130. Ritorno al mondo esterno

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Pov's Carlotta
Sarei dovuta andare in albergo con gli altri, ma non ci andai. Non ero veramente pronta ad abbandonare tutto e come vincitrice espressi il mio desiderio alla produzione di dormire per l'ultima volta in quella casa che mi aveva ospitato per 8 lunghi mesi, seppur da sola.

Loro accettarono, tanto non gli cambiava nulla. Era a me che stravolgeva la vita.

Varcai quella porta e feci un piccolo giro per la casa, tutto lentamente, assaporandomi ogni secondo. Mi guardai attorno e le immagini di otto mesi iniziarono a fluire nella mia mente, come un rullino fotografico.

Mi sarebbe mancata ogni cosa. A partire dalle chiacchierate nel giardinetto anteriore con chiunque, alle feste che organizzavamo per gli eventi importanti, tipo compleanni o dischi d'oro, in cui ci sentivamo una vera famiglia.

Dagli scherzi per Nunzio ai concerti improvvisati durante il turno di pulizie con Crytical e Luigi oppure dalle giocate a carte che tiravano fuori la parte più competitiva di ognuno di noi alle serate davanti la tv per vedere qualche film tutti insieme che finiva sempre per essere un horror procurando a me, Carola, Sissi e Serena la fifa di stare da sole. Così facendo finivamo sempre per unire i nostri letti al centro della stanza per addormentarci abbracciate e alleviare la paura.

Mi sarebbero mancati persino i litigi e i provvedimenti disciplinari; okay magari quest'ultimi non tantissimo eh, però un pochino pure loro.

Mi soffermai sulla stanza verde. Quella camera in cui avevo passato un sacco di momenti non solo con Alex, ma anche con Lollo, Matti e Christian.

Nonostante il modo in cui fossero andate a finire tra me e gli ultimi due, io non mi sarei mai dimenticato di tutto il bene che mi avevano fatto.

Poi notai una scatola rossa di media grandezza sotto il comodino di Alex. Non era da lui scordarsi le cose perciò, un po' per curiosità e un po' per scoprire di chi fosse in realtà, mi avvicinai, la presi e la aprì.

Al suo interno ci trovai dei fogli di carta malandati, colorati di inchiostro nero in una calligrafia che conoscevo bene.

Dire che ne sono rimasta sorpresa era dir poco. Ma ciò che mi colpì ancor di più fu scoprire che tutti quei foglietti erano delle lettere dedicate a me.

Non chiederti il perché io stia trascorrendo il
mio tempo incidendo parole che, forse, nemmeno leggerai. Non ci conosciamo, probabilmente mai lo faremo. Ti ho osservata e sembri essere tanto diversa da quello che sono io. Mi è bastato guardarti quella sera, in giardino: eri con Luca, Christian, Nunzio e Inder e stavate per l'appunto discutendo della canzone di quest'ultimo. Inizialmente te ne sei rimasta per le tue, mangiando il tuo bel panino al prosciutto crudo, che avevi preparato poco prima sia per te che per Christian. Nel mentre il vento ti accarezzava i lucenti e morbidi capelli castani e mostravi un'aria così innocente da intimorirmi. Poi dopo hai espresso la tua opinione in piena sincerità e tutta quell'innocenza che mi stava incutendo paura mi iniziò incredibilmente ad attrarre. Volevo uscire, darti ragione, cominciare un dialogo, ma non lo feci. Qualcuno aveva già messo gli occhi su di te e io non ero nessuno in confronto a lui, perciò mi misi da parte, reprimendo questo desiderio.
-A

Non capisco. Davvero io ci provo, ma non capisco come una ragazza come te possa essere così insicura. Balli da Dio e so che detto da uno che di danza non ne sa niente non vale un cazzo, ma porca puttana balli seriamente da Dio. Credo, però, che questo te l'abbia già detto lui e ne sono felice, perché ho visto che sei tornata a sorridere poco dopo, ma non nego che avrei tanto voluto dirtelo io e osservarti sorridere per merito mio.
-A

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