Capitolo 10

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Un uomo di alcuni anni più vecchio di Soccante, con folti capelli ricci che gli ricadevano sulle spalle e una barba incolta che gli copriva il mento, lo stava guardando attraverso le sbarre. I suoi occhietti neri lo scrutavano curiosamente. Lo sconosciuto indossava una lunga tunica che gli andava parecchio larga, tant'è che Soccante non poteva vederne le mani o i piedi.
"Chi sei tu?" ringhiò Soccante, che sedeva sul pavimento della sua cella, con una mano sulla fasciatura che aveva alla gamba "ti ordino di liberarmi seduta stante."
L'uomo non mosse un muscolo. Lo fissava come se lo stesse esaminando, come se volesse capirne i segreti più profondi. Soccante iniziò a sentirsi un po' a disagio e dato il duraturo silenzio del suo interlocutore, iniziò a domandarsi se non fosse capitato nelle grinfie di un muto, ossia uno di quegli eremiti rinnegati dalla società che sono stati soli talmente tanto tempo da dimenticare come si parla. L'altra opzione che gli venne in mente era che si trattasse di un barbaro, che si diceva vivessero fuori dai confini conosciuti del mondo e che non parlavano la lingua degli Dei, ma si limitavano a grugnire per capirsi tra di loro. Con un tuffo al cuore Soccante ricordò di aver sentito dire che i barbari mangiavano carne umana.
"Io sono principe Soccante del regno di Animalia" disse ancora, ma questa volta scandendo meglio le parole e accompagnandole con teatrali gesti delle braccia, come se stesse parlando a un analfabeta "quindi liberarmi o il mio esercito farà irruzione e ti taglierà la testa."
L'uomo si accigliò.
"È inutile che vi diate tanta pena per farvi capire principe, vivrò nella foresta ma non sono un ignorante" aveva una voce profonda e meditativa "concedetevi una notte di sonno. Domani la vostra gamba sarà guarita e mi racconterete la vostra storia con più calma" senza aggiungere altro, girò sui tacchi e se ne andò, rincorso dagli insulti di Soccante.
Il principe restò una buona mezz'ora a fissare il punto in cui lo sconosciuto era sparito aspettandosi che tornasse da un momento all'altro, ma quando constatò che questo non sarebbe successo, si trascinò pesantemente sul suo giaciglio. Non aveva intenzione di dormire, per paura che l'uomo lo attaccasse quando meno se lo aspettava, ma appena si sdraiò sentì la stanchezza pervaderlo. Le palpebre gli si abbassarono pesantemente e per evitare di addormentarsi, iniziò a ragionare sulla sua situazione e su quel misterioso signore che lo aveva appena salvato.
Quell'uomo lo intrigava, l'aveva trovato nei boschi, privo di sensi e ferito e senza una ragione apparente l'aveva portato a casa sua, l'aveva curato, ma lo aveva comunque rinchiuso in una cella. Cosa doveva pensare Soccante di qualcuno che agiva in quella maniera? Lo aveva salvato, certo ma lo aveva anche rinchiuso e al principe non piaceva affatto essere trattato come un prigioniero o un bandito. Il principe in un attimo di lucidità constatò che non c'era pericolo che gli facesse del male durante il sonno perché se avesse voluto ucciderlo, lo avrebbe lasciato nella foresta, non lo avrebbe di certo salvato e curato.
Con questo ultimo pensiero, Soccante si tranquillizzò e finalmente cadde in un sonno profondo e ristoratore. Diverse ore dopo, al suo risveglio, la prima cosa che constatò fu che la gamba non gli faceva quasi più male. Maledisse lo sconosciuto perché aveva avuto ragione, poi si stropicciò gli occhi e alzò lo sguardo. 
Per poco non gli venne un colpo, il suo carceriere era entrato nella sua cella e lo fissava con occhi penetranti, proprio come il giorno prima. Solo che questa volta era seduto su una sedia anziché essere in piedi dall'altra parte delle sbarre.
"Scusatemi, non volevo spaventarvi" gli disse.
"Chi sei? Dimmelo" ordinò il principe senza troppe cerimonie.
"Raccontatemi prima la vostra storia così potrò decidere se fidarmi a raccontarvi la mia" Soccante lo guardò con disprezzo.
"Non ti racconterò un bel niente se prima non ti identifichi al mio cospetto" rispose.
"Va bene, allora divertitevi a marcire in questa cella" ribatté l'altro tranquillamente, alzandosi dalla sua sedia e avviandosi verso la porta della prigione.
Silenzioso e senza preavviso, il principe approfittò del fatto che l'altro gli stava dando le spalle per scaraventarsi su di lui. Ma qui accadde una cosa molto strana, perché senza voltarsi e senza dare l'aria di aver visto il movimento improvviso del principe, l'altro esclamò:
"Pigaine me ekei!"
Ci fu un lampo di luce colorato e scomparve nel nulla, tant'è che Soccante, preso alla sprovvista, andò a sbattere violentemente contro le sbarre della cella e ruzzolò a terra goffamente.
"Voi mi racconterete la vostra storia per primo e poi io vi racconterò la mia" ripeté l'uomo.
Il principe si voltò, la misteriosa figura ora era seduta sul giaciglio su cui aveva dormito fino a pochi minuti prima. Soccante sbuffò, rosso dalla rabbia e intimorito dalle abilità magiche dell'avversario. Capì però di non avere scelta e che se avesse voluto avere una possibilità di evadere, avrebbe dovuto indurre l'altro a fidarsi di lui. Così gli raccontò la sua storia, che fu silenziosamente ascoltata. Al nome di Filomena, l'uomo ebbe uno spasmo alla mascella, ma Soccante fece finta di non notarlo.
"Tocca a te" gli disse una volta terminato il racconto.
"Non mi avete detto come mai vi trovavate privo di sensi nel bosco vicino a casa mia" gli fece notare l'altro.
"Sono inciampato in una radice e ho sbattuto la testa, tutto qui" mentì il principe, perché non gli andava di dirgli che stava morendo di fame e che aveva mangiato dei funghetti sconosciuti dai colori sgargianti, visto che ora realizzava quanto era stupido quello che aveva fatto.
"Capisco" rispose l'altro, poco convinto.
Evidentemente però decise di lasciar correre quel particolare perché finalmente prese lui la parola:
"Io mi chiamo Cleopas, sono uno stregone e un ladro molto conosciuto da queste parti. Vivo in questi boschi da parecchio tempo, un ottimo nascondiglio per un uomo come me."
"Perché mi hai salvato?" domandò Soccante.
"Vi ho trovato poco lontano da casa mia, mentre cercavo delle radici di una pianta conosciuta come la mangrovia che cammina. Mi serve per una complicata pozione che devo mescolare in senso orario per un'intera notte alla prima luna decrescente. Comunque sia, eravate incosciente, un lupo vi stava divorando la gamba e quando vi ho visto ho subito capito che dovevo salvarvi"
"Perché hai sentito di doverlo fare, perché curarmi?"
"Non sapevo chi foste" rispose semplicemente lo stregone.
"Era più semplice se mi lasciavi morire."
"Lo avreste preferito?"
"Dipende da cosa avete in serbo per me nel futuro" Cleopas soppesò le sue parole.
"Quando vi ho visto ho sentito il bisogno di salvarvi" gli confessò "non avevo mai provato questo impulso per nessun altro."
"Perché tenermi rinchiuso?"
"Perché non so se posso fidarmi di voi."
"I miei guerrieri mi stanno certamente cercando in questo preciso istante e se mi trovano rinchiuso in una cella non avranno pietà di te."
"Non penso che vi stiano cercando" gli rispose tranquillamente lo stregone.
"Come puoi saperlo?"
"Il mostro che avete incontrato nella palude era l'Idra, fidatevi se vi dico che il solo fatto di essere sopravvissuto al suo attacco è un episodio più unico che raro. Dubito che gli Dei abbiano concesso al vostro esercito la stessa grazia che vi hanno concesso" Soccante ebbe un tuffo al cuore.
Non gli importava tanto della morte del suo esercito, ma più del fatto che se quello che Cleopas gli diceva era vero, significava che nessuno sarebbe venuto a salvarlo. Lo stregone gli propose di dare un'occhiata alla sua ferita e il principe accettò. La pasta blu che gli aveva spalmato lo stregone sulla ferita aveva svolto il suo lavoro, ora gli rimaneva solo una vecchia cicatrice ricurva sul polpaccio là dove il lupo lo aveva sbranato. Cleopas si alzò dicendo che andava a preparare la colazione e se ne andò, richiudendosi la porta della cella alle spalle.
Soccante si mise dunque a pensare velocemente a una soluzione per uscire di lì. Non poteva aspettare che qualcuno lo salvasse, perché nessuno sapeva dove si trovasse e tutti coloro che avevano come missione di proteggerlo erano probabilmente già morti. Più si sforzava di pensare ad una soluzione, più questa gli sfuggiva. Per riuscire a scappare dalle grinfie di uno stregone doveva agire d'astuzia, ma come poteva farlo? Mentre rifletteva, Soccante si tastò distrattamente le tasche e improvvisamente gli balenò un'idea. Per farlo però doveva tranquillizzarsi, perché se Cleopas lo avesse visto agitato com'era, avrebbe sospettato qualcosa. Dunque, prese uno dei funghetti che gli erano avanzati e lo mangiò. Chiuse gli occhi, fece alcuni respiri profondi e finalmente sentì il battito del suo cuore rallentare. Iniziò subito a sentirsi più tranquillo e si sedette, aspettando pazientemente il ritorno dello stregone.
