27.

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Dasmond seguì Vincent con lo sguardo finché la sua figura non sparì, poi puntò gli occhi su di me, duri come il ghiaccio.
Ero sicura che fosse pronto ad inventarsi qualunque bugia pur di sminuire ciò che aveva fatto ed io ero pronta ad urlargli in faccia qualunque cattiveria, se solo avesse osato farlo.
Ero già stata in quella situazione. Ero già stata di fronte ad un uomo che mentiva e che mi guardava in quel modo, pieno di finta commiserazione e di altrettanto finti buoni propositi per il futuro. Ed avevo giurato a me stessa, che non avrei più perdonato nemmeno la più piccola delle bugie.
Per questo ero scappata da Stephen: volevo essere libera, ricominciare, trovare qualcuno che mi amasse sul serio e che non mi trattasse come un oggetto ornamentale o come un espediente per arricchirsi con la mia dote.
Ed ora ero lì, di nuovo legata ad un bugiardo, nella stessa trappola da cui avevo lottato tanto per fuggire. Se quella non era una punizione divina, cos'altro poteva essere?
Dopotutto io e Stephen, per quanto male assortita, eravamo una coppia, che si era giurata amore eterno di fronte a Dio. E chi ero io per separare chi Dio aveva unito in matrimonio?
Ero scappata dall'uomo con cui avevo giurato solennemente di passare la mia intera vita, avevo infranto ogni regola della società, ma soprattutto avevo infranto i voti coniugali.
Avevo tradito Stephen. E forse a Dio non importava più che anche lui avesse commesso adulterio con ogni donna di Kingston. Fuggendo da lui, tradendolo, ero diventata una peccatrice tanto quanto lui.
E se è vero che siamo tutti uguali agli occhi di Dio, allora ero sicura che quella fosse la sua punizione per me e che forse, meritavo anche di peggio.
<<A che stai pensando?>> domandò. Il silenzio nella stanza pesava quanto un macigno.
<<Penso che Dio mi stia punendo per tutti gli sbagli che ho commesso.>>
<<E quali sarebbero?>>
<<Scappare da mio marito, per cominciare.>>
<<Scappare da un marito violento ed adultero, vorrai dire.>> mi corresse.
<<E guarda dove sono finita.>> alzai le braccia e mi guardai attorno <<Sei tanto diverso da lui?>>
<<Non ho nessuna intenzione di parlare di Bessie.>>
Quell'ultima parola, il nome di sua moglie...
Per tutto il tempo, dopo aver scoperto il suo segreto, avevo sperato che ci fosse una spiegazione. Avevo sperato che forse, una volta tornati sulla Ace, mi avrebbe spiegato ogni cosa. Che mi avrebbe detto che Monaghan aveva mentito e che non esisteva nessuna moglie. Ma ora, sentendo il nome della sua donna uscire dalle sue labbra, ebbi la conferma dell'orrore a cui avevo cercato per tutto il tempo di non pensare: Dasmond Hoacks era sposato ed io, non ero altro che una delle ragazze che lo intrattenevano, mentre sua moglie lo attendeva a casa.
<<E invece lo farai, se nutri anche solo un briciolo di rispetto nei miei confronti.>> mi alzai in piedi, sperando di fargli paura.
<<Non parlerò di questa cosa con te, Addy. Fine della discussione.>> rispose, fin troppo serenamente.
<<Bene.>> dissi decisa. Raddrizzai le spalle per darmi un'aria minacciosa, andai verso di lui e mi inginocchiai di fronte ai suoi stivali di cuoio.
<<Che cosa fai?>> domandò, facendo un passo indietro.
<<Mi riprendo ciò che è mio.>>
Lo sentii bofonchiare qualcosa mentre allungavo una mano verso il suo stivale alla ricerca della copia del quaderno di mio padre. Poi sentii due mani giganti e ferme che mi afferravano per le spalle e mi riportavano in piedi.
Ora eravamo talmente vicini che per un secondo dimenticai come si respirava. Mi guardò dritto negli occhi ed io faticai a capire se volesse uccidermi oppure baciarmi.
<<Voglio gli appunti di mio padre. Adesso.>>
<<Perchè?>>
<<Perchè sono miei.>> risposi secca <<E perchè voglio andarmene.>>
<<Andartene? Sei impazzita?>>
<<Mi sembra che tu abbia reso ben chiaro di non voler parlare di Bessie. Ed io non posso far finta di niente e continuare questa messa in scena sapendo ciò che so, quindi tanto vale che io me ne vada.>>
<<Quello che sai?>> ripetè <<E che cosa sai? Sentiamo.>> chiese, incrociando le braccia.
