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Guillermo Maria Delgado era di certo la persona più indecifrabile che avesse mai incrociato il mio cammino. Tutti quelli con cui avevo parlato di lui, lo avevano descritto come un essere disonesto, diabolico e meschino, che non si sarebbe fatto problemi ad uccidere chiunque gli avesse intralciato la strada.
Eppure, quella sera, seduta di fronte ad un tavolo con lui e Monaghan non avrei detto che potesse essere peggio di Dasmond o di altri uomini che avevo incrociato alla locanda.
Arrivati al quarto bicchiere di vino per lui ed al secondo per noi, il clima era ancora piuttosto allegro e Guillermo non aveva ancora dato segni di squilibrio mentale. Anzi: mi aveva raccontato di come aveva sottratto la prigione alle guardie del re e ne aveva fatto la sua fortezza privata. Mi aveva detto di come aveva conosciuto Vincent durante una rissa in una locanda in cui stava reclutando uomini e anche di come aveva punito l'ultima persona che aveva cercato di tradirlo.
Era impressionante la quantità di persone che aveva fatto giustiziare e la mia mente continuava a chiedersi se io e Vince saremmo presto stati aggiunti alla lista.
Il medaglione continuava a scintillare al suo collo senza ch'io avessi la più pallida idea di come fare a portarglielo via. E a giudicare dallo sguardo che mi aveva lanciato Vincent, nemmeno lui sapeva come fare.
Mi domandai come lo avesse trovato e se ne conoscesse il reale valore.
<<Siete certi di non voler rimanere a dormire?>> domandò da bravo padrone di casa.
<<Siamo diretti ad ovest e poi di nuovo a nord. Dovremmo partire stanotte per accorciare i tempi.>>
Delgado si passò la lingua sul labbro inferiore, osservandoci. Sapevo che non era così e che era sicuramente la mia coscienza sporca a lanciarmi segnali sbagliati, ma ogni volta che il suo sguardo cadeva su di me e sorrideva, era come se sapesse.
Sembrava volermi ammonire, sembrava dire: 'So perchè sei qui, puttana. Non ne uscirai viva.'
<<Harold, perchè non intrattieni i nostri amici, mentre vado a prendere l'occorrente per una partita ai dadi?>> domandò al suo tirapiedi, senza smettere di guardarci.
Si avvicinò a Vince e gli mise una mano sulla spalla: <<Aprirò una bottiglia del miglior rum in circolazione, vecchio amico.>> disse, la voce calda e gli occhi indecifrabili.
Lo sa.
Quando scomparve oltre la porta e rimanemmo soli con Harold, capii che quella sarebbe stata l'ultima volta che avremmo potuto consultarci e che quindi avrei dovuto approfittarne, sperando che, ovunque fosse diretto Guillermo, fosse abbastanza distante da concederci almeno un paio di minuti da soli. Così, prima che il mio raziocinio potesse fermarmi, feci l'unica cosa che avrebbe potuto allontanare Harold da noi e pregai che Vincent capisse le mie intenzioni e stesse al gioco.
Mi voltai verso di lui e lo afferrai per la nuca, portando le nostre labbra a sfiorarsi.
<<Che stai facendo?>> mimò con la bocca. Grazie al cielo Harold si trovava alle sue spalle e non riusciva a vedere la sua espressione sorpresa.
L'alito di Vince sapeva di vino e di tabacco. Mi nascosi dietro la sua figura e gli feci l'occhiolino, poi portai le labbra al suo orecchio.
<<Sono così stufa di aspettare, Vince.>> gli dissi. A voce abbastanza alta perchè Harold sentisse.
Passai la mano sui muscoli della sua schiena e li sentii contrarsi. Fece un passo indietro e mi osservò divertito, sbalordito da tanta intraprendenza.
<<Non posso di certo prenderti qui di fronte al vecchio Harry.>>
<<Perché no?>> domandai. Quell'idiota non si muoveva da lì, avrei dovuto fare di meglio se volevo restare sola con Vince.
<<Hai paura di un pò di pubblico, tesoro?>> chiesi, carezzandogli il cavallo dei pantaloni, sentendo la pelle del tessuto tendersi qualche istante dopo.
