Capitolo 13

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Mi sollevo sui gomiti sbadigliando. Mi guardo attorno, e Sam e Dean non ci sono. Strano. Siamo in questo motel da tre giorni ormai, e siamo stati attaccati come una famiglia di cozze allo scoglio. Mi alzo, mi dirigo verso il bagno e mi vesto e lavo con calma, canticchiando le prime canzoni che mi passano per la testa, come sempre. Quando esco trovo la porta aperta e un biglietto per terra con una scrittura un po' stretta e allungata che dice:
'Auguri! Non siamo bravi ad organizzare feste di compleanno ma ti dovrai accontentare! Prendi la borsa e raggiungici nell'atrio.'
Metto il biglietto in tasca, prendo la borsa come mi é stato detto e scendo nell'atrio, curiosa come non mai e con un largo sorriso stampato in faccia. Lì trovo i due fratelli ad aspettarmi. -Buongiorno e buon compleanno!- dicono in coro. Io, senza parole li abbraccio. -Ragazzi vi adoro!- loro ricambiano l'abbraccio ridendo. -Ehi! Non é mica questa la sorpresa! Tieni i "Vi adoro" per dopo!- esclama Dean con un sorriso malizioso.
Usciamo dal motel dopo aver pagato e saliamo in auto, a quanto pare l'obiettivo é una colazione al bar! Mentre andiamo verso il bar loro parlano, e io mi perdo a guardare gli alberi che sorpassiamo veloci. Il sogno che ho fatto sta notte è stato tanto realistico da farmi male al cuore. Ripenso a tutti gli avvenimenti, che in realtà saranno accaduti nel giro di mezz'ora, poco prima che mi svegliassi.
Entriamo in una città e iniziamo a guardarci intorno in cerca di qualche tavola calda. Quando ne abbiamo trovata una cerchiamo parcheggio e poi entriamo. Ci sediamo ad un tavolo. -Allora! Come ti senti?- mi domanda sorridendo Sam.
-Bene, anche se sento già l'osteoporosi dare i suoi primi segnali.- ridiamo. -No dai, a parte gli scherzi, i diciannove non sono importanti.- dico piano sconsolata, loro ridacchiano.
Ordiniamo poi, mentre aspettiamo, tirano fuori due pacchetti. -Auguri!-Sam mi sorride. -Auguri peste.- Dean mi guarda e sorride leggermente. Mi ha appena  dato della sorella, in pratica. Io sono a bocca aperta. -Cosa? Voi... non dovevate!- batto le mani entusiasta. Dopo ringraziamenti vari scarto i regali. Dean mi ha regalato un diario, con dei disegni e delle rune, non vedo l'ora di iniziare a scriverci. Sam mi ha preso un libro, la cui trama mi intriga molto, si intitola La casa dei cani fantasma, di Allan Stratton. Poi mi hanno anche fatto un regalo insieme. Una collana dove mettere due foto, loro ne hanno già messe due che, onestamente non ricordavo nemmeno di avere fatto, con loro. -Siete i migliori ragazzi!- batto le mani.
Quando arriva la cameriera con la nostra colazione iniziamo a mangiare in silenzio mentre io apro il libro che mi ha regalato Sam. Intanto rimugino un po' su tutto. Perché mi ha causato una stretta allo stomaco il fatto che Dean mi abbia chiamato in quel modo? Dovrei essere contenta no? Sì, insomma, ho una famiglia ora. Nonostante tutto, nonostante questo, é come se fossi delusa da qualcosa, ma non so da cosa.


Entriamo nel locale. È piccolo, col pavimento di legno ed é impregnato di puzza di fumo.
-Che ci facciamo qui esattamente? E perché Sam non é venuto con noi?- non mi piace questo locale, e ancora meno la gente che c'è dentro. -Te l'ho già detto, non ha voluto venire. Lo sai com'è fatto.- va a sedersi al bancone e io lo imito annuendo in silenzio. Mi guardo attorno mentre lui ordina qualcosa di cui non capisco il nome. C'è un'altra stanza, un locale molto piccolo. Credo che rappresenti una discoteca, non c'è molta gente però, e neanche la musica. Mentre osservo l'arredamento carente che ci circonda un ragazzo si siede nello sgabello accanto al mio. E...no, dev'essere un miraggio. Sì dev'essere cosi. Non ha veramente un libro in mano.
-Arya, ti volevo parlare, altrimenti non saremmo qui.- mi volto sentendo la mano di Dean sua mia schiena nuda, a causa della maglia. -Oh sì. Già. Giusto.- annuisco energicamente, forse troppo. -Ma...tutto bene?- io annuisco ancora, più normalmente e lui sorride.
-Devo darti un regalo.- sorride ancora. -C-cosa? Ma me l'hai già dato!- lo guardo confusa. -Beh, questo è da parte di Castiel.- gli angoli della sua bocca si sollevano involontariamente.
-Oh, okay.- faccio dondolare le gambe sulla sedia. Lui tira fuori dei pezzetti di carta da una tasca ee li mette davanti sul bancone su cui sono apparsi due drink. Prende il suo e inizia a bere. Comincio a leggere.
"Trovati lontani parenti della ragazza scomparsa"
-Arya é viva, ne siamo certi. E se lo é, qui sarà sempre la benvenuta.- hanno annunciato gli anziani signori.