<<So che sei sposato e che vedi tua moglie ogni volta che attracchi a Nassau.>>
Dasmond scrollò la testa e si appoggiò con i palmi alla scrivania: <<Sono un pò deluso, devo ammetterlo. Da quella serpe di Monaghan mi aspettavo che arricchisse la sua storiella con un pò più di dettagli.>>
Storiella? Il mio cuore si alleggerì, al pensiero che stesse per dirmi che Bessie non esisteva a che Vince si era inventato ogni cosa.
<<Quindi ha mentito?>> chiesi. Ci furono un paio di attimi di silenzio.
<<No, non ha mentito.>> disse, fiacco. <<Bessie esiste.>>
L'esile filo di speranza su cui camminavo si spezzò sotto il peso delle sue parole ed io iniziai a precipitare in un mare di sconforto.
<<Ma credimi quando ti dico che quello tra me ed Elisabeth è quanto di più lontano da un matrimonio possa esistere.>>
Piena di domande, lo osservai mentre si sedeva alla scrivania. Era probabile che stesse per spiegarmi ogni cosa ed io non ero sicura di essere pronta. Quella conversazione avrebbe potuto mettere fine a ciò che c'era tra noi, qualunque cosa fosse. Ma simulai comunque l'espressione di qualcuno che aveva voglia di ascoltarlo, nonostante l'ora, la stanchezza e la paura.
<<Vuoi avere la bontà d'animo di spiegarmi?>>
Finse di osservare un punto imprecisato sul legno della scrivania e poi, finalmente, alzò gli occhi su di me: <<Non è mia moglie.>> disse. E fu sufficiente a farmi aggrappare di nuovo a quel filo di speranza da cui ero precipitata.
<<Vincent dice che...>>
<<Vuoi parlare con Monaghan o con me?>> mi ammonì, gli occhi due pozze blu come la notte.
Restai in silenzio, quello sguardo mi paralizzò.
<<Hai conosciuto Jake, non è vero?>>
<<Il ragazzino che ci ha portati a Raven Island? Sì, ma ora che c'entra?>>
Non sarà suo figlio, vero?
<<Elisabeth è sua madre.>>
<<N- Non capisco.>>
Ti prego, fa che non sia suo figlio!
<<Bè, è molto semplice: Elisabeth ha scopato con un uomo, che l'ha messa incin...>>
<<Smettila di dire ovvietà, per favore.>> lo interruppi bruscamente <<Non prendermi per il culo, quella parte l'ho capita. Va avanti.>>
Mi guardò con aria sorpresa, probabilmente per il linguaggio colorito che avevo appena usato e che non era per nulla da me.
<<Ti ho detto di mia madre e del mio passato in marina?>>
Non avrei sopportato un nuovo cambio di argomento. Alzai gli occhi al cielo e lo interruppi di nuovo.
<<Vuoi arrivare al dunque, senza cambiare continuamente discorso, o no?>>
<<Non sto cambiando affatto discorso, cara Addy. E se solo avrai la pazienza di ascoltarmi e chiudere il becco, te ne accorgerai.>>
Leggermente ferita nell'orgoglio, mi misi di nuovo in ascolto, promettendo silenziosamente di non interromperlo più.
<<Ti ho raccontato di mia madre e del suo lavoro, ma ho omesso un paio di cose.>>
Si studiò le mani per qualche istante e poi parlò: <<Fu assunta a casa del Marchese Horace o'Connell, figlio dell'ammiraglio inglese Alfred o' Connell e come sai, io avevo il permesso di partecipare alle lezioni con il figlio. Avevamo la stessa età.>>
<<Sì, mi avevi detto che era un uomo piuttosto generoso.>>
<<Credo fosse semplicemente impietosito dalla situazione in cui io e mia madre ci trovavamo.>> mi rispose con un velo di umiliazione nella voce. <<Comunque, io ed Arthur diventammo grandi amici e quando ci fu data la possibilità di entrare insieme in marina, feci i salti di gioia. È raro trovare un fratello in uno sconosciuto, sai? Qualcuno di cui fidarsi così ciecamente. Qualcuno per cui saresti disposto a morire.>>
Aveva lasciato quella frase per ultima, come appesa ad un filo di invisibile malinconia.
<<Arthur o'Connell è stato il più grande amico che si possa sperare di avere.>> sentenziò poi in tono solenne, la voce rotta per l'emozione.
<<È stato?>> domandai silenziosamente perchè parlasse al passato e Dasmond rispose con un secco: <<È morto.>>
Restai in silenzio per qualche secondo e poi intervenni con un ridicolo: <<Mi dispiace.>>
Ma ancora non capivo cosa c'entrasse il povero Arthur con tutta questa storia.
