Capitolo 44

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Pirenea si muoveva con estrema grazia tra i combattenti. Aveva occhi ovunque e riusciva a schivare o a parare con la sua spada tutti i colpi che gli avversari provavano ad infliggerle. Era riuscita a respingere ben tre licantropi mentre si faceva strada, diretta com'era, verso Cleopas. La rabbia nel vedere lo stregone aveva sormontato qualunque altro sentimento, il pensiero che per colpa sua ora non era più in grado di amare Soccante la faceva infuriare. L'unica cosa che frenava il suo istinto vendicativo era l'idea che Cleopas fosse il solo che potesse aiutarla a ritrovare quel sentimento perduto, ma decise che a questo avrebbe pensato a tempo debito.
Scartò la zampata di un lupo mannaro, scavalcò un cadavere, si abbassò giusto in tempo prima che una scarica di frecce la trafiggessero ed eccola lì, di fronte allo stregone. Cleopas in quel momento era alle prese con un paio di licantropi, ma scaricò loro addosso una serie di incantesimi che li fece scappare, uggiolando.
"Eccola qui la mia guerriera preferita!" disse con allegria.
"Vedo che hai trovato la lira" commentò lei, indicando lo strumento che aveva in mano.
In quel momento il muro della città esplose e i due si protessero con le braccia come poterono.
"Sì, insomma, mi è capitata tra le mani per caso" rispose lui, mostrandogliela "non è proprio quello che stavo cercando ma non dico mai di no ad un bottino del genere."
Ambrosio fece un volo al di sopra della folla e nessuno dei due vide dove atterrò. Pirenea pregò per che stesse bene.
"A proposito di cose che sto cercando" continuò Cleopas, imperterrito "ho saputo che hai tu il mio bracciale, me lo darai vero?"
Un licantropo saltò addosso alla ragazza, ma lei lo schivò e con un agile calcio lo mandò in direzione di Cleopas. Lui gli sputò una pioggia di scintille addosso e quello scappò. Proprio mentre si creava un buco nella folla, Cleopas vide ciò che più temeva in quel momento.
"Ci sono Barsabas e i suoi nani."
"Perché hai così tanta paura dei nani, tu hai i poteri magici."
"I nani, specie la popolazione dei Pigmei, hanno la pelle dura e magica, sono pochi gli incantesimi che funzionano su di loro e se ci trovano ci uccideranno: io perché ho rubato loro il bracciale e tu perché hai ferito l'orgoglio di Barsabas."
"Tu mi hai rubato l'amore che provavo per Soccante!" esclamò Pirenea d'un tratto.
"Sì e te l'ho messo nella spada, come d'accordo" ribatté Cleopas, che visibilmente non capiva quale fosse il problema.
"Non era quello l'accordo, io voglio ritrovarlo e amarlo ancora."
"L'amore è un sentimento così idiota e debole, perché mai una guerriera come te dovrebbe mai volerlo provare?"
"Mi fai la predica su quanto l'amore sia un sentimento inutile quando il bracciale per cui stai rischiando la vita in questo momento ha il potere di farti innamorare di chiunque!" disse lei, ironica.
Cleopas soppesò per un po' le sue parole, ma quando finalmente sembrò che stesse per parlare e dirle qualcosa di utile, che l'avrebbe forse aiutata a ritrovare l'amore che aveva perduto per Soccante, ecco che accadde il finimondo. Una pioggia di fulmini dorati cadde tutt'intorno. Le case esplosero, le persone vennero incenerite e qualcuno lì in mezzo rideva di gusto.
Quell'attaccofece scappare in tutte le direzioni i combattenti e Pirenea venne allontanata a forza da Cleopas. Lei si trovò di fronte all'uomo che rideva e riconobbe nei suoi lineamenti quelli di un soldato che un mese prima era partito con lei e con Soccante per la spedizione. Aveva pensato che tutti i suoi compagni si fossero fatti divorare dall'idra, ma poi si ricordò della storia che Ambrosio le aveva raccontato e capì subito che si trovava di fronte a Ade.
"Questo non è un ambiente adatto ad una ragazzina" disse lui perfidamente e così come aveva fatto volare via Ambrosio, con un gesto della mano la scaraventò lontano.