Quando Cleopas tornò alcuni minuti più tardi, portava con sé un vassoio su cui c'era una ciotola contenente quella che sembrava essere una minestra. Soccante guardò con disgusto il liquido verde ribollire, poi volse lo sguardo verso lo stregone.
"E per me cosa c'è da mangiare?" gli domandò.
"Avete ragione, una minestra non è forse la colazione più adatta, datemi un paio di minuti e preparo qualcos'altro" Soccante non si aspettava che lo stregone reagisse come lo aveva fatto, offrendosi di preparargli qualcosa altro.
Si aspettava piuttosto che cercasse di colpirlo, come si colpisce un prigioniero insolente, ma Cleopas sembrava nutrire un certo rispetto per lui, lo stesso rispetto che Soccante riconosceva nei suoi servi a corte.
Il principe guardò la minestra che aveva davanti, in realtà aveva lo stomaco che brontolava e l'avrebbe mangiata volentieri, ma adesso che aveva iniziato quella farsa non poteva più tirarsi indietro. Si avvicinò alla ciotola e, guardandosi attorno per essere sicuro che Cleopas non ci fosse, gettò una generosa manciata di funghi nella minestra.
Poco dopo lo stregone rifece la sua apparizione, questa volta reggendo un piatto ricolmo di vari frutti, che depose nella cella.
"Buon appetito, principe" gli disse, facendo per andarsene e lasciarlo solo.
"Ma come, te ne vai?" gli domandò Soccante, falsamente, poi indicò la minestra sabotata "non ti fermi a mangiare con me?"
"Ho pensato che voleste stare un po' da solo" rispose lo stregone.
"Non farti pregare e unisciti a me" gli disse il principe.
Cleopas si sedette dunque insieme al principe e insieme mangiarono di buon gusto. Soccante spolverò in un baleno tutti i frutti che aveva nel piatto e lo stregone ripulì tutta la ciotola di minestra. I due chiacchierarono ancora un po', infine lo stregone iniziò ad avere qualche accenno di cedimento.
"Voi mi piacete, principe" gli confessò in modo vago.
"Anche tu mi piacu, stregone, a proposito, dove tieni le mie armi?"
"Vicino all'entrata, in un armadio. Non penserete però di poterlo aprire, perché è chiuso con la magia e la formula per aprirlo è anoixe sousami, ma si tratta di parole troppo complesse per che un umano possa ricordarle" ci fu un momento di silenzio in cui Soccante cercò di memorizzare la formula, poi Cleopas riprese la parola:
"Perché vi ho salvato?" domandò più a sé stesso che a Soccante "non sono di certo conosciuto per la mia bontà d'animo" il principe iniziò a sentirsi uno strano sentimento di disagio pervaderlo.
Si chiese se fosse il caso di dargli ancora un paio di funghetti per farlo crollare, ma non servì. Lo stregone cadde a terra alcuni minuti dopo, privo di sensi. Il principe perquisì l'inerme corpo alla ricerca della chiave. La trovò in una tasca nascosta nella manica della vesta e quando la prese, il vestito gli scoprì il braccio. Cleopas portava al polso un bracciale d'oro tempestato di rubini.
Soccante sentì una sinistra attrazione da quell'oggetto, che brillò malignamente sotto i suoi occhi. Non seppe perché lo fece, ma gli sfilò il bracciale dal polso, lo fece scivolare intorno al suo e se ne andò, chiudendosi la cella alle spalle e buttando la chiave. Recuperò le sue armi come Cleopas gli aveva spiegato e uscì dalla sua dimora, che somigliava molto alla torre di un palazzo reale.
Soccante andò subito verso Nord, cercando di mettere più distanza possibile fra lui e lo stregone, che avrebbe potuto riprendere conoscenza da un momento all'altro. Camminò per quasi un giorno intero, quando si fermò ai piedi di un albero, esausto della sua giornata.
Capita però poche volte che in quella foresta dannata uno possa riposare per davvero. infatti, un nuovo intoppo si imponeva davanti al cammino del povero Soccante, ma questa volta a rallentarlo non fu un mostro in un lago, dei funghi velenosi o uno stregone malvagio, ma fu qualcosa di ben più terribile.

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