"Stai bene?" le chiese il suo salvatore.
"Sto bene grazie" rispose Pirenea.
La guerriera si mise seduta. Era sopra una specie di zattera, che navigava spinta dalla corrente. Era scheggiata e in alcuni punti imbarcava acqua.
"Chi sei?" gli domandò.
"Io sono Ambrosio, un satiro della foresta" rispose lui, poi guardò timoroso l'elsa della spada di Pirenea "tu non hai intenzione di uccidervi vero?"
"Certo che no, perché dovrei, mi hai salvata!" esclamò Pirenea, sorpresa.
"Grazie agli Dei, tutte le persone che ho incontrato in queste ultime settimane hanno provato ad uccidermi."
"Io sono Pirenea" disse lei "sono una guerriera del regno di Animalia, o almeno lo ero, poi ho fatto una cosa molto brutta e ho rinunciato al mio titolo."
"Perché i centauri ti davano la caccia?" domandò Ambrosio, con interesse.
"È una lunga storia" rispose lei "dove sei diretto?"
"Al meraviglioso regno di Plantea, dove spero di incontrare un amico."
Fu così che Pirenea e Ambrosio si conobbero. Nessuno dei due era stanco e passarono l'intera notte a parlare della loro avventura, raccontando a cuore aperto tutto quello che avevano vissuto. Pirenea fu ben sorpresa di scoprire che Ambrosio e il suo amico avessero trovato la lira e quando il satiro le parlò della bellezza della donna che li aveva aggrediti, esclamò:
"Ma non è possibile, quella donna si chiama Vanitea e io l'ho uccisa!"
"Forse è successo dopo che lei ha incontrato noi" ipotizzò Ambrosio.
"Già, forse" sussurrò lei poco convinta "continua la tua storia."
Ambrosio raccontò di come non era riuscito a controllare la sua paura nell'affrontare Cerbero e di come si era tragicamente conclusa la vicenda.
"Ho perso i due remi, il cibo e Neofante... pensavo fosse morto ma poi una naiade mi ha detto che si erano baciati sott'acqua, strano vero? Mi ha detto che era vivo e che si dirigeva verso Plantea." Concluse lui.
"È terribile" sospirò Pirenea "quindi questo flauto magico alimenta le tue emozioni e le fa risentire alla natura circostante?"
"Sì, ma ormai non oserò più usarlo, che senso ha sconfiggere un nemico se nel farlo si perde un amico? Sono troppo codardo per poter usare uno strumento così potente" disse il satiro, sconsolato.
"Forse ti sbagli" disse la guerriera "sai, avere paura è una cosa normale, una cosa che tutti noi proviamo in continuazione. La codardia non sta nell'aver paura, ma nel non reagire quando la si prova. Anche la paura può essere sconfitta, basta solo non lasciarsi andare."
Ambrosio si voltò un attimo, mentre una lacrima gli scendeva dalla guancia.
"Raccontami la tua storia" disse quando si fu ripreso da quelle belle parole e lei lo fece.
Lei gli aprì il suo cuore e gli raccontò tutto quanto, senza escludere nessun dettaglio. Per la prima volta la guerriera si sentiva a suo agio nel parlare di tutto con qualcuno. Alla fine del racconto, il satiro era sconvolto.
"Hai incontrato Cleopas, il ladro più abile della foresta, Barsabas, il nano più crudele delle terre dei Pigmei e il grande Chirone, rinomato per essere il più perfido tra i sovreani, come caspita sei sopravvissuta tanto a lungo?" Pirenea si mise a ridere di gusto.
Sapeva di dover continuare la sua ricerca, ma il suo cuore le diceva che Ambrosio aveva bisogno del suo aiuto per ritrovare Neofante.
"Verrò con te a Plantea" decise "ti aiuterò a trovare il tuo amico ma alla fine io riprenderò la mia strada e andrò alla ricerca del principe Soccante e dello stregone Cleopas" Ambrosiò esultò, felice di aver trovato una nuova compagna di viaggio.
Il resto della notte e la mattina seguente si diedero più volte il cambio per dormire e fare da vedetta. Era circa mezzogiorno quando la zattera dovette attraversare una gola molto alta e molto stretta. Appena entrarono nel corridoio, si accorsero che la corrente era più forte e il fiume era pieno di rocce che fuoriuscivano dall'acqua, molto appuntiti. La nebbia iniziò a calare dall'alto come se qualcuno la versasse loro addosso dalla cima della gola. Ben presto i due avventurieri si trovarono a non vedere nulla. Intanto la corrente li spingeva sempre più forte e la zattera rimbalzava con violenza contro i massi che sporgevano.
"Che cosa possiamo fare?" esclamò il satiro, sconvolto e spaventato.
"Morire" sussurrò una voce al suo orecchio, ma talmente piano che ad Ambrosio era sembrato il soffio del vento.
"Chi va là" esclamò Ambrosio "Pirenea sei tu?" ma la ragazza non rispondeva.
"Pirenea dove sei?" gridò ancora lui ma in tutta risposta sentì solo un singhiozzo soffocato.
"Lei non ti aiuterà" sussurrò di nuovo quella voce.
"Stai lontano da me qualunque cosa tu sia" disse Ambrosio.
"Nessuno può aiutarti" continuò la voce misteriosa "perché sei un codardo."
"Smettila!" esclamò Ambrosio.
"È per questo che pure Neofante ha preferito andarsene piuttosto che cercarti."
"Chi sei, mostrati!" il satiro si guardava attorno, con i pugni stretti, ma non vedeva niente e nessuno.
"Eccomi" sussurrò la voce malignamente e questa volta ad Ambrosio sembrò di riconoscerla.
Il satiro si voltò, di fronte a lui c'era Ade nel corpo del solito guerriero che ancora possedeva. Il satiro gridò spaventato e cadde a terra.
"Hai paura di me" gli disse Ade "hai ragione ad averne, infondo come pensi di affrontarmi senza il tuo amico Neofante?"
Ambrosio strisciava all'indietro, sulla schiena, con gli occhi incollati sulla figura di Ade.
"Forse, se quel giorno dopo il naufragio tu lo avessi cercato anziché scappare spaventato sulla tua piccola e insulsa zattera, ora sareste ancora insieme."
Il satiro picchiò la schiena contro qualcosa di soffice mentre indietreggiava, si voltò e vide che era Pirenea, che piangeva disperatamente, rannicchiata su sé stessa, col viso tra le ginocchia.
"Così mi fai male... per favore basta papà" sussurrava lei.
"Ma c'è una ragione se non lo hai cercato" continuò Ade, maligno "avevi paura che Cerbero potesse scovarti, allora te ne sei andato... codardo."
Ambrosio si accorse che stava piangendo, ma nella sua disperazione capì una cosa importante. Pirenea, che era accanto a lui, non vedeva Ade, ma qualcos'altro.
"Tu non sei reale" mormorò.
"Eccome se sono reale Ambrosio, non puoi ignorare la realtà, sei solo un piccolo satiro disgustoso. Non meriti quel flauto, che apparteneva a tuo padre, lui sì che lo sapeva usare, non come te che ti lasci trasportare dalla paura e scappi a gambe levate appena ne hai l'occasione. Il mondo dovrebbe essere formato da più persone coraggiose come tuo padre o come Neofante e se tu avessi ancora un briciolo di dignità capiresti che l'unico modo che hai per migliorare il mondo è quello di buttarti in questo fiume e farla finita."
Ambrosio si mise in piedi di scatto e si scaraventò contro Ade ad occhi chiusi, ma non successe nulla. Proprio nulla, Ambrosio non si scontrò con lui e quando aprì gli occhi, lo vide proprio nello stesso punto in cui era prima.
"Ma guardati" gli disse Ade girandosi verso di lui "reagisci per rabbia, non per coraggio, proprio come fanno i deboli di cuore come te."
"Finiscila!" esclamò Ambrosio, con gli occhi lucidi e le guance rigate dalle lacrime.
Ora ne era sicuro, il suo avversario non era fisicamente lì e tutto quello che succedeva era nella sua testa. Capì che probabilmente la colpa era di quella nebbia, forse una nebbia stregata. Afferrò il suo flauto, ma prima di portarselo alle labbra esitò un momento di troppo.
"Che succede Ambrosio? Hai paura?" gli disse Ade.
"Oh sì che ha paura" disse una seconda voce dietro il satiro.
Ambrosio si voltò e per poco non fece cadere il flauto.
"Neofante" sussurrò.
L'amico lo stava guardando con un ghigno antipatico sul viso.
"Tra noi due non sei mai stato tu quello coraggioso" gli disse "sei un codardo Ambrosio ed ero tuo amico solo per non sentirmi solo, ma chi vorrebbe un amico che ti abbandona come tu hai abbandonato me?"
"Perché ti ho dato quel flauto?" aggiunse una terza voce.
Un vecchio satiro era apparso dal nulla alle spalle di Neofante e Ambrosio riconobbe suo padre "Avrei dovuto portarmelo nella tomba, è solo un pericolo nelle tue mani, solo gli Dei sanno perché l'ho dato a un codardo come te."
Per Ambrosio questo era troppo e si accasciò in ginocchio, piangendo a dirotto.
"Troppo codardo" sussurrò Ade al suo orecchio.
"Troppo piccolo" disse Neofante.
"Troppo debole" concluse suo padre, deluso.
"Smettetela vi prego" sussurrò Ambrosio con voce rotta.
Poi qualcuno gli afferrò la mano e il satiro alzò lo sguardo, incontrando il volto disperato di Pirenea.
"Fai qualcosa, ti scongiuro usa il flauto, non ce la faccio più" gli mormorò.
Come un piccolo barlume di speranza, Ambrosio rafforzò la presa sul flauto e se lo portò alle labbra, ma non suonò. Nella sua mente si ridisegnò chiaramente quello che era successo l'ultima volta che aveva suonato. Rivide il temporale, le onde, Neofante che sott'acqua perdeva la presa sulla zattera e tutto il resto.
"Ti prego" sussurrò ancora Pirenea.
Ambrosio prese un grande respiro. Pirenea aveva ragione, i codardi non sono coloro che hanno paura, ma coloro che smettono di combattere perché hanno paura. Lui aveva paura e i suoi peggiori timori lo stavano tormentando, ma doveva reagire. Doveva farlo per Neofante, che si era perso per colpa sua, ma anche per Pirenea che soffriva lì accanto a lui, doveva però soprattutto farlo per sé stesso.
Una melodia, di quelle che ti scaldano il cuore quando le ascolti, uscì dal flauto. Ambrosio aprì gli occhi e si guardò attorno. La zattera era accerchiata da un alone di luce dorata, che brillava come il sole. Era uno scudo che la proteggeva dalla nebbia che le stava intorno. Pirenea accanto a lui alzò lo sguardo, si asciugò le lacrime, e abbozzò a un sorriso. Pure la corrente del fiume ora li trattava con più gentilezza e faceva schivare loro i massi che emergevano dalle acque.
Ambrosio non smise un attimo di suonare e Pirenea non smise un attimo di ascoltarlo, estasiata da quella melodia. Poi, finalmente uscirono dalla gola e se la lasciarono alle spalle insieme a quella mostruosa nebbia. Ambrosio smise di suonare, l'alone dorato svanì e tutto ridivenne come prima.
Procedettero in silenzio per il resto del pomeriggio, a nessuno dei due andava di parlare di quello che avevano visto, ma nonostante questo, Pirenea fece i complimenti ad Ambrosio per il coraggio che aveva dimostrato e per la melodia che aveva suonato e questo lo fece stare un po' meglio.
Era circa il tramonto quando la corrente si fece più forte e i due amici si accorsero che il verso di un inusuale uccello strideva nell'aria.
"Non mi sembra di aver mai sentito un uccello che facesse questo verso" disse il satiro.
"È un gabbiano" esclamò Pirenea "siamo vicini al mare, questo significa..."
"Che la corrente si è fatta più forte perché siamo vicini a una cascata?" domandò Ambrosio, preoccupato.
"Beh sì, ma significa anche che se guardiamo verso Ovest potremo vedere i muri del regno di Plantea!"
Entrambi volsero lo sguardo in quella direzione. Non videro molto perché avevano il sole che tramontava piantato negli occhi, ma ecco che d'un tratto la foresta sembrò finire e poco dopo videro un immenso muro scuro disegnarsi in controluce davanti a loro.
Ambrosio non aveva mai visto una città umana e rimase sorpreso nel quanto possente potesse sembrare. Quel muro era immenso, tanto alto che secondo lui solo un gigante avrebbe potuto costruirlo, ma con molta pazienza Pirenea gli spiegò che gli umani disponevano di attrezzi per fare costruzioni elaborate e che avevano imparato a proteggersi dai pericoli con il materiale che trovavano nella natura. Mentre scendevano dalla zattera e la trascinavano sulla riva, Ambrosio le disse che non si aspettava che gli umani sapessero fare tante cose.