I fulmini avevano fatto cadere la lira dalle mani di Cleopas, che si trovò in mezzo ai nani e le cose per lui iniziarono a mettersi male. Violenti incantesimi colpivano Barsabas e i suoi compagni, ma a parte rallentarli, non sembrava avessero un grande effetto su di loro.  
Torniamo però a vedere cosa ne fu dell'attacco improvviso di Cerbero a Neofante. Il ragazzo era riuscito a vederlo appena in tempo ed era riuscito a schivarlo all'ultimo, approfittando della sua grande stazza e del fatto che lo rendeva meno agile. Neofante era caduto a terra e ora strisciava sul pavimento, col timore che se si fosse alzato in piedi, le tre teste del mostro lo avrebbero riconosciuto. A terra trovò la spada di qualcuno. Una mano era aggrappata all'elsa, ma Neofante non riuscì a trovare il resto del corpo. Con sommo disgusto tolse la mano e tenne la spada.
D'un tratto si trovò di fronte un muro, pensò di essere al sicuro e si alzò in piedi. Cerbero stava ancora fiutando il punto in cui Neofante era sparito. Il ragazzo cercò di orientarsi, era ai piedi del grande campanile, al margine della piazza e dunque anche della battaglia. Per terra, accovacciato e sanguinante, vide qualcuno muoversi febbrilmente e con un'esplosione di gioia, lo riconobbe.
"Ambrosio, grazie agli Dei siete vivo!" il satiro alzò la testa e si massaggiò la cervicale, non sembrava ferito in modo grave, ma aveva preso un gran colpo che lo aveva stordito.
"Neofante, mi vergogno così tanto di me stesso" gli disse scoppiando a piangere "io non ti ho aspettato, ho preso la zattera e sono partito, avevo paura che Cerbero mi trovasse e volevo solo andarmene e salvarmi la pelle!"
"Non piangete amico mio, ammetto che io stesso mi sono comportato allo stesso modo quel giorno, come potrei farvene una colpa?" Ambrosio non sembrava rincuorato nel sapere questa cosa.
"Potrai mai perdonare la mia codardia?" gli domandò.
"Codardia! Questa è bella" esclamò Neofante "è forse codardo colui che per amicizia mi ha accompagnato in un labirinto riempito di mostri? È forse codardo colui che per me ha stregato un enorme drago-serpente? È forse codardo colui che si è buttato in mezzo ad una battaglia solo perché sperava di incontrarmi? Credetemi Ambrosio quando vi dico che voi siete una delle persone meno codarde che io conosca."
Queste parole ebbero un effetto benefico sul povero Ambrosio, che smise di piangere e si alzò energicamente in piedi, dimenticando i dolori che provava. Poi si buttò tra le braccia dell'amico e i due si strinsero nel più bel abbraccio mai visto in tutti i tempi. Ma, come forse potete immaginare, quando si è in mezzo ad una battaglia non sempre i bei momenti possono durare a lungo.
Al di sopra della spalla di Neofante, Ambrosio vide un feroce licantropo correre loro incontro. Ma non esitò un istante, allontanò l'amico, si portò il flauto alle labbra e iniziò a suonare una melodia molto rapida. Il lupo gli tirò una zampata, ma non successe nulla, perché là dove un attimo prima c'erano lunghi artigli affilati, ora c'era solo delle margherite. Il licantropo si sorprese assai della novità e si guardò la zampa con orrore, nel frattempo Neofante, approfittando della sua distrazione, fece ruotare pericolosamente la spada sopra la sua testa e lo colpì con forza. Quello ringhiò di dolore e se ne andò di corsa.
"Ambrosio ho bisogno del vostro aiuto, ma parliamo in un posto più tranquillo!" esclamò, come se lo avesse ricordato solo ora.
Lo prese per una mano e lo trascinò in un vicolo lì vicino dove per il momento regnava la tranquillità.
"So chi ha la lira, l'ho vista!" in quel momento Ade scaricò i suoi fulmini dorati tutt'intorno e il terreno fu scosso violentemente sotto i loro piedi.
"Allora andiamo a prenderla, cosa aspettiamo?" esclamò il satiro, euforico per aver fatto pace col suo migliore amico.
"Ma ho un problema, Cerbero mi è addosso, mi fiuta ovunque io sia e non riuscirò mai ad arrivare alla lira se lui è sulle mie tracce."
"Hai bisogno di un diversivo e che problema c'è?" Ambrosio, esaltato come non mai, uscì dal vicolo, si portò il flauto alle labbra e soffiò, ma nessun suono ne emerse.
Neofante guardò la battaglia e vide che tutti i licantropi, così come Cerbero, si portarono le zampe alle orecchie, mentre gli umani approfittavano di quel diversivo e dell'attacco di Ade per ricompattare i ranghi e contrattaccare.
"È un suono che solo i mostri e gli animali possono sentire" spiegò Ambrosio "i cani sono particolarmente sensibili a questo suono."
Come non detto, Cerbero individuò Ambrosio all'istante e con le tre teste che ringhiavano, partì al galoppo in sua direzione. Il satiro, che non aveva pianificato cosa fare in seguito, se la diede a gambe lontano dalla battaglia, inoltrandosi nelle viuzze della città. Neofante dedicò una preghiera all'amico e appena vide passare Cerbero davanti al suo nascondiglio, afferrò la spada e si ributtò nella mischia.
Nel mentre, re Bisante cavalcava a più non posso su per la città. Finalmente arrivò al castello e con orrore vide che alcune torri erano andate distrutte, mentre altre erano in preda alle fiamme. Il re pensò subito a Filomena e corse dentro, ma arrivato agli scalini, decise che sarebbe stato inutile fiondarsi direttamente dalla figlia, doveva andare da Dimitrea, perché lei, ne era sicuro, era ancora più pericolosa di quanto lo fossero le fiamme.
Si fiondò giù per gli scalini, in direzione delle segrete. Potrebbe essere sorprendente vedere una persona della sua età e della sua stazza correre così velocemente, ma l'urgenza della situazione premeva sulla sua forma fisica. Spalancò la porta delle segrete e vide la guardia carceraria stesa a terra in un'enorme pozza di sangue. Corse fino alla cella di Dimitrea, ma con orrore poté notare che la prigioniera e tutte le sue cose erano sparite. A maggior ragione il suo pensiero andò alla figlia, sapeva che Dimitrea tramava vendetta nei suoi confronti.
Riprese i suoi passi e salì gli scalini, ma questa volta salì molto più in alto. Si ritrovò in un buio corridoio e lo percorse a corsa. Bisante sentì un tremendo rumore non lontano da lì, il castello tremò e la polvere cadde dal soffitto. Il re immaginò che qualcuno o qualcosa avesse appena fatto crollare un muro non lontano da lì.
Voltò l'angolo e dovette fermarsi. Davanti a lui si disegnava una scena orribile: il sangue bagnava le pareti e il pavimento, alcune persone dilaniate erano stese a terra e una donna piangeva sui loro corpi. Bisante si avvicinò cauto e riconobbe con orrore i cinque nobili con cui si era consultato alcuni giorni prima.
La donna lo sentì avvicinarsi e con un sussulto di paura si voltò, aveva una grossa ustione sul braccio e i suoi vestiti erano strappati e bruciacchiati. Per il resto però sembrava illesa. Bisante riconobbe anche lei, era Agnesa, la reggente, nonché la moglie di uno dei nobili.
"Cos'è successo?" le domandò e lei, con le lacrime agli occhi glielo raccontò.
"Stavo passeggiando nell'ala Est del castello, quando da una delle finestre ho visto un terribile drago avvicinarsi... no non era un drago... sembrava un serpente, un serpente enorme! Ma aveva le ali e sputava fiamme. Una lingua di fuoco ha fatto esplodere il corridoio in cui passeggiavo, mi sono salvata per pura fortuna, ma mi sono ferita al braccio. Poi sono scappata in cerca di aiuto, ma arrivata qui ho visto un enorme mostro dalla pelliccia bianca che attaccava mio marito e i suoi quattro compagni. Mi sono nascosta mentre li faceva selvaggiamente a pezzi e quando se né andato, sono uscita ed erano tutti morti."
"Era un lupo mannaro" le spiegò Bisante "stanno attaccando la città, deve essere stato lui a ululare in modo così tremendo e a richiamarli, dove è andato?"
"Ha preso le scale, è sceso" il re corse ad una delle finestre del corridoio e si affacciò.
Da lì poteva vedere il crtile centrale del castello, dove aveva lasciato il suo cavallo. Ma nel buio della notte gli sembrò di vederlo steso a terra in preda alle convulsioni, mentre un licantropo dalla pelliccia chiara correva a velocità pazzesca in direzione della città.