Stava sfiorando con gli occhi la mia pelle esposta e l'aria nella stanza cominciava a diventare elettrica. Guardai lo scagnozzo di Guillermo diventare rosso in volto e muoversi a disagio nella stanza, mentre si schiariva la voce.
<<Sapete che vi dico? Io vado a dare un'occhiata ai cavalli e voi...>> ci osservò qualche secondo <<Voi fate pure lo schifo che vi pare. Io di certo non resterò qui a guardare.>>
Uscì dalla stanza prima che uno di noi due potesse rispondere ed io mi allontanai di scatto da Vincent, le cui mani erano aggrappate ai miei fianchi da troppo tempo e fu come se l'ossigeno tornasse nei miei polmoni all'improvviso.
<<Perdonatemi, io...>>
<<Era necessario, lo comprendo.>> rispose, senza darmi il tempo di aggiungere altro.
<<È quello il vostro indizio? Il medaglione che porta al collo?>>
Feci segno di sì con la testa e lo guardai mentre si massaggiava la nuca e macchinava qualcosa.
<<Ditemi che avete un piano.>>
<<Forse.>> rispose lui <<Ma sarà meglio che vi teniate pronta a tutto, se dovesse mettersi male.>>
<<Che intenzioni avete?>>
<<Potrei convincerlo a scommettere quel gingillo che porta al collo, Miss Morgan.>> rifletté a voce alta, mentre si massaggiava la fronte.
<<E come pensate di riuscirci?>>
<<Facendo leva su quello che brama da sempre.>>
<<E sarebbe?>>
<<La mia nave.>>
Rimasi impietrita di fronte a quell'affermazione e lo guardai inebetita per qualche secondo.
<<Siete impazzito? Ne avete già persa una per colpa di Hoacks ed ora volete scommetterne una ai dadi contro quel tale?>>
<<Se avete un'idea migliore sono tutto orecchi, altrimenti vi conviene farvi venire in mente qualcosa alla svelta, perchè quel tale sta tornando e non vede l'ora di mostrare a tutti quanto sia bravo in questo diamine di gioco.>>
Il cuore tornò a martellarmi nel petto. Non conoscevo Guillermo quanto lo conosceva Vince, dunque avrei solo potuto affidarmi alla mia logica deduttiva: Sapevo che era un pirata, uno di quelli temuti e rispettati da tutti, esattamente come Dasmond e Vincent. E se c'era una cosa che quei due avevano in comune era un ego smisurato e quell'aria arrogante e saccente di chi crede che il mondo gli appartenga solo per il nome che porta.
Quella scintilla l'avevo vista anche negli occhi di Guillermo, per quell'attimo in cui mi aveva guardata.
<<E se mi offrissi io come premio?>> dissi, senza pensarci troppo.
Vincent mi osservò qualche istante: <<Pensavo foste coraggiosa, ma ora ho capito che siete solo tanto stupida ed impulsiva. Il sole vi ha dato alla testa, Miss?>>
<<Avete detto che siete bravo ai dadi, o avete mentito anche su questo per soddisfare il vostro ego?>> risposi, forse troppo bruscamente. Lui mi afferrò per un gomito e mi attirò a sè.
<<Non ho mentito.>> disse a bassa voce, quasi ringhiando. <<Lasciate che vi spieghi come funzionano davvero le cose, dal momento che sembrate non saperne nulla.>> mi lasciò andare quando si accorse di avermi spaventata.
<<Quello di Guillermo non è il gioco ai dadi cui si è soliti assistere nelle taverne di Nassau. Questo gioco lo ha inventato lui e solo i pochi che hanno la fortuna di far parte della sua cerchia ne conoscono le basi.>>
<<Suo il gioco, sue le regole.>> cantilenai, delusa.
<<Esattamente.>> il suo tono si fece meno severo e mi lasciò il braccio. <<Certi se le fanno spiegare da chi le conosce e poi cercano l'isola solo per poterlo sfidare. Ed è a loro che sono dedicate molte delle celle che avete visto di sotto.>>
<<Non capisco.>>
<<Molti marinai, pirati e uomini in rovina economica e convinti di poter vincere, sono disposti a scommettere la loro stessa vita in cambio di qualche pezzo da otto.>>
Quando capii che cosa intendesse dire Vincent, sentii un brivido attraversarmi la spina dorsale e contrassi i muscoli per un brivido e non era per il freddo.