"Ragazza dispersa trova casa"
-Se mai dovesse tornare noi saremo qui ad aspettarla. Sempre- il Signore e la Signora Park hanno le lacrime agli occhi ma riescono a sorridere ai giornalisti.

"Arya dove sei?"
-Ora ha una casa. Lo so che tornerà. É nostra nipote, appena leggerà gli articoli e vedrà i servizi tornerà. Ne siamo convinti.- la signora Park piange al ricordo della sua famiglia ormai perduta e sorride pensando a sua nipote Arya.

Sto in silenzio. Non so che dire. Non ho mai nemmeno visto questi tizi. Dovrei essere contenta? Sono solo frustrata, arrabbiata ed euforica. -Arya.-interrompe quel silenzio Dean mettendomi di nuovo una mano sulla schiena. -Castiel mi ha detto di dirti...che hai una famiglia, una possibilità di ricominciare, di vivere una vita normale.- dice con voce monotona. -Ma...dice Castiel....e tu? Tu che dici? Insomma...ha ragione. Potrei avere una vita normale, dimenticare tutto ciò che é successo e ricominciare.-lo dico più come una domanda che come un'affermazione, mi mordo il labbro. Lo sento irrigidirsi.
-Io...non dico niente.- il suo tono di voce é cambiato, sembra arrabbiato. -Niente?-
-Niente. Non me ne importa niente.- sibila, poi scende dalla sedia lascia i soldi sul bancone e esce. -Niente.- dico a fior di labbra. Mi alzo e corro fuori. Lo vedo appoggiato alla macchina, con le mani in tasca. Il freddo pungente mi pizzica la schiena lasciandomi senza fiato. -Che vuoi dire?! Perché non vuoi dire ciò che pensi? Perché?!- lo guardo implorante. Lui mi fissa. Con uno sguardo che non riesco a decifrare. Mi avvicino alla macchina, a lui. E metto una mano sulla sua, piu grande e robusta in confronto alle mie dita sottili. Lui non la ritrae.
-Dean, per l'amor di dio, dimmelo.-
-No. Non ho niente da dire.- ringhia. -Perché mi tratti così?!- ho le lacrime agli occhi. Lui fissa il terreno mal assestato con le sopracciglia aggrottate. Sento delle gocce cadermi sulle spalle e un lampo illumina il cielo.
-Dean, ti prego...- avvicino una mano al suo viso ma lui mi blocca il polso. Abbasso la testa abbattuta e lascio che le lacrime mi scorrano sulle guance. Mi lascia andare il polso. -Lasciami in pace. Non sei niente. Niente.Io non lo guardo e torno nel locale correndo. Entrata, torno a sedermi al bancone. Non so che fare qui. Ma é sempre meglio che stare là fuori con lui.
-É tutto okay?- mi chiede una voce che non ho mai sentito prima. Alzo lo sguardo e vedo quel ragazzo che prima stava leggendo sorridermi dolcemente. Il mio stomaco fa una capovolta. Lo osservo in silenzio. Dev'essere alto, ha i capelli neri come la pece e gli occhi azzurri. Di un azzurro che neanche il paradiso. Il viso pallido e gli zigomi alti e affilati, ci si potrebbe tagliare il pane con quelli. Ha chiuso il libro e l'ha messo sul bancone.
-Sì, certo.- vede che sto ancora piangendo e mi asciuga le lacrime con il pollice della mano destra, anch'essa pallida e magra. -Ehi...ehi, tranquilla. Mi chiamo James. Vuoi parlare?- mi guarda preoccupato, uno sguardo stranamente magnetico. Non so da dove iniziare. -Bene James...credi nei demoni?-

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