"Se n'è andato" disse il re voltandosi di nuovo verso la reggente, poi indicò una porta poco lontana "ora voglio che voi entriate in quello sgabuzzino e vi ci chiudiate a chiave, se come dite un drago sta tenendo sotto assedio il castello, è mia priorità mettere in salvo tutti coloro che ancora possono essere salvati" la reggente eseguì l'ordine e Bisante riprese la sua strada, senza avere il coraggio di guardare i vacui sguardi dei cinque nobili.
Anche Ambrosio stava correndo a più non posso, ma per altri motivi. Il satiro era stato un po' troppo precipitoso nel suo piano per allontanare Cerbero, il terribile enorme cane a tre teste, e ora si stava facendo inseguire. Correva per le strade della città, senza sapere dove stesse andando e per un attimo ebbe l'impressione di trovarsi di nuovo nel labirinto di Dedalo. Tutte le strade gli sembravano identiche e tutte le case si somigliavano. Non c'era anima viva e ben presto, a furia di correre, anche le urla della battaglia si fecero più soffocate, fino a sparire del tutto.
D'un tratto Ambrosio si trovò da solo in una strada silenziosa e si fermò per riprendere fiato. Non vedeva più Cerbero, né lo sentiva, ma non per questo era tranquillo. Al buio poi, la città aveva un non so che di sinistro. Ambrosio imboccò una strada laterale, poi un'altra, e infine si trovò una via più grande delle altre.
Ma l'orrore della battaglia era giunto fin lì, perché a pochi passi da lui, un licantropo era piegato sul corpicino di una bambina e frugava col muso nella sua piccola cassa toracica.
"Lasciala stare brutto mostro!" esclamò Ambrosio e quello alzò la testa.
Aveva il muso che grondava di sangue e uno sguardo selvaggio. Il satiro non si lasciò intimorire, prese il flauto e iniziò a suonare una terribile melodia. La terra tremò sotto i piedi del licantropo e un grosso crepaccio si spalancò sotto le sue zampe. Il mostro ci cadde dentro e Ambrosio, sempre col flauto alla bocca si avvicinò e ci guardò dentro. Era profondo una decina di metri e il lupo cercava in tutti i modi di arrampicarsi su per le pareti spioventi.
Lo sguardo di Ambrosio incontrò quello del licantropo e senza la minima pietà, smise di suonare. Così come si era aperto, il crepaccio si chiuse di colpo e vi lascio immaginare la fine che fece il lupo mannaro. Poi il satiro guardò la povera bambina, il cui cadavere giaceva steso in mezzo alla via e decise che non poteva lasciarla lì.
Intonò quindi un'altra melodia, questa volta più tranquilla, che ricordava un po' un canto di quelli spirituali. La bambina venne assorbita dolcemente dal terreno e quando sparì, là dove prima c'era il suo corpo, dal terreno sbucarono decine di fiori di mughetto, che brillarono come stelline bianche alla luce della luna. Vi posso assicurare che in futuro nessuno osò mai calpestare o sradicare quei fiori e che se vi rendete oggi nelle rovine del regno di Plantea, potrete ancora scorgere quei magnifici fiori brillare in onore dell'innocente bambina che quella notte aveva perso la vita.
Ambrosio però aveva usato il flauto e dovete sapere che se vi state nascondendo da un enorme cane a tre teste, è sempre meglio non segnalare la propria posizione suonando una melodia che possa segnalare la vostra posizione. Cerbero saltò fuori dall'ombra, proprio addosso ad Ambrosio, che cadde a terra e sentì le sue pesanti zampe schiacciarlo contro il terreno freddo.
Nel frattempo, nemmeno a Neofante le cose andavano per il meglio. Il ragazzo correva al margine della battaglia, tenendo gli occhi sui combattenti per paura che qualcuno lo attaccasse di punto in bianco. Ma com'era prevedibile che succedesse, così facendo, inciampò su qualcuno e cadde a terra, ferendosi i palmi.
Si voltò di scatto per vedere chi fosse la persona stesa a terra e vide una ragazza dai capelli scuri che si massaggiava le costole.
"Maledizione a te!" esclamò, col fiato corto.
La ragazza aveva un vestito ricoperto di margherite, anche se a dire il vero erano quasi tutte appassite e in alcuni punti non c'erano proprio e si poteva intravedere il tessuto scuro su cui erano state cucite. Neofante notò anche che l'orlo del suo vestito era strappato appena sotto il ginocchio e vide che portava degli stivali da uomo.
"Mi dispiace dama, state bene?" si preoccupò.
"Se mi dai ancora del voi o se mi chiami ancora una volta con quel nome ti taglio la gola" sbraitò la ragazza, che, ormai lo avrete capito, altri non era se non Pirenea.
"Oh, mi spiace" disse Neofante, sorpreso dal linguaggio volgare della ragazza "io sono un musicante di corte e a giudicare dal vestito avrei detto che..." alla guerriera si illuminarono gli occhi e lo interruppe.
"Tu sei Neofante, vero? L'amico di quel simpatico piccolo satiro che mi ha salvato la vita!" il ragazzo non era mai stato riconosciuto da nessuno prima d'ora, lo trovò un po' strano ma annuì.
"E voi... voglio dire tu chi sei?"
"Sono Pirenea, ero una guerriera a servizio del re di Animalia, ma non c'è tempo per stare qui a chiacchierare, ho ragione di credere che il potente Dio Ade sia qui tra noi e temo che voglia la lira di Apollo!"
"Niente che già non sapessi, come lo fermiamo?" domandò Neofante, con frettolosa praticità.
"Noi? Ragazzo questo è un tuo problema, io ho altro a cui pensare" Pirenea usò la spada come stampella e si rimise in piedi.
"Ma io pensavo che... sì insomma hai pure una spada!"
"Stando a sentire le storie che Ambrosio racconta su di te sembrerebbe che hai già battuto Ade una volta, vedrai che te la caverai benissimo anche senza di me, ne sono certa!"
"Oh Dei!" esclamò Neofante d'un tratto, perdendo la concentrazione su quello che Pirenea gli stava dicendo.
Poco più avanti aveva visto il pub di Ercolea. Aveva una parete distrutta ed era in fiamme. Corse in quella direzione, lasciandosi la guerriera alle spalle. Una nube nera e densa usciva dal buco nella parete e il ragazzo non vedeva nulla all'interno, ma sentiva le travi di legno cigolare e il fuoco scoppiettare ovunque. Uno dei fulmini di Ade doveva aver centrato in pieno il pub e lo aveva fatto esplodere.
Neofante non ci pensò nemmeno un istante e si precipitò all'interno. Iniziò a tossire per il gran fumo e sentì la pelle bruciare sotto il calore del fuoco. Non vedeva nulla ma seguendo quello che la memoria gli diceva, si avvicinò al bancone e guardò lì dietro. Vide una grossa sagoma scura per terra e si precipitò lì. Riconobbe all'istante Ercolea, anche se la donna aveva il viso spento e sporco di sangue e fuliggine.
In quell'istante le fiamme raggiunsero un ripiano nel bancone dove Ercolea era solita tenere gli alcolici più forti e ci fu un'enorme esplosione. Neofante si buttò sull'amica per proteggerla e sentì scaglie di vetro e di legno che gli perforavano il braccio e il collo. Gridò di dolore.
Anche pirenea non vedeva nulla, ma almeno lei, prima di seguire Neofante in quell'inferno in fiamme, si era presa la briga di mettersi il vestito sopra naso e bocca, per non inalare il fumo. Poi, perché lo aveva seguito, questo proprio non lo sapeva, era stato il suo istinto a dirle di farlo, oppure semplicemente sentiva in un qualche modo di dover vegliare su Neofante per conto di Ambrosio dato che gli era debitore per averle salvato la vita.
Sentì un'esplosione seguita da un grido di dolore e corse in quella direzione, inciampando per la fretta in una sedia caduta. Dietro il bancone c'era una donna sdraiata a terra e Neofante stava provando a trascinarla con tutte le sue forze, ma non riusciva a muoverla. Pirenea non si domandò nemmeno chi fosse la donna svenuta o se valesse la pena trascinarla in salvo visto che sembrava essere più morta che viva, ma si accovacciò vicino a Neofante e lo aiutò.
Ercolea era molto pesante e anche in due facevano fatica a trascinarla. Ci fu un terribile rumore di travi spezzate e parte del soffitto crollò proprio tra loro e il buco nel muro da cui erano entrati. Pirenea si sentì in trappola.
