Tu-ru-ru, tu-ru-ru, tu-ru-ru, ah
mi vuoi bene ma sai solo farmi malе.
Tu-ru-ru, tu-ru-ru, tu-ru-ru, ah
ho un inverno e viene fuori anche in estate.
E mi sdraio sul fondale
dove non ho il mal di mare
e mi viene il mal di te, mal di te, mal di te.Livia aveva cantato quel ritornello almeno venti volte da quando si era chiusa nella "stanza dello svago", forse per convincersi davvero che avrebbe potuto funzionare musicalmente e testualmente. Probabilmente stava osando troppo con quel testo ma quando quella mattina si era alzata dal letto le parole erano uscite dalla sua mente in un battito di ciglia ed ebbe l'esigenza di trascrivere tutto su quel quadernino pieno, fino ad allora, solo di scarabocchi. Lorella le aveva detto che l'ispirazione sarebbe arrivata improvvisamente ma non avrebbe mai immaginato in questo modo. L'unico pensiero che, insieme al nuovo brano che stava prendendo forma, occupava la sua mente era la conversazione della notte precedente; e la forte sensazione che niente sarebbe stato più come prima.
La notte precedente
«Parlami, Livia».
Alla giovane cantautrice romana bastarono quelle due secche parole per risvegliarla dallo stato di trance in cui era caduta da quando il ragazzo di fronte a lui aveva raccontato, tutto d'un fiato, ciò che sapeva. I suoi occhi vitrei riacquistarono vigore quando Samu le poggiò una mano sulla spalla; la sua mano calda a contatto con la sua pelle chiara le comunicò che non stava sognando.
Parlargli? E come? Cosa avrebbe dovuto dire? Si sentiva esposta, fragile, spoglia di tutti i muri che aveva costruito con fatica intorno a lei.
Non era arrabbiata con Ludovica, anche se una voce dentro di lei le diceva che avrebbe dovuto. Non era arrabbiata con Samu, perché il fatto lui sapesse, in un certo senso, l'aveva liberata di un peso. Era arrabbiata con se stessa. O meglio, con il fatto che in quel momento i suoi sentimenti erano di dominio pubblico, anche se quel pubblico consisteva solo nel giovane ballerino di hip-hop. Era un'eterna contraddizione, se ne rendeva conto: sentirsi sollevati ma al tempo stesso impauriti; sentirsi forti ma fragili nell'istante successivo.
«Cosa devo dirti?» fu tutto ciò che la giovane riuscì a dire.
«Quello che senti» rispose il palermitano, cercando i suoi occhi che, in quel momento, fuggivano continuamente dai suoi.
Livia si sentiva messa al muro, voleva che in quell'istante il pavimento sbriciolasse, facendo sprofondare in un oblio senza fine lei e il divano sul quale era seduta.
«Livia, sono tre giorni che non faccio che pensarci». Samu si avvicinò alla sua figura esile, continuando a cercare i suoi occhi e trascinando le mani verso quelle attorcigliate della sua compagna di classe. «Anche in sala mi è difficile concentrarmi con questo pensiero che martella la mia testa. Io così impazzisco».
«Mi dispiace» sussurrò Livia. «Non avrei voluto finisse così».
«Finisse come?»
«Non lo so».
I loro occhi, finalmente, si incontrarono. Livia lesse in quelli di Samu smarrimento e confusione, amalgamati però a una sorta di amara speranza. Samu, dal canto suo, lesse nelle iridi verdi della bionda impassibilità, paura, sgomento ma soprattutto freddezza. Una freddezza di cui non pensava fosse capace.
«Ludovica ha capito male» disse la ragazza, senza tanti giri di parole.
Il diciottenne la guardò e lei sentì il suo sguardo trafiggerle il corpo e ridurla in poltiglia.
«Non ti credo».
«Mi dispiace, non volevo».
«Non credi nemmeno tu a quello che stai dicendo».
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𝐫𝐚𝐯𝐞, 𝐞𝐜𝐥𝐢𝐬𝐬𝐢 ☽ | Amici22
Fanfiction«Non amerò mai più nessuno come amo te, Livia.» «Non puoi saperlo, Samu.» Era curioso che gli stesse dicendo questo, quando pochi giorni fa lei pensò esattamente le stesse identiche cose, guardando il suo ragazzo ballare su "Abissale". Samu alzò la...