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Il principe dell'Altomondo era tornato a casa da circa tre anni e le cose a palazzo non andavano per il meglio, ma si cercava di andare avanti. Il regno era sotto una dura carestia, le materie prima scarseggiavano e di conseguenza non ce ne erano abbastanza per sfamare l'intera popolazione, in aggiunta c'era suo padre che stava sempre più peggiorando. Su consiglio del braccio destro, dopo una lunga disputa, aveva nominato il figlio Re fino a quando non si sarebbe rimesso. Indescrivibili l'entusiasmo e la serietà con cui Erebus aveva abbracciato quell'incarico sebbene comportasse parecchia pressione, ma era fiducioso e poi...non aveva intenzione di deludere il padre, anche non condividevano le stesse idee. Uno era pro alla servitù schiavizzata, l'altro contro e credeva che almeno quella gente avrebbe dovuto essere retribuita. Uno credeva nei miracoli scesi dal cielo, l'altro che i veri miracoli li facessero gli uomini con le loro azioni.
Comunque, il principe si sentiva onorato di aver finalmente un po' di diritto di parola e di poterne usufruire per fare del bene, dando finalmente una mano concreta al suo Paese. Era la sua terra e per quanto la odiasse per come la governasse il padre, non poteva dare la colpa ai cittadini per questo. Ora, tuttavia, era in viaggio attraverso un magico tunnel per andare a trovare qualcuno che non vedeva da molto tempo e che gli mancava Anche se per poco tempo. Con la carestia in corso, era già una benedizione avere un attimo per scappare. Sperò solo che le ultime parole che si erano scambiati fossero vere e che sarebbe davvero stato il benvenuto.

Prese un bel respiro di incoraggiamento e poi fece un'ultimo passo, arrivando nel Sottomondo. La prima volta che c'era stato, dopo esser scaraventato giù dal cielo dal padre, pioveva e il cielo era così immerso nella nebbia che quasi non distingueva neanche la forma più vicina. Anche questa volta era buio, ma si vedeva qualcosa. Inoltre, l'intero reame sembrava rinato, aveva un'aria più serena – dopo la caduta della dittatura della Regina Rossa, la Bianca aveva ridato nuovo vita a ogni luogo e pianta semplicemente con la sua presenza. Nonostante gli errori commessi in gioventù, aveva l'anima buona e questo si rifletteva sul territorio.
A quel punto Erebus i rese conto di non sapere bene dove fosse, quindi per non rischiare di perdersi vagando a vuoto, dalla tasca dal completo celeste prese una perla bianca. Come sempre la mise a terra e la calpestò, riapparendo pochi secondi dopo avanti a una torre famigliare. Memower aveva cambiato colore e l'arco di pietra da lato ora aveva appesa un'altalena che la prima volta non c'era. Aggrottò le sopracciglia, sorpreso. Non poteva essere lì per Laureline quella giostra.
Sorvolò e si avvicinò alla porta d'entrata. Le luce erano accese, qualcuno c'era in casa. Busso due volte e aspettò.

La Regina Nera l'udì e si alzò dal tappeto. «Chi é a quest'ora? É tardi ormai. È quasi ora di andare a dormire.» chiese Kalea arricciando il nasino. Aveva ragione, erano le otto di sera passate e Laureline non stava certo aspettando visite. Quest'ultima alzò le spalle, le disse di rimanere dov'era e che sarebbe tornava subito. Quindi, si diresse verso la porta e guardò attraverso lo spioncino «Chi è? Avete bisogno?» chiese. Non vedeva molto bene, fuori la notte aveva coperto quasi ogni cosa.
«Si, ecco...avrei bisogno di un riparo per la notte.» quella risposta ebbe l'effetto di un deja vù, proprio ciò a cui aveva puntato l'altro. Laureline capì che fosse il suo amico e gli aprì, facendolo entrare «Che ci fai qui?»
Erebus le sorrise candidamente e si tolse il mantello «É così strano che volessi passare a trovarti?» ribatté con innocenza. Lei rise e insieme andarono in salotto dove Kalea -non appena vide lui- saltò in piedi, mettendosi sulla difensiva. «Tranquilla, è un amico.» la rassicurò Laureline lasciando che lui le si avvicinasse.
«Ehi, piccola. Io sono Erebus. Tu invece, come ti chiami?» si presentò chiedendole in nome, inginocchiandosi davanti a lei per arrivare alla sua altezza.
«Kalea...piacere.»
«Il piacere è tutto mio.» si strinsero la mano, lui con un sorriso amichevole in volto. Era così carina quella bambina, con il suo vestitino giallo ocra. La sua mano in confronto a quella di lei poi era così grande. Si volto verso l'amica «É...tua figlia?» domandò sperando di non essere stato troppo evasivo. Aveva imparato a contenere quello che pensava, quando era in presenza di Laureline, ma per quell'ipotesi non c'erano mezze misure.

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