<<Come ti ho detto, dopo un paio d'anni me ne andai e così, mentre lui rimase in marina, io non trovai altra soluzione alla mia povertà se non la pirateria. Ed ecco che, dall'essere come un fratello, Arthur divenne mio nemico giurato, con l'unico compito di acciuffarmi e mettermi in gabbia.>>
<<Fosti tu ad ucciderlo?>>
<<Sei impazzita?>> domandò, con tanta rabbia che mi sentii una stupida per aver pensato una cosa simile.
<<Anni più tardi lo incontrai in una taverna di Tortuga, dove ero attraccato per cercare una ciurma. Era irriconoscibile e anche parecchio incazzato ed ubriaco. Disse che il suo superiore aveva dato a qualcun altro una promozione che spettava a lui e che aveva fatto insinuazioni sul fatto che fosse raccomandato per via del cognome che aveva.>>
Si raddrizzò sullo scranno, sfiorando un foglio di carta di fronte a lui: <<Lo aizzai talmente tanto contro quel palo in culo del Commodoro che alla fine della nottata decise di levarsi la divisa e seguire il mio stupido esempio.>> disse, scrollando la testa.
<<Si diede alla pirateria?>> domandai, sbigottita. Lui assentì con lo sguardo e proseguì.
<<Un giorno, rischiammo la pelle e tornammo a Londra, dove aveva incontrato una ragazza che mi aveva confidato di voler sposare. Elisabeth.>>
Oh...
<<Quando lei scoprì che cosa aveva fatto, a cosa aveva rinunciato e cosa era diventato, lo insultò in ogni modo possibile e lo cacciò da casa sua. Ma non prima di avergli rivelato che era incinta e che per colpa del suo gesto ignobile, ora avrebbe dovuto crescere quel bambino da sola.>>
<<Incinta? Com'è possibile? Non erano ancora sposati.>>
La bocca di Dasmond si piegò in un ghigno divertito e capii di aver di nuovo detto qualcosa di stupido. D'altro canto nemmeno io e lui eravamo marito e moglie, ma questo non ci aveva comunque impedito di fornicare.
<<Prima di andarsene giurò a Bessie che si sarebbe fatto perdonare per la decisione impulsiva che aveva preso e che sarebbe stato un buon padre per suo figlio.>> si schiarì la voce e si alzò per prendere del rum che teneva vicino al suo letto. Segno che probabilmente ci stavamo avvicinando alla parte triste del racconto. Anche se ormai, non era difficile da prevedere.
<<Nonostante lei continuasse a ripetergli di andarsene e di non farsi più vedere, Arthur le promise che si sarebbe arricchito e che sarebbe tornato per trasferirsi con lei da qualche parte in America e fare di lei la rispettabile moglie di un uomo da bene. Purtroppo, non ci riuscì mai. In una delle nostre avventure, rimase ferito e morì tra le mie braccia qualche ora dopo, mentre cercavo di salvarlo.>> aveva il tono ferito dai ricordi taglienti.
Mi portai involontariamente la mano sulla bocca spalancata per la sorpresa.
<<Santo cielo, mi dispiace così tanto.>>
<<Giurai di fronte alla sua anima che spirava, che mi sarei preso cura di Bessie e del bambino al posto suo.>>
Allungai una mano e sfiorai la sua, serrata attorno alla bottiglia: <<È stato davvero un gesto nobile da parte tua.>>
Dasmond rispose alzando le spalle. Come se ormai, ciò che aveva fatto, non importasse più.
<<Quando tornai a Londra per dirlo a Bessie, mi dissero che si era trasferita a Nassau per cambiare vita, ma fortunatamente riuscii a convincere la sorella a darmi il suo indirizzo.
Così la raggiunsi e le raccontai ogni cosa. Sapevo che non avrebbe mai accettato l'aiuto di un pirata ma mi offrii comunque di darle una mano con il bambino.>>
<<È Jake, non è vero?>> lo anticipai.
Fece segno di sì con la testa: <<Disse di averlo già dato via. Di averlo abbandonato fuori da una locanda ed essere corsa via.>>
<<Quella di Daphne?>>
<<Proprio così. Corsi alla locanda più veloce che potevo, nella speranza che la proprietaria non se ne fosse già liberata. Quando mi mostrò quel frugoletto rimasi spiazzato da quanto somigliasse ad Arthur. Vietai a Daphne di raccontare la verità al ragazzo e la incitai a crescerlo come suo, promettendole in cambio soldi e fama. Le giurai che nessun pirata avrebbe mai lasciato Nassau senza aver infilato l'uccello tra le cosce delle sue ragazze o provato il suo stufato.>>
<<Non male come patto.>> risposi <<Quindi, se oggi la taverna di Daphne è così frequentata qui a Nassau, lo deve a te.>>
<<Diciamo che mi sono adoperato per far conoscere a tutti i fantastici servizi che offre.>> sorrise sornione. Era più rilassato, probabilmente perchè ora sapevo tutto.
<<E hai sposato Bessie?>> domandai, beccandomi nuovamente il suo sguardo assalitore.
<<Quella donna si farebbe uccidere piuttosto che avere a che fare con un pirata. E incolpa me per la morte di Arthur.>>
<<Come può fare una cosa simile? Tu eri suo amico.>> intervenni, adirata con una donna che nemmeno conoscevo.
<<Le inviai una lettera per dirle di Jake e da quel giorno, ogni volta che passo per Nassau, mi assicuro che riceva una parte dei miei bottini. Che sia denaro e anche solo del cibo, quando il profitto è magro.>>
<<E non l'hai mai più rivista?>>
<<Le lascio il mio contributo di fronte alla porta e me ne vado. Non sono sicuro che voglia vedermi, non ha mai risposto alla mia lettera.>>
<<Ma accetta il tuo aiuto, però.>> dissi, forse in tono un pò troppo accusatorio. Non volevo che Dasmond pensasse che trovavo Bessie un'approfittatrice. Probabilmente, al suo posto avrei fatto lo stesso.
<<Mi hanno detto che ora vive con una donna che si spaccia per sua sorella, ma io so bene che quella vera è sposata con un mercante londinese.>>
<<E allora chi è quella donna?>>
<<Dicono che sia una donna Africana, scappata alla schiavitù. Molti la credono una strega e pensano si diletti a fare antichi sortilegi imparati nel suo continente.>>
<<E voi ci credete?>>
<<Mi state chiedendo se credo a quello che racconta oppure se credo alla magia?>>
Non risposi. Anche se in realtà mi sarebbe piaciuto che mi desse entrambe le risposte. E come sempre mi lesse nel pensiero: <<Penso che Bessie sappia bene cosa significa essere emarginati dalla società. Forse è per questo che accetta la presenza di quella donna.>>
Si alzò in piedi urtando la scrivania e facendo barcollare la bottiglia quasi vuota. Poi mi raggiunse, si piegò in avanti verso di me e appoggiò i palmi ai braccioli della sedia su cui ero seduta, che scricchiolò sotto il suo peso. I nostri visi erano così vicini che potevo osservare le piccole lentiggini sul suo naso abbronzato, che da lontano nemmeno si notavano.
<<Quanto alla magia, Addy, ho visto troppe cose in questi anni in mare, per non credere che esista.>>
Di quell'ultima frase, sentii parole confuse che poi tentai di rimettere in ordine. Non riuscivo a respirare, a ragionare, a vivere quando lui mi era così vicino.
Tutto quello a cui riuscivo a pensare, era che Dasmond Hoacks non era sposato e che, a dispetto di tutto ciò che Dio avrebbe potuto pensare vedendomi, tutto ciò che volevo fare in quel momento, era farmi scopare da quell'uomo, in ogni angolo della sua nave.
<<Attenta a quello che desideri Addy, gli occhi sanno parlare delle volte.>> mi disse.
Mi schiarii la voce, avevo la gola inaridita dal desiderio.
<<E che cosa dicono i miei?>>
<<Mi stanno pregando di scoparti proprio qui, su questa scrivania.>> affermò a bassa voce, accarezzando il pianale in legno.  Fu una carezza così delicata che la sentii addosso.
<<Ed io ho tutta l'intenzione di farlo, Adrianna.>> disse poi, portando quella mano sulle mie braghe in tela, tirando l'orlo su per il polpaccio, così lentamente da farmi desiderare di morire.
<<Ma non prima che tu mi abbia promesso una cosa.>>
Qualsiasi cosa...
<<Non dovrai mai...>> si interruppe, fece passare la mano sotto il tessuto e mi sfiorò la pelle, proseguendo lungo l'interno della mia coscia.
<<Mai...>> continuò il suo percorso, finché non trovò la mia fessura umida.
<<Mai più dare per scontato che quello che dice quel cane di Monaghan sia la verità.>> sussurrò sulla mia bocca tremante.
Feci segno di sì con la testa mentre le sue dita esploravano le mie pieghe, ma non gli bastava. Le sue dita si fermarono ed io persi il respiro.
<<Giuralo.>> ringhiò a bassa voce.
<<Te lo giuro.>> sibilai tra i denti. Gli avrei giurato persino che avrei attentato alla vita di Sua Maestà se me lo avesse chiesto in quel momento. Tutto pur di avere quello che agognavo da troppo tempo ormai.
Le sue mani mi afferrarono e Dasmond, mi mise in piedi. Mi avrebbe dato esattamente ciò che desideravo, forse mi avrebbe persino fatto male. E non poteva importarmene di meno.

ACE OF SPADES - VM18Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora