Manhattan; 2011/10/01

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Manhattan; 2015/10/01

Era il nostro primo vero appuntamento.
La decisione fu mia, ovviamente, perché Louis teneva ancora quello stato confidenziale che si aveva tra amici, ma vivevamo ciò che solo due partner potevano avere.
Quando glielo chiesi eravamo sdraiati sull'erba del parco in piena notte, con una birra nella mano destra e uno spinello che ci giravamo ogni due o tre tiri.
Stavamo osservando il cielo, e per quanto amassi la notte, c'era qualcosa che mi obbligava a voltarmi verso Louis ed ammirarlo.
A volte lo guardavo negli occhi e, lì dentro, ci vedevo un intero universo. Se possibile anche più bello di quello che ci si parava di fronte.

-Penso dovremmo uscire- dissi mentre aspiravo un tiro.
-Lo abbiamo già fatto- disse, allungando la mano verso la mia e stringendola. Una cosa che notai era che, indipendentemente dal tempo, la sua pelle era sempre fredda. A volte mi faceva paura questa cosa, perché sebbene si coprisse di strati di vestiti, la sua pelle non sentiva mai calore.
"Mani fredde, cuore freddo" diceva mia madre.
"Mani fredde, cuore caldo" diceva mia nonna.
Beh donne, decidetevi. Non riconoscevo neanche il mio di cuore figurati quello suo.
E mentre mi persi in questi pensieri lui iniziò a ridere.
-Perché ridi?-
-Perché era un tentativo fallito per chiedermi un vero appuntamento- disse ancora ridendo e io arrossii.
-Beh, quindi accetti?- gli passai lo spinello e lui si sporse per baciarmi teneramente.
-Come potrei dire di no a questo bel facciano- poi mi baciò la punta del naso, ma al suo romanticismo si contrappose la mia passione, che mi fece afferrare i suoi polsi e cercai di tirarmelo addosso.

Con una spinta si allontanò da me, e come ogni altra volta che mi sembrava di fare due passi avanti, Louis decideva di farne cinque indietro.
-Va tutto bene?- gli chiesi mentre iniziò a tremare da testa a piedi, tenendosi il polso destro con la mano sinistra.
-Sì, solo...- abbassò lo sguardo sull'erba -Ricordi- e quando mi guardò, non vidi niente.

Passarono due settimane ed eccoci in un auto mentre raggiungevamo Manhattan, la sua città del cuore.
Non capisco come possa preferire uno stupido "parco" alla bellezza di New York.
Certo, avevo capito non amasse molto le persone, ma innamorarsi di alberi dietro alberi. Davvero Louis? Per un appuntamento romantico ho dovuto organizzare un pic-nic in mezzo al nulla?
A quanto pareva sì, perché quando scese dalla macchina era il ragazzo più felice al mondo.

Camminammo mano nella mano, e di tanto in tanto prendeva qualche filo d'erba e me lo avvicinava al naso o all'orecchio per infastidirmi.
-Smettila- risi mentre gli presi l'altra mano tra la mia. Sussultò e il filo d'erba cadde per terra, insieme a quel momento che era totalmente nostro.
-Scusami- disse, schiarendosi la voce e notando come tentava ancora di chiudersi in sé.
-Louis, è tutto okay?-
-Sì- rispose subito.
-Non sembra che...-
-Non mi piacciono i gesti improvvisi- disse subito -Tutto qui- lo guardai e annuii, notando solamente in quel momento che eravamo fermi in mezzo al parco.
-Io non...-
-Non fa niente- disse subito -Mi dovrò abituare a questo- mi sorrise appena e odiai con tutto il cuore quel gesto forzato. Continuava a fingere e qualcosa mi diceva che non avrebbe smesso fino a quando non lo avrei convinto che io ero una persona buona.

Gli allungai delicatamente la mano e lui la prese tra la sua, portandola alle labbra e baciandola con dolcezza.

Non c'era paura nei suoi gesti, ma c'era quella insicurezza che albergava nella sua anima e lo rendeva fragile.
Avrei voluto aggiustarlo. Avrei voluto ricostruirlo da capo.
Avrei voluto scoprire il momento in cui perse se stesso e aiutarlo a ritrovarsi.

Ma mentre pensavo a come riportarlo indietro, lui pensava a come andare avanti.
Perché se sapevo una cosa di Louis, era che lui stava sempre un passo avanti a me. Mentre io mi perdevo a cercarlo, lui si trovava ritrovandomi, perché sapeva dove andavo, e io sapevo che, tra i due, lui avrebbe trovato un modo per starmi vicino.

Gli baciai la punta del naso e, quasi contemporaneamente, iniziammo a camminare.
Oscillano avanti e indietro le braccia e lui mi guardò intimidito.
-Sei bellissimo oggi- disse mentre mi sorrideva e non smetteva di guardarmi. Io feci altrettanto.
Era un sole, e io ero l'unico che riusciva ad illuminare.
-Tu lo sei sempre- dissi, e arrossì appena.
Lo avvicinai a me per un bacio, ma mentre stringevo le sue guance, vidi i suoi occhi spalancarsi e le sue mani poggiarci sul mio petto, spingendomi via da lui.
Stavo per chiedergli qualcosa, ma un attimo dopo vidi qualcuno andargli addosso.

-Louis- il modo in cui pronunciò il suo nome fu come un pugno nello stomaco. Lo vidi osservarlo e Louis era immobile, con gli occhi spenti e i pugni chiusi.
Non disse il suo nome. Non disse niente. Ma in quel silenzio c'erano tutte le risposte che cercavo.
-Dove vai? Non sei stanco di farti vedere in giro?- la testa dell'uomo si piegò d'un lato e notai il ghigno sul suo volto.
-Ehi- avevo la bava alla bocca e avrei voluto picchiarlo, perché c'era qualcosa che mi faceva incazzare nel suo comportamento.
-Non dire nulla- e fu quello a fermarmi. Sebbene i suoi occhi fossero impassibili, la sua voce tremava.

Serrai le labbra e notai come gli occhi neri dell'uomo si piantarono su di me.
Mi osservò per qualche secondo, poi si voltò verso Louis.
-Attento, il lupo cattivo è ancora per le strade- cantilenò e Louis guardò altrove.
Poi si voltò e, senza dire una parola, andò via.

Raggiunsi Louis e provai a chiedergli spiegazioni, ma mi guardò in modo pietoso.
-Ci sono storie che non vanno raccontate- mi disse.
-Non ti fidi di me?- chiesi, sentendo le forze abbandonarmi piano piano.
-Tu lo fai?-
-Certo che lo faccio- dissi, cercando di prendergli una mano, ma ciò che ricevetti fu un gesto per proteggersi da un colpo che non sarebbe mai arrivato.
Lo guardai ancora, e lui continuava a rimanere chiuso in sé mentre si teneva a distanza di sicurezza.
-Che ti hanno fatto?- chiesi.
-Mi sono fidato- sussurrò, e quelle parole mi suonano ancora oggi in testa. Quando mi guardo allo specchio e disegno i tratti del mostro, accorgendomi che, tra tutti, quello vero sono io.

Gli chiederei perdono. Aveva ragione, fidarsi era il dolore più grande che una persona potesse fare a se stesso.
Vorrei chiedere scusa, vorrei supplicarlo di perdonarmi, perché lui si fidava, ma io non ero in grado di mantenere le promesse.

-Ti prometto che, finché ci sarò io, nessuno potrà farti del male- gli dissi in macchina mentre tornavamo a casa.
Mi dispiace amore mio, ma le promesse sono state create per essere infrante, anche se ho tentato davvero di mantenerla.

Ricordo ancora il sorriso che mi regalò dopo quelle stupidissime parole. Cercava di ancorarsi ad una promessa, perché niente riusciva a salvarlo dall'abisso in cui stava annegando.
Provò ad ancorarsi all'ultima luce di speranza, che era troppo debole per tenerlo lontano dal male che, in poco tempo, l'avrebbe sopraffatto.

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