Capitolo 41

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Finalmente riuscì ad aprire gli occhi. Delle tende oscuravano la luce del sole e Neofante non riuscì a capire dove fosse. Probabilmente era una stanza da letto perché sentiva un morbido cuscino sotto la sua nuca. Decise di alzarsi. Aveva male ovunque e gli girava un po' la testa. Aveva la mente offuscata, come quando si dorme troppo e ci si sveglia un po' storditi. Però andò verso la finestra e scostò le tende. Era pomeriggio inoltrato e fuori vedeva la piazza della città.
Neofante si guardò attorno e constatò di essere davvero in una stanza da letto. A dir la verità era una camera un po' spoglia: i mobili erano fatti di legno ma c'erano solo un letto, un armadio e un comodino. Nessuna decorazione e nessun colore che dessero vita a quel posto.
Lui Indossava sempre gli stessi vestiti, ma le sue ferite erano state fasciate. Notò con sollievo che la gamba non gli faceva quasi più male, quindi non se l'era rotta. D'un tratto però un terribile pensiero si fece strada nella sua mente. Ricordava cosa fosse successo, l'attacco delle arpie e tutto il resto, ma non ricordava chi avesse pugnalato prima di svenire.
Col cuore in gola attraversò la stanza e oltrepassò una porta di legno, si trovò in un lungo corridoio, che percorse quasi correndo. Alla fine del corridoio c'erano delle scale che scendevano e Neofante ci si fiondò, rischiando di fare una brutta caduta. Sbucò in un pub pieno di tavoli, con un bancone in fondo, vicino alla porta d'entrata.
Neofante conosceva bene quel posto. Vide due anonimi individui seduti in un angolo buio, ma non li degnò di uno sguardo e corse verso la donna che stava dietro al bancone.
"Ercolea!" esclamò e si buttò tra le sue braccia.
"Neofante" gli disse lei stringendolo con forza "per un attimo ho temuto che non ti svegliassi più."
Dovete sapere che Neofante prima di iniziare a suonare a corte, aveva frequentato decine di pub come quelli. Il marito di Ercolea aveva visto il suo talento e gli aveva offerto un lavoro nel suo locale. Neofante aveva quindi lavorato in quel posto per così tanto tempo che era diventato inevitabilmente amico di tutta la famiglia del proprietario.
"Non ti sei fatta male, vero?" le domandò Neofante, con angoscia, sciogliendosi dall'abbraccio.
"Assolutamente no, un attimo prima di svenire sei riuscito a pugnalare quella cosa al petto."
"Sono così felice di averti incontrata, devo raccontarti un mucchio di cose!" esclamò Neofante.
"Anche io ho tante cose da raccontarti mio caro, ma ora siediti, ti cucino qualcosa da mettere sotto i denti."
E mentre Neofante mangiava, Ercolea gli raccontò della fuga della principessa, del demone del pozzo e di tutto quello che le era successo. Una volta che Neofante ebbe trangugiato tutto il suo pasto, fu il suo turno di raccontarle quello che era successo: di Ambrosio, del labirinto, di Ade e della lira, di come le naiadi li avevano aiutati, ma anche del terribile incidente al fiume e di come aveva lottato contro le arpie.
"È terribile!" esclamò Ercolea, sconvolta.
I due erano talmente assorti dalla loro conversazione che non si accorsero nemmeno che gli altri due individui nel locale stavano iniziano ad alzare la voce.
"Quasi dimenticavo" disse Ercolea d'un tratto "ti ho fatto un regalo" poi gli consegnò un pacchettino incartato con carta marrone.
"L'ho fatto con le mie mani spero che ti piaccia."
Neofante scartò il pacco e si mise a ridere. Ercolea aveva preso l'artiglio affilato di Aello, quello che lui le aveva mozzato, e lo aveva attaccato ad un manico di legno in modo da formare una specie di lungo pugnale dalla lama nera.
"È fantastico grazie" le disse, abbracciandola.
Ma ecco che i due sconosciuti iniziarono a litigare a gran voce e catturarono la loro attenzione.
"Quindi non ce l'hai più!" esclamò uno dei due.
Entrambi si erano alzati, uno era un uomo, quello che aveva urlato, e l'altra una donna, una bellissima donna, che Neofante riconobbe all'istante.
"No, Cleopas, mi è stato rubato" disse la ragazza, con una punta di nervosismo.
"Come possono avertelo rubato?"
"Mi hanno uccisa e a te come lo hanno rubato?"
"Quel maledetto ha messo dei funghetti nel mio cibo" le disse Cleopas amaramente "ora dimmi, Vanitea, chi è stato a prenderlo?"
"Una donna, una guerriera, carina di viso, ma deve lavorare un po' di più su sé stessa se vuole diventare bella."
Ma nonostante quella scarsa descrizione, Cleopas aveva capito subito di chi si trattasse.
"Maledizione!" esclamò.
Neofante spiegò a Ercolea chi fosse quella ragazza e le disse che per come si mettevano le cose forse era meglio se andava a portare i suoi bambini al sicuro. I figli della donna erano nelle loro camerette a giocare al piano di sopra; quindi, la donna salì su per le scale per andare da loro.
Neofante decise che il modo migliore per affrontare Vanitea era quella di farlo a viso aperto; dunque, attaccatosi il nuovo regalo alla cintura, si alzò e si avvicinò ai due individui.
"Tu" sputò il ragazzo in direzione di Vanitea e quella si voltò "mi hai rubato la lira."
La ragazza lo riconobbe all'istante.
