesta...», risposi, acida.

«Bugiarda... poco fa sembravi godere della mia compagnia», mi sbeffeggiò, e potei immaginarmi il sorrisetto maliardo che presumibilmente aveva dipinto sulle labbra al pronunciare queste stupide parole che risuonavano nella mia mente come qualcosa di suadente e ammaliante.

Ti odio.

«Mi stai maledicendo e insultando mentalmente perché sai che ho detto la verità, Afrodite?», mi punzecchiò e io desiderai di deturpare il suo viso ammaliante fino a renderlo inguardabile, per non restare travolta dalla sua bellezza.

«Non vale la pena risponderti, Amon. Sei solo un cretino, una persona disgustosa che si diverte a umiliarmi. E mi fai venire il voltastomaco».

«Non sembrava, sai, Venere? Fino a poco fa sembrava tutt'altro», mi punzecchiò, maliardo.

«Dovresti imparare a sincronizzazione azioni e pensieri, oppure potresti rischiare di perdere credibilità, piccola Afrodite», mi riprese, suadente e beffardo. Alzai lo sguardo al soffitto pece del bagno, che richiamava il resto dello spazio tetro. Il lavabo in marmo nero, con sopra lo specchio, affiancato da due mobiletti sempre sul nero pece, come la doccia che si stanziava a un angolo dello spazio, con un box doccia spazioso, trasparente, che mostrava le pareti in marmo ossidiana. Al centro dello spazio era situata una vasca in marmo nero, parecchio spaziosa.

«E non alzare gli occhi, sai che ho ragione», mi riprese, severo, io mi voltai subitanea verso la morta, ruotando il capo, sconvolta.

«Come sai che...», boffonchiai, sbigottita.
«Non dirmi che ci sono delle telecamere in questo bagno...», mormorai tra me e me, Amon ridacchiò soave.

«No, Afrodite, nessuna telecamera...», disse, la voce flebile, che sembrò una scarica di adrenalina che giunse al mio cuore.

Sentivo l'aria mancarmi, perché avvertivo Amon troppo vicino a me, così vivido e intenso, nonostante fosse dall'altro lato della porta.
«Sono solo i miei occhi che non si sono mai staccati da te, neppure una volta...», sibilò, seducente.

Il cuore era sul punto di esplodermi nel petto, e no, non andava bene, perché sentirmi così per un uomo come lui, una cattiva persona come Amon, era fuori discussione.
«Fino a imprimere nella mia mente i tuoi modi di fare...», si interruppe, e poi proseguì, prendendomi in giro: «...talvolta bizzarri».

Guardai in malo modo la porta che si divideva, nella vaga speranza che potesse percepire i miei sguardi truci e affatto bizzarri.

«Bizzarri?! Sul serio? Stai davvero dicendo a me, pazzo rapitore psicopatico, che i miei modi sono bizzarri?!», sbottai, acida.

«Be', se i miei sono modi di fare bizzarri... i tuoi sono da pazzo squilibrato!», strillai, infastidita. Amon restò silenzioso, e avevo paura di sapere cosa stesse pensando, cosa stesse attraversando la sua mente. Io avevo una paura smisurata di quest'uomo, e l'attrazione che provavo per lui non faceva altro che aumentarla a dismisura.

«Non mi sembrava ti dispiacessero, fino a poco fa...», alluse, maligno.

«Sei folle...», borbottai, snervata. Il punto era che aveva ragione. Non mi erano dispiaciuti, i suoi modi di fare, fino a qualche attimo fa.

La maniglia si abbassò, per poi risollevarsi. Amon stava cercando di entrare. Percepii l'agitazione che cresceva nel mio corpo, disperdendosi in ogni anfratto del mio organismo. Deglutii con nervosismo il nodo che si era formato in gola, e tentai di allontanarmi mentalmente da Amon, da il suo modo di fare, di parlarmi, di provocarmi, di farmi ammattire, perché non era fattibile, provare simili sensazioni per via del mio aguzzino.

«Apri la porta del bagno e ti faccio vedere quanto sono folle, Afrodite...», mi ordinò. Avevo chiuso a chiave la porta, come precauzione, ed ero rimasta sorpresa di aver trovato una chiave, in realtà.

«Se l'ho chiusa un motivo c'è... io non ti voglio tra i piedi pure mentre sto in bagno. Lasciami sola e in pace».

«Non posso, Venere. Non dopo quello che è successo. Non saresti al sicuro».

The Serpent of DarknessDove le storie prendono vita. Scoprilo ora