Capitolo 19

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CHARLES

Lei torna a guardarmi e segue la traiettoria del mio sguardo. Non appena capisce che sto guardando il suo collo, si sbriga a sistemare di nuovo i capelli per nascondere quei segni.

"Non sono niente" dice, lasciando andare il panino e alzandosi subito dallo sgabello.

Non me ne rendo nemmeno conto, ma in un attimo le sono vicino.

"Non mentirmi" le dico, guardandola negli occhi.

Lei si volta per andare via, ma la blocco per il polso. Non stringo troppo la presa e per questo motivo mi meraviglio quando la vedo lamentarsi per il dolore.

La lascio subito andare e lei approfitta del mio momento di confusione per correre via da me.

Sale al piano superiore e va a rifugiarsi in camera. Prima che riesca a chiudere la porta, incastro un piede in mezzo e mi basta una leggera pressione per riuscire ad aprirla senza alcun problema.

Lei indietreggia spaventata, ma non ha paura di me, bensì di quello che scoprirò.

"Dimmi che cazzo è successo" ordino severo.

La vedo trasalire, ma non ha alcuna intenzione di parlarmi.

"È successo ieri, vero?" le chiedo.

Lei abbassa lo sguardo.

"Sei stata da Daniel ieri pomeriggio. È stato lui" dico convinto. "Ti ho vista turbata quando sei rientrata a casa, cosa ti ha fatto quello stronzo?"

"Tu non li lasci i segni sulle tue tante amanti?" tenta di deviarmi lei.

"Cassandra, quelli non sono succhiotti. Sono dei fottutissimi lividi" le dico incazzato e in quel momento realizzo tutto. "Ti ha picchiata?" le chiedo, ma lei incrocia le braccia davanti al seno, come se volesse proteggersi da me, e abbassa lo sguardo sui suoi piedi. "Cassandra, ti ha picchiata?" chiedo di nuovo, stavolta con più insistenza.

Tenta di ignorarmi e, anche se ormai so già la risposta, ho bisogno di sentirla da lei.

"Dimmelo, Cassie. Non costringermi ad andare da lui a chiederglielo perché lo ammazzerei prima ancora che possa rispondere. Te lo ripeto di nuovo: ti ha picchiata?"

"Sì" sussurra e io sento il mondo crollare sotto ai miei piedi.

Da quando eravamo piccoli mi chiedeva di proteggerla dai mostri e io l'ho sempre fatto. La proteggevo dal buio, da sua madre, dai bambini che le facevano gli scherzi, da quello stronzo di Francois, ma questa volta io non ci sono stato. Non l'ho protetta.

"È successo altre volte?" chiedo, anche se ho una paura fottuta di sentire la risposta.

"Spesso. Lo faceva ogni volta che sbagliavo qualcosa con lui o gli rispondevo male...e non solo quello".

"Che vuol dire non solo quello?" chiedo confuso.

"I-io..." inizia a dire, ma le parole le muoiono in bocca.

"Vieni qui" le dico, porgendole la mano.

So che di me non ha mai paura e si fida sempre.

Prende la mia mano e io l'accompagno fino al suo letto. La faccio sdraiare e poi faccio lo stesso al suo fianco, facendole poggiare la testa contro il mio petto. Le accarezzo un braccio e tento di farla calmare.

"Sai che con me puoi parlare di tutto, senza avere paura. Dimmi che cosa ti ha fatto quello stronzo".

"All'inizio sembrava dolce e innocuo. Un pomeriggio mi ha invitata a studiare a casa sua e mi ha detto che gli piacevo. Mi ha baciata e...non lo so. Nessuno mi ha mai detto una cosa del genere e credo mi piacesse l'idea di piacergli. Dopo qualche giorno è diventato strano. Si arrabbiava semplicemente se ci mettevo un po' di più a finire i compiti rispetto a lui o se rispondevo mezz'ora dopo a un suo messaggio. Era sempre una spinta, o uno schiaffo, niente di così grave, ma mi chiedeva scusa subito dopo e mi diceva che aveva fatto una stronzata e che non voleva perdermi. L'altra sera, alla festa di Halloween, c'è stato un gioco e...qualcuno mi ha baciata" dice e io sento il sangue gelare nelle mie vene.

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