I sogni son desideri

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capitolo 14

Inseguo i miei sogni,
ma fuggo dalle ossessioni:
i sogni liberano la mente,
le ossessioni la imprigionano.
Emanuela breda

Poi nella stanza nessuno aveva più osato aprire bocca, o dire nient'altro, era calato un silenzio assoluto, tombale. Dall'altra parte del mondo Milena piangeva felice tra le braccia della sua amica, fiera di se stessa. Mentre raccoglieva, insieme a Sofia, le medaglie che le due avevano vinto con sudore e fatica, davanti a lei passavano i 14 anni passati chiusa tra le mura di una palestra sporca e fredda a faticare e soffrire. Ripensò a tutte le gare andate male, a tutte le delusioni e i pianti fatti fra le braccia dell' allenatrice. Pensò a quanto le voleva, che appena arrivata in Italia sarebbe andata da lei per ringraziarla.

Doveva tanto alla nazionale italiana, alle allenatrici che la accompagnavano durante le competizioni internazionali, ma Chiara era quella a cui doveva tutto. Chiara, la sua palestra, Alice, tutte le compagne che ogni giorni negli ultimi quattordici anni le avevano fatto compagnia durante gli allenamenti. L'avevano aiutata a migliorarsi, a imparare nuovi elementi, a superare le disgrazie e le difficoltà. Erano state una famiglia, quella che lei non aveva avuto per gran parte della sua vita. Sorelle, che si erano ritrovate senza volerlo o senza averlo programmato.

Alice era stata la sua ancora in tutte quelle ore di allenamento in cui la forza sembrava abbandonarla. Quando i muscoli facevano così male che avrebbe solo voluto piangere e sdraiarsi sul pavimento freddo. Quando si faceva male, e pensava che il sogno fosse finito lì. La chiamò non appena riebbe il suo telefono fra le mani, la vide piangere in videochiamata, sorridendo fra le lacrime, fiera come fosse sua figlia.

Non rispose a nessuna delle chiamate dei suoi amici, soprattutto non dopo che la sua compagna l'aveva informata che erano venuti a sapere che voleva trasferirsi. Non era un'idea che le era venuta a caso, ci aveva riflettuto a lungo. Non l'aveva fatto da sola, ma insieme alla sua squadra e a Linoy. Erano già due settimane passate quando la campionessa mondiale le aveva proposto di restare con lei per sei mesi e prepararsi alle competizioni del 2023 che sarebbero state fondamentali per qualificarsi alle Olimpiadi di Parigi 2024.

Si erano sedute intorno ad un tavolo, come in una setta si erano guardate in silenzio per qualche minuto. Poi Emanuela aveva sospirato, prima di rivolgerle un sorriso. "Vuoi andare?" Le aveva domandando con sincerità il commissario tecnico della nazionale, che ormai la conosceva da anni. Aveva annuito, un po' intimorito. "Potrebbe farle bene" aveva appoggiato la sua allenatrice. Erano rimaste zitte un altro po', prima che Emanuela annuisse con un sorriso. "E va bene, puoi andare"

Quando l'aveva detto a Linoy si erano abbracciate, l'aveva stretta forte e si era mostrata contenta. L'israeliana lavorava già con le ginnaste della sua nazionale, ma nessuna aveva il potenziale che lei vedeva in Milena. Nessuna nella sua squadra era una promessa tanto grande come era lei quando era entrata nella nazionale.

Milena invece si, Milena sembrava lei quando dieci anni prima aveva messo per la prima volta piede alle selezioni della nazionale. Si era esibita nel silenzio assoluto in un palazzetto troppo grande per quelli a cui lei era abituata. Davanti a una schiera di donne in divisa tutte uguali, lo stemma della sua nazione torreggiava sui loro petti all'altezza del petto. Poi era entrata nella nazionale e da quel momento niente era più stato lo stesso. Aveva vinto nazionale, europei, mondiali e poi aveva coronato il suo sogno ed aveva vinto le Olimpiadi di Tokyo battendo le gemelle che da anni la facevano sentire inferiore.

Aveva dimostrato quanto valeva, e ora voleva aiutare quella piccola ragazzina a fare lo stesso. Milena aveva la grinta, la passione e le qualità di una campionessa. La fama di vincere, la voglia di lavorare. Poteva prendersi tutto quello che le spettava, e con Linoy al suo fianco l'avrebbe fatto sicuramente. Così una volta finito gli europei, era tornata a casa, in Italia, con le medaglie d'oro nella valigia. Pronta a riempire quella e un altro bagaglio con tutti i suoi vestiti da allenamento.

Avrebbe studiato online dall'Israele e per sei mesi sarebbe stata concentrata solo e unicamente sulla ginnastica. Senza vedere nessuno se non la sua nuova allenatrice. Era passata dalla sua palestra subito dopo essersi fatta una doccia, dove aveva trovato Alice e Chiara, che già avevano saluto la notizia.

"Mi mancherai tanto" aveva pianto sulla spalla dell'altra. A Milena era scappata una risatina. "Non vado in guerra, tornerò" l'aveva presa in giro, ma dentro di lei aveva paura anche lei. Sarebbe stata sola, più sola di quanto non fosse mai stata in tutti quegli anni. "Beh insomma, non hai mai visto come si allenano quelle pazze?" Risero insieme.

"Sei il mio orgoglio" Chiara aveva tirato su con il naso, malinconica. "Ti vengono le rughe a piangere" come aveva sempre fatto, la prese in giro. Abbracciò quella era stata sua madre per quasi tutta la sua vita, si fece cullare dalle forti braccia della donna che l'aveva cresciuta. "Rendimi ancora più fiera, te lo meriti okay?"

Poi era uscita dalla palestra stringendo tra le mani i fogli e i permessi che lo staff della società le aveva dato da consegnare a chi di dovere in Israele. Era pronta ad entrare in casa, fare le valige, dormire e poi ripartire. Ma i piani non andarono proprio come pensava lei.

"Bentornata" la guardò con sguardo incattivo Carola. Seduti vicino a lei sui gradini di casa di Milena, erano appollaiati come cani da guardia tutti i membri degli O8. Persino Luca era lì, nonostante ciò che era successo. "Ciao ragazzi" sospirò, per poi sorridere loro.

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