<<Nella sua versione del gioco non contano la capacita di logica o la matematica, conta solo la fortuna. Perciò, Miss, mi scuserete se non vi lascerò agire d'impulso e mettere la vostra vita nelle mani della dea bendata. Che per altro in questi mesi non è affatto dalla mia parte.>>
<<Eppure volete scommettere la vostra nave.>>
<<Se davvero mi garantite che quei medaglioni che cercate portano al tesoro di Teach, sono disposto a vendere anche mia madre, Miss.>>
Quello che mi aveva detto metteva tutta quella situazione su un altro livello e le mie certezze erano ormai svanite. Avrei potuto sacrificarmi se Vincent avesse avuto qualche chance di farcela, ma il fatto che fosse Guillermo a condurre il gioco, faceva scendere di parecchio le probabilità di riuscita della missione.
<<Deve pur esserci qualcosa da scommettere che non sia la nave.>> lo implorai. Aveva appena aperto bocca per rispondere quando Guillermo entrò nella stanza. In una mano stringeva una vecchia bottiglia di rum, mentre nell'altra reggeva un barattolo di legno tra pollice ed indice.
Quando lo ribaltò sul tavolo e tre dadi rotolarono sul legno, capii che Vincent aveva ragione e che anche quel poco che pensavo di conoscere su quel gioco così in voga tra i pirati, non contava più.
Prese tre bicchieri da una cassapanca impolverata e li appoggiò al tavolo, poi strappò il tappo dalla bottiglia con i denti e cominciò a versarne il liquido scuro nei bicchieri.
<<Dov'è il vecchio Harold?>> chiese guardandosi intorno.
<<È uscito a controllare i cavalli. Io...Temo di averlo messo un pò troppo in imbarazzo mentre scambiavo qualche dimostrazione di affetto con il Capitano Monaghan.>>
Sorrise, poi fece passare la lingua sui denti superiori emettendo un verso simile ad uno squittio.
<<Santo cielo! Spero di non aver interrotto niente, allora.>>
<<Tranquillo, penserò a soddisfarla più tardi se saprà aiutarmi nel gioco.>> gli rispose Vince, afferrandomi una natica talmente forte da farmi scattare in avanti. Cercai di rimanere nel personaggio e gli sorrisi.
<<Voi non giocherete, dunque? Pensavo che avrei potuto insegnarvi le regole.>> domandò, la voce calda e vellutata.
<<Credo che per oggi mi limiterò ad osservare e ad imparare, se non è tropo complicato. La prossima volta, magari.>>
<<Come volete.>> disse divertito, facendoci segno di sederci e levando un bicchiere. <<Ma vi avviso: chi non gioca, non beve questa prelibatezza di rum.>>
<<Allora ne farò a meno e mi terrò la voglia fino al nostro prossimo incontro.>>
Mi osservò massaggiandosi il collo e poi guardò Vincent: <<Che ne dici di iniziare, allora?>> si sporse in avanti per dargli una vigorosa pacca sulla spalla. Si voltò, prese una penna d'oca e una boccetta d'inchiostro e la poggiò sul mobile accanto al tavolo.
<<Chi la sfida lancia, la posta decide.>> sentenziò poi, ad alta voce, come se stesse leggendo un proclama del re. <<Che cosa scegli, Vince?>>
<<Sono deciso a batterti questa volta, amico mio e visto che in presenza di Lucky mi sento parecchio fortunato, voglio farti un'offerta che credo ti piacerà.>>
<<Sono tutt'orecchi.>> sorrise e poi mi guardò per un'istante, come se si aspettasse che la posta in gioco fossi io. Forse ci sperava?
Seguì qualche secondo di silenzio.