"E ora cosa facciamo?" esclamò per sovrastare il rumore dell'incendio.
"C'è un'uscita sul retro!" rispose lui.
Finalmente dopo diversi minuti di sudore e di fatica, riuscirono a spalancare la porta indicata da Neofante, che dava su una piccola viuzza laterale e finalmente portarono Ercolea in salvo. Si presero almeno cinque minuti per tossire a carponi per terra, poi Pirenea si alzò, aiutando Neofante a fare lo stesso e gli disse:
"Dobbiamo tornare in battaglia, tu devi trovare la lira e impedire a Ade di impossessarsene e io devo trovare Cleopas."
"Intendi lo stregone che ha la lira?" domandò Neofante, sorpreso.
"Proprio lui, andiamo!" e la ragazza lo prese per un braccio, trascinandolo con tale forza che Neofante non potè nemmeno controllare come stesse Ercolea o se respirasse ancora.
Corsero lungo la viuzza e, girando verso sinistra, sbucarono vicino al campanile. Da lontano i due videro il pub di Ercolea crollare e Pirenea tirò un sospiro di sollievo, felice di essere uscita di lì in tempo. Senza una parola si buttarono a capofitto tra i combattenti e raggiunsero il centro della piazza, oltrepassando il vecchio pozzo. Videro Cleopas in lontananza, era riuscito a liberarsi dei nani e ora lanciava incantesimi ad un licantropo dal pelo bianco (non aveva una spada al fianco, quindi si trattava di Licaone, non di Soccante). Si diressero immediatamente nella sua direzione.
Ma ecco che Vanitea si frappose tra Neofante e lo stregone. Aveva anche lei una spada.
"Oh Dei, ma tu non muori mai!" esclamò lei e cercò di colpirlo con la spada.
Il ragazzo parò il colpo con la sua ma per poco non gli cadde dalle mani.
"Senti chi parla" ribatté Pirenea "e io che mi sono anche sentita in colpa per averti uccisa!"
La guerriera fece segno a Neofante di andare avanti e ingaggiò un duello con Vanitea. Quest'ultima però nella vita era sempre stata una contadina e non aveva mai imparato a duellare. Dopo quindici secondi, aveva già perso la spada e dopo venti Pirenea l'aveva già atterrata con un pugno.
Intanto Neofante aveva proseguito la sua corsa, ma non era più diretto verso Cleopas perché a pochi metri da lui, per terra, tra i piedi dei combattenti, aveva visto la lira. Si buttò di testa per prenderla, ma venne immobilizzato a mezzaria da qualcuno. Le sue dita sfioravano le corde della lira e lui alzò lo sguardo, sicuro che fosse stato Cleopas a immobilizzarlo a mezz'aria (di nuovo). Ma ciò che vide lo spaventò molto di più: Ade stava tendendo una mano verso di lui e lo teneva bloccato in quella posizione.
"Eccoti finalmente" disse sadicamente.
Con un gesto della mano Neofante fece un terrificante volo e atterrò violentemente sul tetto spiovente di una casa. Non fece in tempo a riprendere fiato che si ritrovò Ade davanti. Il Dio alzò un braccio nella sua direzione e il ragazzo sentì il fiato romperglisi in gola. Una morsa invisibile gli comprimeva la gola e non riusciva più a respirare.
"Ora io ti ucciderò" gli annunciò col sorriso di chi ha appena scartato un bellissimo regalo il giorno del proprio compleanno.
Torniamo però a parlare di quello che succedeva nel frattempo al castello. Bisante correva a più non posso e si sentiva sfinito, ma il pensiero che sua figlia potesse essere in pericolo era per lui motivo di sprono; perciò, non si fermò nemmeno un istante. Il suo unico pensiero era Filomena, doveva assolutamente raggiungerla prima di Dimitrea. Non sapeva quanto vantaggio avesse la megera su di lui, ma il pensiero che ci fossero comunque due guardie davanti agli alloggi della principessa, lo rincuorava un po'.
Più volte dovette cambiare strada perché si trovava di fronte a corridoi distrutti o zone incendiate. Ad un certo punto, dopo aver cambiato strada per l'ennesima volta, voltò un angolo seguendo un lungo corridoio e proprio davanti a lui un muro esplose in una pioggia di fiamme e di detriti. il drago-serpente entrò dalla fessura appena aperta, lo vide e ringhiò ferocemente. Da come glielo aveva descritto Agnesa, Bisante non aveva capito di quel tipo di mostro si trattasse, ma appena lo vide capì subito cosa fosse, perché durante le sue ricerche sulla lira era capitato più volte su storie che lo riguardavano.
Riconobbe dunque al primo sguardo Pitone, figlio della Dea Gea (la Madre Terra), nato dal fango dopo il Diluvio Universale. Il mostro era noto per essere il custode dell'oracolo di Delfi e per aver perseguitato Leto, la madre di Artemide e Apollo, quando lei li portava ancora in grembo. Da qui, secondo le leggende, il motivo per cui Apollo lo aveva ucciso.
Pitone sputò una lingua di fuoco e Bisante si fiondò attraverso una porta poco lontana da lui, scampando per un pelo alle fiamme. Il mostro però non si diede per vinto e il re sentì il suo pesante corpo strisciare con impetuosa rabbia verso di lui. Si guardò attorno, era capitato in una vasta sala riccamente ornata di arazzi e trofei e, se la memoria non lo ingannava, ricordava che in fondo a quella stanza c'era una porta che conduceva ad un corridoio laterale.
Si fiondò in quella direzione, intanto Pitone con un colpo del muso mandò in frantumi la porta da cui Bisante era entrato. Il mostro provò ad entrare, ma era troppo grosso e non riuscì a sgusciare all'interno; dunque, sputò una gigantesca fiammata nella sala. Un'onda di calore colpì il re alle spalle e le fiamme incenerirono all'istante i preziosi arazzi attaccati alle pareti. Il fumo inondò le sue narici e per istinto si buttò a terra, proprio mentre una seconda lingua di fuoco gli passava sopra la testa.
Bisante procedette a carponi fino al dietro una bacheca di vetro che esponeva una lancia d'oro. Il re ricordava che quello era il premio che aveva ricevuto suo padre molti anni prima, quando era partito per una battuta di caccia alla ricerca del cervo di Artemide. Certo, il cervo non lo aveva trovato, ma era tornato vivo dalla foresta, cosa per nulla scontata, così aveva ricevuto quella lancia in premio al coraggio dimostrato.
"Scusatemi padre" disse rivolto alla lancia, alzandosi in piedi.
Sfondò la vetrina con un pugno, ferendosi la mano, poi la afferrò e con un tiro sorprendentemente forte e preciso per un uomo della sua età, centrò in pieno il muso di Pitone. Il mostro ruggì di dolore e Bisante approfittò di quel momento di distrazione da parte sua per attraversare la porticina sul retro della sala dei trofei. Si fermò un attimo per riprendere fiato e controllarsi le ferite. Aveva la mano insanguinata e gli sembrava anche di avere un'ustione alla base della schiena. Aveva molto male alla spalla perché aveva sforzato i muscoli per tirare la lancia, ma nel complesso stava bene e ciò che gli mancava più di tutto in quel momento, era il fiato per via della grande corsa.
Bisante non si diede per vinto e continuò la sua strada. Finalmente, senza altri intoppi, arrivò di fronte alle porte finemente lavorate delle stanze di Filomena ma un brutto presentimento lo colse all'improvviso. Le guardie erano morte, ma le loro ferite non corrispondevano all'attacco di un licantropo o di Pitone. Avevano solo un lungo ma preciso taglio alla gola, come fossero state fatte da una lama. Pensando al peggio, il re entrò nella stanza e ciò che vide lo agghiacciò: Dimitrea era seduta su Filomena col pugnale insanguinato in mano e tutt'intorno schizzi di sangue bagnavano le pareti.
Più giù, nelle strade della città, il pesante alito delle tre teste di Cerbero soffocavano Ambrosio. Il satiro scalciava e si dimenava, ma il mostro lo teneva schiacciato a terra con una zampa. Si portò il flauto alle labbra, ma non riusciva nemmeno a respirare, figuriamoci a suonarlo!
Povero Ambrosio, sentiva che per lui era la fine ma ecco che d'un tratto Cerbero gli tolse la zampa di dosso. Il satiro, sorpreso, si alzò in piedi alla velocità della luce e scappò a gambe levate. Ma aveva fatto solo pochi passi che sentì un dolore acuto alla zampa destra. La testa centrale del mostro l'aveva azzannato e lo stava sollevando in aria.
Ad Ambrosio cadde il flauto dalle mani mentre, gridando di dolore, si dimenava a più non posso. Ma più lo faceva, più sentiva i denti di Cerbero affondargli nella coscia. Sospeso a testa in giù vide brillare i denti aguzzi delle due teste laterali e capì subito cosa stesse per succedere, così chiuse gli occhi nella speranza di non soffrire troppo, mentre le due mandibole si spalancavano e gli venivano incontro, segnando un destino a cui in fondo sapeva di andare incontro fin da quando aveva messo piede in quella battaglia.
Ma le cose non si complicarono solo per lui quella sera, perché anche Pirenea si trovò d'un tratto parecchio in difficoltà. Dopo aver sconfitto Vanitea, aveva visto Neofante volare lontano sui tetti delle case e aveva indovinato che fosse stato un artificio di Ade (perché aveva fatto la stessa cosa con lei poco prima). Questa volta però non era potuta correre in suo soccorso perché aveva visto che un nano armato di spada si stava avvicinando di soppiatto alle spalle di Cleopas mentre lui era distratto dal combattimento con Licaone.
Non poteva permettere che lo stregone morisse perché le serviva il suo aiuto; perciò, si buttò a capofitto nella battaglia e intercettò il nano. Non era Barsabas, ma uno dei suoi compagni (non che la cosa sia molto rilevante, ma si trattava del nano che era rimasto incastrato sotto le macerie quando la torre di Cleopas era esplosa). Comunque, Pirenea non lo riconobbe nemmeno.
Lo stregone si voltò appena in tempo per vedere la guerriera intervenire sul nano.
"Grazie ragazzina" gridò "se diochno!" esclamò poi e Licaone fece un volo di una decina di metri, atterrando da qualche parte tra la folla di combattenti.
Lo stregone non ebbe nemmeno il tempo di riprendere fiato che Barsabas si stagliò di fronte a lui.
"Dammi il bracciale Cleopas e io ti risparmierò la vita!" gli disse.
Intanto Pirenea stava parando i violenti colpi dell'altro nano, ma da qualche parte alle sue spalle sentì Cleopas esclamare:
"È da un pezzo che non ho più quel bracciale, ma so che Pirenea lo tiene nascosto da qualche parte, la ragazza che ti ha fatto quella cicatrice intendo... fossi in te non l'affronterei perché come ben ricordi è una vera forza della natura con la spada!" alla ragazza si gelò il sangue nelle vene, quella era l'ultima cosa che i nani dovevano sapere.
Evidentemente Cleopas era convinto che Barsabas avesse paura di lei, ma ancora più evidente è il fatto che si sbagliava, perché il nano bruciava dalla vendetta per la cicatrice che gli solcava il viso. Pirenea notò che il nano con cui stava duellando si distrasse un attimo, sentendo la conversazione tra Cleopas e il suo capo. Fu una cosa di pochi attimi, ma approfittò del vantaggio: con un colpo della sua spada, destabilizzò la posizione difensiva dell'avversario e con un calcio ben assestato nel petto, lo fece ruzzolare a terra, tra le zampe e i piedi di coloro che lottavano.
Con la coda dell'occhio vide Barsabas avvicinarsi alle sue spalle. Era troppo vicino e Pirenea aveva il fianco scoperto, sapeva che non avrebbe mai fatto in tempo a voltarsi e parare l'affondo che il nano aveva già preparato, ma proprio mentre questo succedeva, Cleopas stava già esclamando l'incantesimo che aveva usato poco prima su Licaone.
"Se diochno!" gridò e Pirenea si accorse con sorpresa che l'incantesimo non aveva colpito il nano, bensì lei.
La guerriera sentì i piedi staccarsi da terra e il suo corpo fece un lungo volo, atterrando diversi metri più in la. Picchiò con violenza la mano che teneva la spada contro il pozzo e l'arma le volò via.
"Maledizione!" esclamò, ma non si era accorta di qualcosa ancora peggiore.
Mentre si alzava in piedi a fatica e scrutava il pavimento alla ricerca della spada, il nano che aveva affrontato poco prima le si era avvicinato alle spalle e, arrivato ad una legittima distanza, aveva sollevato la spada, pronto a darle il colpo di grazia.

La lira di ApolloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora