16 - Can't hold on, I'm losing myself

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Ciao, piccole luci ☀️🖤

Come state? Spero tutto bene!

Questo capitolo sarà intenso... 🌚 godetevelo!

Vi auguro una buona lettura!

"Ogni persona ha un lato oscuro, anche chi sembra totalmente innocente."

Amon Le Savage

La luce irradiò dall'interno della cella, qualcuno aprì la porta

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La luce irradiò dall'interno della cella, qualcuno aprì la porta. Ero come accecata, vedevo in controluce una figura imponente, slanciata e... familiare. Camminò. Si avvicinò a me. Ero seduta sul gelido e putrido pavimento roccioso e incrostato di vermiglio. Si abbassò, chinandosi vicino alla mia figura, piegandosi sulle sue ginocchia e mi fissò allarmato. Fu allora che riconobbi colui dinanzi al mio sguardo. Amon.
Era venuto per portarmi via di qui?

«Venere...». La sua voce soave era come spezzata dallo spettacolo ripugnante del mio viso malridotto. Mi guardò scossò, era la prima volta che vidi sul suo volto un'espressione diversa, delle emozioni differenti dall'impassibilità e dalla follia che solitamente mi mostrava.

«Mi dispiace», biascicò, quasi inudibilmente, come se provasse vergogna di quelle parole e ancora di più di sé stesso. Restai zitta. Non avevo neppure la voglia né tantomeno la forza di parlare. Graylord mi aveva prosciugata, le mie energie le aveva rubate lui e mi aveva fatto troppo male. Mi carezzò con una mano la guancia dolorante, e con l'altra mi prese il polso tra le sue dita lunghe.

«Vieni... ti riporto a casa». Mi sorrise lievemente, mentre si alzava sulle gambe in posizione eretta, e io, come programmata ad ascoltare le sue parole, mi alzai seguendo i suoi movimenti.

Sarei davvero andata via?
Ero davvero sul punto di tornare con Amon ed essere la sua prigioniera?
Era sicuramente meglio di restare qui, con quel mostro...
Strinse forte il mio polso, come se avesse paura che non lo avrei seguito.

«Amon», richiamai la sua attenzione mentre stavamo risalendo le scale buie che ci avrebbero portati nell'atrio. Si voltò con il viso verso di me, aspettando che parlassi.
«Io...». Facevo una fatica immane a parlare, a dire quelle tre parole.
«Tu cosa?», chiese, guardandomi in attesa.
«Io ho paura». Pronunciai tutto d'un fiato. Sorrise sbieco.

«Ci sono io, Afrodite... non sei sola, hai me», mi rassicurò. Sentire il mio soprannome mi confortò. Ma quanto conforto avrebbe potuto darmi uno come lui?
Un folle psicopatico che mi aveva rapita... colui che aveva dato inizio a tutti i miei problemi. Non era affidabile.
Allora perché mi sentivo più tranquilla in questo momento?
Perché in qualche strano modo sentivo di potermi fidare di lui?

«Ci sei soltanto perché ti servo... non mi fido di te e mai mi fiderò», puntualizzai. Lui ridacchiò. Continuammo a camminare lungo un corridoio alla quale non stavo prestando attenzione. Ero persa nel mio mondo e nella conversazione assurda che stavo avendo con il mio rapitore.
«Non devi fidarti di me, Venere... devi solo sapere che io per te ci sarò sempre», mormorò.
«Ma continua a temermi, a odiarmi, a non fidarti di me, è la scelta migliore per entrambi».

The Serpent of DarknessDove le storie prendono vita. Scoprilo ora