"Voi avete il potere di trasformare cose in altre cose più complesse, ma perché Neofante non me l'hai mai detto!"
"Non è proprio così" lo corresse Pirenea.
"Avresti potuto prendere un po' d'acqua dal fiume e trasformarla in cibo" le disse Ambrosio a mo' di rimprovero "almeno oggi avremo potuto mangiare qualcosina."
"Non funziona così" disse lei.
"So che voi umani fate una cosa che si chiama formaggio, potevi crearmelo."
"Il formaggio si fa col latte non con l'acqua" sospirò Pirenea, spazientita.
"Affascinante" mormorò il satiro "e che tipo di incantesimo gli fate?"
Pirenea non si degnò di rispondergli e i due si incamminarono lungo le mura della città, mentre Ambrosio le chiedeva come mai avevano bisogno di un muro tanto alto se gli umani erano tanto piccoli.
"Non possono nemmeno affacciarsi per guardare la foresta" diceva.
Ma ecco che una cosa inaspettata successe nel regno, al di là dell'enorme muro. Il sole era appena calato del tutto quando un ululato squarciò il silenzio. Con orrore, Pirenea vide in lontananza un gruppo di esseri mostruosi che usciva dalla boscaglia e si dirigevano verso le porte della città.
"Lupi mannari!" esclamò Ambrosio, con un brivido.
"Zitto e stai nascosto nell'ombra" gli disse Pirenea, sovrastando il rumore delle campane che scuotevano la città per avvertire dell'attacco, ma era troppo tardi.
I lupi avevano un udito sopra sviluppato e uno di loro, un mostro alto almeno due metri, li aveva sentiti. Si staccò dal branco, correndo dritto nella loro direzione.
Pirenea afferrò l'elsa della sua spada, che spuntava dalla sua schiena, la sfoderò e corse in direzione del lupo. I suoi artigli scintillarono, ma lei parò i suoi colpi e lo ferì a una zampa. Schivò un'altra zampata, buttandosi proprio tra le sue zampe posteriori che, come un umano, usava per stare in piedi in posizione eretta. Il licantropo non ebbe il tempo di voltarsi, che lei gli piantò la lama nella schiena.
Prima ancora che toccasse terra, il lupo era ridiventato umano e un uomo nudo si accasciò a terra morto. Pirenea estrasse la spada, la cui elsa iniziò a brillare di rosso con più vigore del solito. Con il solito piacevole calore che le risaliva lungo il braccio, la guerriera disse:
"Soccante è qui vicino, devo andare!"
Si mise a correre in direzione delle porte della città e Ambrosio la seguì senza pensarci due volte.
Arrivarono ai grandi portoni, che erano spalancati, e assistettero alla scena più orripilante che avessero mai visto. Una battaglia infuriava in una piazza, ma era molto più simile a un massacro che a una battaglia, perché gli umani non potevano reggere il confronto con i licantropi e venivano dilaniati, sbranati e scuoiati vivi da questi.
Ma Pirenea distinse qualcuno nella folla, qualcuno che aveva una lira in mano e che teneva lontani i lupi mannari a forza di incantesimi.
"Cleopas!" esclamò infuriata e si buttò nella mischia nella sua direzione.
Ambrosio stava giusto chiedendosi se dovesse correrle dietro o no, che un fulmine nero e oro illuminò la scena alle sue spalle e con un'esplosione terrificante che lo fece cadere a terra, una parte del muro della città esplose accanto a lui. Si rialzò in piedi a fatica e riconobbe in lontananza le figure di Ade e Cerbero che camminavano nella direzione della città.
Il satiro si rimise in piedi e con un moto di coraggio, si stagliò di fronte al Dio della Morte, pronto ad affrontarlo pur di non farlo entrare nel regno. Prese il flauto e iniziò a suonare una melodia, era una specie di richiamo, di richiesta d'aiuto diretto alla foresta, ma Ambrosio poté suonare solo poche note, che con un pigro gesto della mano, Ade lo scacciò come si scaccia una mosca d'estate e gli fece fare un terribile volo al di sopra della folla di combattenti. Ambrosio si schiantò contro il campanile e urlò di dolore.
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La lira di Apollo
FantasyUna principessa in pericolo, un antagonista malvagio, un improbabile eroe e un avventuroso viaggio in una foresta maledetta. Sembra l'inizio di una fiaba per bambini, vero? Beh, ricredetevi perché questo racconto non è una fiaba e di certo non va ra...