Entrambi sapevamo bene quanto fosse pericoloso mettere in mezzo quel medaglione. Non ne conoscevamo la storia e per quanto ne sapevamo, avrebbe potuto anche essere che glielo avesse dato Teach in persona, chiedendogli di proteggerlo. Chiederlo come premio era un rischio, ma era anche l'unico modo per ottenerlo.
<<Ti propongo la mia nave.>>
<<Cosa?>>
<<Hai sentito bene: ti offro la Ace.>>
<<Ti ha dato di volta il cervello?>> chiese senza scomporsi, rubandomi le parole di bocca.
<<Te l'ho detto, mi sento fortunato con lei accanto.>> rispose, poggiandomi una mano sulla coscia.
<<Talmente fortunato da giocarti la tua nave ammiraglia?>>
<<Sì, se la sorte è dalla mia parte.>>
Guillermo fece un sorriso diabolico: <<E va bene, pazzo di un idiota, vada per la tua nave.>> si massaggiò la barba brizzolata. <<In cambio di cosa?>>
Trattenni il respiro.
<<Questo si che è un bel dilemma? Cos'hai da offrirmi?>>
Capii che cosa stava facendo e mi congratulai mentalmente con lui. Cercava di guadagnare tempo, di far sembrare che quel medaglione non fosse l'unico motivo per cui eravamo lì.
<<Conosci le regole, Vincent: sei tu a decidere.>>
<<Che ne dici di quel gingillo che porti al collo? È d'oro?>>
Trattenni il fiato, aspettando una reazione di Delgado che chiarisse finalmente quanto ne sapeva su quel doblone.
<<Questo?>> lo prese tra pollice ed indice piegando il mento. <<Sì, è d'oro.>>
<<E sembra pesare parecchio. Da chi diavolo lo hai fatto lavorare? Dall'orafo del re?>>
Era una bella mossa quella di chiedere informazioni senza farsi scoprire. Sperai solo che Guillermo desse la risposta che ci serviva.
<<Questo affare non è di certo opera mia.>> disse osservandolo. <<Lo trovai anni fa sulla spiaggia, dopo che qualcuno aveva tentato maldestramente di seppellirlo.>>
<<E chi?>> chiese Vincent.
<<Che vuoi che ne sappia?>> si passò una mano tra i capelli ingrigiti. <<Che importanza ha? Lo ho trovato, è mio.>>
<<Non fa una piega.>>
<<E così vorresti scambiare la tua nave più bella per questo pezzo d'oro?>> domandò. <<O hai perso tutti i tuoi soldi, oppure la signorina che hai da parte ha davvero dei grandi poteri.>>
Il dubbio era più che legittimo e sperai che non lo insospettisse troppo.
Sorrise, mi guardò per un istante che sembrò durare una vita e poi afferrò il barattolo con i dadi e glielo porse.
<<In questo caso, credo che lascerò a te la prima mossa.>>
Vincent mi guardò, come a voler verificare che fossi pronta a scappare nel caso si fosse messa male. Non lo ero ma cercai di non preoccuparlo troppo.
Rovesciò i tre dadi nel palmo della mano e ne mise da parte uno, prima di rimettere gli altri due nel barattolo in legno ed iniziare a scuoterlo.
<<Dodici!>> gridò Vincent, sbattendo il pugno sul tavolo e rovesciando i dadi. Ne uscí un sette e lo vidi imprecare mentalmente.
<<Non prendertela, Monaghan. Abbiamo appena iniziato.>> sorrise meschino mentre rimetteva i dadi al loro posto. Poi, come aveva già fatto Vince, picchiò il pugno sul tavolo e gridò : <<Dieci!>>
Rovesciò i due dadi e ne uscì un dodici. Schioccò la lingua, irritato, mentre segnava i punti su un pezzo di carta.
<<Visto? Che ti avevo detto?>>
Confusa e tuttavia incuriosita, continuai ad osservarli mentre vincevano, perdevano, esultavano ed imprecavano. Tuttavia, non riuscii mai a capire la logica di quel diamine di gioco e, se non fosse stato che da quei dadi dipendeva forse la mia vita, me ne sarei andata dalla stanza e li avrei lasciati lì per dirigermi al balcone appena fuori, nel corridoio e guardare l'oceano.
Ma la fortuna non ci stava sorridendo e sul pezzo di carta su cui Delgado segnava i punti, sembrava che Vincent fosse spacciato.
Avevo contato solo otto crocette sotto il nome del mio compagno, mentre El Matador ne aveva una dozzina.
<<Allora Monaghan, che vogliamo fare?>> gli chiese indicando il biglietto del punteggio con lo sguardo <<Non sta andando affatto bene.>> scrollò la testa.
Osservai Vincent deglutire e poi inspirare lentamente. Stava andando così male?
Chiuse gli occhi per un secondo come se stesse recitando una preghiera silenziosa e poi parlò:
<<Lancia il terzo dado.>>
Guillermo rimase in silenzio e la sua espressione cambiò. Non sapevo cosa intendesse Monaghan con terzo dado, ma qualunque cosa fosse preoccupava anche El Matador e non era un buon segno.
<<Vincent, in nome della nostra amicizia ti darò l'opportunità di ripensarci.>>
Provai ad allungare lo sguardo e spingerlo sul dado che Guillermo aveva messo da parte all'inizio del gioco, ma era troppo lontano ed in penombra perchè riuscissi ad intravedere i simboli incisi sulle facce.
<<Non voglio ripensarci. Lancialo.>> proseguì Vincent con decisione.
Il silenzio pesava sulla stanza. I due uomini di fronte a me si guardavano negli occhi e la sorpresa sul volto di Delgado mi logorava.
<<Lucky, perchè non ci lasci un istante da soli?>>
Che cosa? Soli? Perchè?
<<Non mi annoio, tranquilli.>> dissi, cercando di apparire calma <<Anzi, sembra che il gioco si stia facendo solo ora più avvincente.>> conclusi. Finsi di non capire che situazione si stava mettendo parecchio male e che forse non saremmo usciti vivi da quel forte.
<<Temo che tu abbia frainteso le mie parole, Lucky.>> mi rispose con calma, mentre si massaggiava il mento. <<La mia non era una richiesta.>>
Oh...
<<Ho espresso la mia volontà di restare, se non erro. Non conta?>>
<<Va fuori.>> le parole perentorie di Vincent calarono su di me come una gigantesca scure. Non poteva davvero chiedermi di andare via.
<<Io...>> provai a replicare ma le parole mi morirono in gola quando Vince scagliò il suo gigantesco pugno sul tavolo facendolo traballare. Osservai i dadi oscillare da una faccia all'altra mentre mi alzavo.
<<Aspettami fuori.>> mi ordinò. Aspettai un segno, un arricciamento di labbra, un movimento fulmineo degli occhi, qualsiasi segnale che mi facesse capire che andava tutto bene, che sapeva ciò che stava facendo e che saremmo usciti vivi da quel forte.
<<Harold!>> Delgado chiamò il suo tirapiedi a voce alta e lui si palesò pochi secondi dopo, come se per tutto il tempo avesse atteso fuori dalla stanza, accanto alla porta.
<<Porta fuori la nostra Lucky, sono certo che il suo compito qui sia finito.>>
Il puzzone dai denti gialli mi afferrò per un braccio e mi scortò fuori dalla stanza contro la mia volontà, ma per evitare ulteriori guai, questa volta scelsi di tenere la bocca chiusa e di non ribellarmi.
Tornai al corridoio con le bifore e guardai verso il mare incredibilmente calmo.
Più in la della scogliera da cui eravamo passati, vidi la Ace of Spades ancorata poco lontano dalla costa ed il mio primo istinto fu quello di lanciare un segnale in qualunque modo, per far capire a Dasmond che eravamo nella merda e che ci sarebbe servito il suo aiuto. Ma alle mie spalle avevo ancora Harold e fare ciò che volevo avrebbe significato mandare a monte tutto il nostro piano.
Così me ne stetti al mio posto e continuai ad osservare il mare, proprio come i prigionieri del forte di cui - secondo Vincent - si udiva ancora la presenza infestante.
Guardai Harold chiudere la porta della stanza di Guillermo e mi domandai se io e Vince avremmo fatto la stessa fine di quei fantasmi.

ACE OF SPADES - VM18Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora