Capitolo 23

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Pirenea da sola vagava per l'oscura foresta, vergognandosi di quello che aveva fatto. Aveva ucciso una povera donna indifesa per uno scatto d'ira, non era una cosa degna di una guerriera. Per questa ragione, strada facendo aveva deciso di lasciar cadere pezzo per pezzo tutte le parti della sua armatura, rimanendo vestita come una donna qualunque. L'unica cosa che non aveva buttato via era la spada, ancora sporca del sangue di Vanitea, perché era l'unico modo che aveva per ritrovare Soccante.
Pirenea era persa, non sapeva più chi fosse, sentiva che quella foresta maledetta si era presa tutta la sua personalità, pezzo dopo pezzo. Lei non era più la stessa persona che era entrata nella foresta, lei non amava più colui che aveva amato entrando lì dentro, lei non si comportava più con la stessa solennità con cui si comportava un tempo e soprattutto, lei non sentiva più di essere una guerriera, non riusciva a ritrovare la forza della donna che aveva ucciso quel cinghiale a mani nude.
Così, spoglia di tutto quello che la identificava, tranne che della sua spada, coi capelli banalmente sciolti e arruffati che le ricadevano attorno al volto, lei seguiva la direzione che il cuore le indicava quando teneva la spada alta davanti ai suoi occhi.
Pirenea avanzava e avanzava. Era giorno e la foresta era tranquilla. Nessun pericolo le sembrava incombere, ma non per questo si sentiva tranquilla. Cammina e cammina, ad un certo punto la guerriera entrò in una bella radura verdeggiante, dove il sole filtrava tra le foglie e proiettava una luce verdastra. La guerriera si fermò un attimo a guardare quello spettacolo, meravigliata.
Poi, un ramo secco scricchiolò da qualche parte nel folto della foresta e, più per abitudine che per altro, Pirenea si accovacciò dietro un grosso masso ricoperto di muschio che stava lì vicino. Con la mano stretta all'elsa della spada e gettando ogni tanto degli sguardi alle sue spalle, la guerriera rimase in attesa.
Poi, come in un sogno, un maestoso cavallo bianco con delle grandi ali sul dorso apparve nella radura, circondato da scoiattoli e uccellini, che gli davano un non-so-che di fiabesco. Il suo manto candido non era sporco, cosa molto strana, visto che viveva nella foresta, ma Pirenea non aveva bisogno di avvicinarsi per sapere che quella creatura era magica. Con passo tranquillo e maestoso, l'animale avanzò nella radura, brucando l'erba, che sembrava ancora più verde, ora che lui era apparso.
Pirenea dimenticò ogni cautela e, silenziosamente, si alzò in piedi, con la spada incrostata di sangue che pendeva smorta dalla sua mano e i vestiti sporchi che giacevano come lembi sulle sue spalle. Con passo lento si avvicinò al cavallo alato, con aria sognate. Voleva toccarlo, accarezzarlo, baciarlo. Quando però si fu avvicinata di alcuni passi, il cavallo si accorse della sua presenza e, vedendo la spada che aveva in mano, alzò la testa e nitrì, minaccioso.
A quel suono tutti gli animali che lo accerchiavano scapparono via squittendo e sparirono nella foresta. Pirenea era davanti al cavallo e non sapeva cosa fare. la creatura la guardava con fare altezzoso e minaccioso, il suo sguardo la percorreva, giudicando ogni centimetro della ragazza. Pirenea si sentì a disagio di fronte a quello sguardo. Poi, come se nulla fosse, il cavallo alato si voltò e fece per andarsene.
"No, fermo!" disse lei, ma il cavallo non si fermò "Pegaso!" a quel nome, la creatura si fermò e si girò nuovamente a guardarla.
"Sei tu, Pegaso, giusto?" lui mosse leggermente la testa facendo ondulare la criniera lucente.
"Io non voglio farti del male" Pronunciando quelle parole, Pirenea si rese conto che aveva ancora la spada in mano, quindi la rimise nel fodero.
"Ma ho bisogno del tuo aiuto" Pegaso rimase immobile "sto cercando una persona, una persona che amo, o meglio, che amavo" Pirenea azzardò un passo avanti, ma qualcosa nello sguardo del cavallo le disse che era meglio se rimaneva dov'era.
"Tu sei forte, veloce e voli! Io so come ritrovarlo, ma ho bisogno di una mano da parte tua perché da sola non sono abbastanza veloce per inseguirlo" Pegaso scalpitò spazientito e fece per andarsene.
"No, ti prego!" gridò lei e la voce le si spezzò.
Il cavallo la scrutò con interesse. Una lacrima scese lungo la guancia di Pirenea.
"Ti prego" ripeté lei, disperata.
Per la prima volta nella sua vita, si sentì vulnerabile e debole, le sue ginocchia cedettero e cadde a terra, accovacciata, singhiozzando e piangendo.
"Non ho niente da offrirti, ho perso tutto" sì, confermo che disperazione è l'aggettivo corretto per definire lo stato d'animo di Pirenea in quell'istante.
"Io non so più chi sono, non ho più niente, sono solo un guscio vuoto e vulnerabile. L'unica cosa che mi consente di andare avanti è questa missione, ma sento che anche questa sta superando le mie capacità" Pirenea stava piangendo.
Quella foresta le aveva preso tutto e lei lo stava realizzando appieno solo in quel momento. Pegaso però, sacro animale che riusciva a scrutare la bontà anche nelle anime più buie, capì che quella ragazza aveva davvero bisogno di lui e, piano piano, si avvicinò a lei e appoggiò il muso sulla sua spalla. Il soffio caldo e confortante del cavallo fece alzare lo sguardo di Pirenea, che con gli occhi lucidi e con una nota di speranza nella voce, gli chiese:
"Quindi mi aiuterai?" per tutta risposta, Pegaso si abbassò, invitandola a salirle in groppa.
"Oh grazie Pegaso, grazie mille!" si alzò in piedi e gli salì in groppa.
"E ora che succe...?" Pirenea non fece in tempo a finire la domanda che Pegaso spalancò le sue grandi ali angeliche e spiccò il volo, rompendo il muro di foglie che li sovrastava e librandosi nel cielo in tutto il suo splendore.

La lira di ApolloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora