15 - Nowhere to run, There's nowhere to hide

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"Il tempo non curava il dolore mentale ed emotivo... ti abituava a convivere con loro, giorno dopo giorno. E a poco a poco, sembra quasi diminuire, ma era solo una misera illusione. Il dolore restava sempre lì, al suo posto."

Venere


UNA SETTIMANA DOPO

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UNA SETTIMANA DOPO

Il tempo passava fin troppo rapidamente e, delle volte, mi sembrava come se facessi difficolta a stargli dietro. Avevo paura dell'incessante velocità del tempo. Il tempo era limitato... un giorno tutto sarebbe giunto al termine della sua esistenza. Me compresa. E ciò mi incuteva molteplici angosce e timori.
Ero terrorizzata dal pensiero "e se non avessi fatto tutto quello che dovevo fare?", e anche da "e se non avessi vissuto come volevo vivere?"... tutto questo mi incideva l'anima di paranoie.

In questa settimana avevo fatto il possibile per cercare di rendere la convivenza con Graylord meno un inferno. Dopo una giornataccia, la terza giornata da quando mi ero ritrovata qui... avevo sperimentato una situazione che non volevo si ripetesse. Mai più. Il solo pensiero mi faceva venire la voglia di rovinare al suolo con le gambe strette al petto e urlando dal terrore. Quella giornata mi aveva traumatizzata così tanto da costringermi a cambiare qualcosa in me. Ero diventata più... obbediente all'apparenza. Fingevo. E in tale maniera, Graylord non mi aveva più sfiorato con un dito. Il livido violaceo che contornava il mio occhio era coperto da un cerotto dalla forma circolare. Faceva ancora un po' male, tuttavia, il tempo ti abituava al dolore. Era una grande idiozia la frase "il tempo cura ogni dolore".

In questa settimana, Amon non si era fatto vivo. Rimpiangevo quando era lui il mio aguzzino. Mi aveva trattata male, legata, sfidata... ma, nonostante tutto, nonostante la pazienza che non aveva, non aveva mai alzato un singolo dito su di me, non mi aveva mai ferita. Graylord, invece, sembrava quasi più buono e gentile di Amon, inizialmente... ma era un mostro. Quando gli avevo fatto perdere la pazienza, era scoppiato con un impeto furente su di me. E aveva fatto male.

Aveva perfino smesso di bussare alla porta. Oramai non voleva più sforzarsi di fingere di essere qualcosa di migliore di un mostro. Parlando del diavolo spuntavano le corna... Graylord entrò in camera. Mi trovavo stesa sul pavimento, a pancia all'aria. Fissavo il soffitto. L'unica cosa che mi faceva pensare alla libertà. Quella che mi era stata negata. Graylord mi aveva costretta a cambiare camera, ora non avevo più una stanza con una finestra. Ero in una cella buia, priva di luce. Era una stanzetta buia, solo una porta consentiva alla luce di entrare. La luce mi accecò quando quell'uomo entrò nel mio campo visivo. La paura mi assalì come un'onda veemente. La paura che provavo con Graylord era differente da quella che provavo con Amon. Amon era terribile, ma con lui, nonostante la paura, non mi ero mai sentita come mi sentivo con Graylord. Non mi ero mai sentita realmente minacciata. Nonostante tutto quello che avevo passato in sua presenza. Quando era lui a innescare in me un'emozione come la paura, cresceva qualcos'altro in me, un desiderio irrefrenabile che si fondeva all'adrenalina. Ne ero terrorizzata. Terrorizzata era un eufemismo, anzi. Non ero in grado di definire cosa provavo.

«La solitudine ti sta facendo ammattire?», proruppe Graylord. La sua voce mi disgustava, come anche la sua faccia a malapena visibile al mio sguardo. Era in controluce, indossava un completo antracite, e mi guardava dall'alto in basso, come faceva sempre da giorni. Lo odiavo.

Mi limitai a stare zitta. Non volevo altre botte. Non volevo altri lividi. Non volevo nulla di ciò da lui. Non desideravo altro tranne che chiudere gli occhi e non riaprirli più. Graylord però era preparato. Sapeva dei miei desideri suicida e mi aveva rinchiusa qui, senza nulla che potesse ferirmi. Solo lui mi faceva male, senza mai uccidermi. Non poteva farlo, gli servivo, altrimenti, scommettevo che mi avrebbe uccisa.

Vedendo che non avevo risposto nulla, che ero troppo sconcertata e addolorata per aprire bocca, se ne andò, uscendo dalla stanzetta tetra, lasciando sul pavimento del pane e dell'acqua.

Il giorno a seguire, ripensai a quello che mi aveva detto Katniss, l'amica di Amon. Mi aveva dato un bracciale in grado di dimezzare il dolore inferto da Graylord... ma allora perché era così doloroso?
Se non mi avesse dato questo bracciale, come mi sarei sentita?

Mentre mi tormentavo di domande a cui non volevo realmente una risposta, qualcuno aprì la porta di scatto.

Mentre mi tormentavo di domande a cui non volevo realmente una risposta, qualcuno aprì la porta di scatto

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Graylord era uno stronzo. Un incosciente e senza ritegno. Katniss mi aveva detto cosa aveva percepito tramite la magia legata al bracciale che le avevo chiesto di forgiare per Venere... mi aveva fatto allarmare. Avevo verificato la veridicità delle parole di Graylord. Erano bugie. L'incarico era rimasto a me e Kai. Sempre. Graylord voleva vendetta, da quando aveva perso a causa mia la sua sorellina era diventato irriconoscibile. Un mostro che ignorava gli ordini, e non potevo tollerarlo, specialmente sapendo Venere in pericolo. Lei serviva viva e in piena salute. Era una nostra simile. Siamo costretti a camminare attraverso l'inferno per divenire diavoli. Lei non sarebbe stata un'eccezione. Il dolore le avrebbe ben presto stravolto tutto, e sarebbe divenuta quello che doveva essere. Avrei raggiunto l'obiettivo e gli Oscuri Signori sarebbero stati soddisfatti. Era tutto un dannato circolo vizioso. Una cerchia di folli spietati e immortali. Coloro che controllavano il mondo nascosti nelle tenebre più fosche. Coloro che erano stati creati per questo scopo.

Mi ritrovai dinanzi alla porta d'ingresso di casa Obscur. Suonai il campanello. Appena Graylord aprì lo afferrai per il collo e lo strattonai fuori, sbattendolo irruentemente al primo muro che trovai. Sbatté la testa, ansimò dolorante e divertito. Lo trucidai con gli occhi.
«Oh, guarda un po' chi si rivede!», scherzò sinistro Graylord.
«Voglio vederti morto, Graylord», lo avvisai.
«Resta qui, o sarò io stesso a ucciderti. E credimi, preferirei lo facessero gli Oscuri Signori».

Prima di entrare in casa sua, dopo aver sistemato grazie ai miei poteri e quelli di Katniss le misure di sicurezza, mi voltai sbieco verso Graylord, inclinando di poco il viso, lo guardai con disapprovazione.
«Grace non avrà mai pace e felicità, vedendoti ridotto così».
Restò come paralizzato.

The Serpent of DarknessDove le storie prendono vita. Scoprilo ora