"Aspetta un attimo" disse Cleopas "tu sei in possesso della lira di Apollo?"
Ma Vanitea non gli rispose.
"Come stai?" esclamò guardando Neofante "che piacevole sorpresa incontrarti qui, temevo che tu e il tuo piccolo amico dalle gambe pelose vi foste fatti divorare da un orso o qualcosa del genere!"
"Tu non lo temevi" rispose il ragazzo "tu lo speravi."
Cleopas sogghignò.
"Dov'è il satiro? Avrei alcuni consigli da dargli per pettinare i suoi ricci" Vanitea si voltò nuovamente verso Cleopas "devi sapere che quella capretta ha dei capelli stupendi, ma non li cura abbastanza!"
"Non girarci attorno e dammi la lira" tagliò corto Neofante.
"Sennò che fai?"
Cleopas si mise seduto e accavallò le gambe, facendo correre lo sguardo dall'uno all'altra, come chi sta seguendo uno spettacolo a teatro.
"Tu ed io siamo partiti col piede sbagliato" continuò Vanitea "innanzi tutto non ci siamo nemmeno mai presentati ufficialmente."
"Ti chiami Vanitea, ho sentito che il tuo amico lo diceva poco fa" Neofante stava perdendo la pazienza "ora dammi la lira, non è tua, sono stato io a recuperarla."
"Mi dispiace ragazzino" disse Vanitea "ma io devo usarla per attirare Ade qui ed ucciderlo. Non posso proprio permetterti di suonarla prima che ci sia riuscita."
Cleopas scoppiò a ridere.
"Nemmeno io avrei l'audacia di sfidare Ade" le disse "e io sono uno stregone."
"Senti Vanitea" disse Neofante "Ade avrà anche un corpo umano che limita le sue capacità, ma rimane immortale."
"Il ragazzino ha ragione" disse Cleopas "puoi trafiggerlo quanto vuoi con qualsiasi arma, ma non puoi sconfiggerlo."
"Come lo dovrei uccidere allora?" domandò Vanitea.
"Non puoi" disse Cleopas con semplicità "puoi solo rimandarlo agli inferi, ma non puoi uccidere un Dio."
"Allora parla stregone, come lo mando agli inferi?"
"Cosa ci guadagno io a dirtelo?" le domandò Cleopas.
"Ora basta, dammi la lira" intervenne Neofante.
"No, ne ho bisogno" disse Vanitea.
Al che il ragazzo non ci vide più dalla rabbia e le saltò addosso. O almeno, stava per farlo, ma Cleopas aveva sollevato una mano e lo aveva immobilizzato a mezz'aria. Neofante poteva muovere solo gli occhi e vide che lo stregone aveva immobilizzato anche Vanitea.
Cleopas si alzò in piedi.
"Voglio la lira e in cambio ti dirò come sconfiggere Ade" la ragazza fece un verso gutturale, provando a parlare, ma non riuscì a spiccicar parola.
Cleopas si avvicinò a lei, frugò tra le sue vesti e, davanti agli impotenti occhi di tutti, estrasse la lira.
"Bene" disse "nessuna arma terrestre può sconfiggere Ade, per faro dovrai trovare un'arma magica."
Senza aggiungere una parola Cleopas se ne andò con la lira in mano e un sorriso sulla faccia, lasciando lì Neofante e Vanitea ancora immobilizzato. Appena lo stregone oltrepassò la porta però un orribile ululato risuonò nella città e istantaneamente l'incantesimo che li teneva bloccati si ruppe.
Neofante e Vanitea corsero alla porta, con l'intenzione di inseguire Cleopas. Appena uscirono notarono che fuori il sole era tramontato e videro che c'era un gran movimento di soldati tutt'intorno. Le campane rintoccarono più volte, ma Neofante non ne capiva il motivo (e come poteva, lui non aveva mai sentito quelle campane suonare, non sapeva che servivano ad avvertire il popolo che Plantea era sotto assedio).
Vanitea si era buttata in mezzo ai soldati che correvano ovunque e lui fece lo stesso, ma ecco che in un istante scoppiò il finimondo. Un'onda di peli e artigli investì tutti i presenti in piazza. Neofante cadde, colpito da qualcosa. Non vedeva più nulla, solo armi luccicare alla luce della luna e artigli farsi strada contro esse. Il ragazzo fece per rialzarsi e nel farlo ecco che vide una guerriera accanto a lui che era sdraiata in una pozza di sangue e un orribile mostro la sovrastava e la tempestava di artigliate.
Gli salì un conato di vomito e si alzò. Vide che non molto distante da lui, un gruppetto di minuscoli uomini faceva roteare le spade in aria e teneva lontano uno di quei mostri, che cercava di colpirli. A giudicare dalla luna piena, Neofante indovinò dovesse trattarsi di un attacco di lupi mannari.
Poi uno dei muri di sasso della città esplose con un botto e massi infuocati caddero sui combattenti. Neofante si coprì la testa con le braccia. Un dolce suono iniziò a risuonare al di sopra della folla, ma venne interrotto quasi subito. I nani uccisero il lupo con cui stavano combattendo e una sagoma scura volò proprio sopra le loro teste, andando a schiantarsi contro il campanile, che ormai aveva smesso di suonare.
Neofante non sapeva che fare o dove andare, ma ecco che una grossa sagoma scura gli piombò addosso. Non era un lupo, era molto più grosso e con orrore il ragazzo riconobbe le tre teste di Cerbero.

La lira di ApolloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora