Capitolo 45

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Con gli occhi serrati per la paura, Ambrosio aspettava solo il momento in cui tutto quanto sarebbe finito, ma quel momento non era ancora arrivato perché la testa di Cerbero lo lasciò improvvisamente andare, facendogli fare una caduta di diversi metri. Atterrò bruscamente a terra, non capiva perché il mostro gli avesse concesso la grazia finché non lo sentì guaire di dolore. Il satiro non si voltò nemmeno a guardare cosa gli fosse successo e si fiondò su una piccola sagoma scura poco lontano da lui: il suo flauto.
Una volta che lo ebbe in mano, se lo portò alla bocca e si voltò verso Cerbero, pronto ad usarlo ma quello al momento era occupato da cose più importanti. Una sagoma bianca gli correva a velocità pazza tra le zampe e lo colpiva con forza e precisione, facendolo guaire dal dolore. Ambrosio capì che si trattava di un licantropo, ma doveva essere uno di quelli molto feroci se osava attaccare una creatura immensa come Cerbero senza l'aiuto del suo branco. Un altro particolare sorprese il satiro: il licantropo aveva una cintura stretta attorno alla vita e una spada pendeva in un fodero riccamente ornato.
Fatto sta che i colpi del lupo mannaro erano talmente violenti che Cerbero alla fine dovette arrendersi e, con l'enorme coda tra le gambe, scappò via uggiolando, saltando Ambrosio come fosse un ostacolo e correndo in direzione della battaglia e del suo padrone. Si vedeva che il licantropo volesse seguirlo a corsa, ma appena sentì l'odore del sangue che usciva dalla zampa ferita di Ambrosio, sembrò cambiare idea e si fermò a pochi metri da lui.
"Da bravo, segui Cerbero, è una preda più succulenta, non trovi?" gli sussurrò il satiro con voce tremante, mentre il licantropo gli si avvicinava ringhiando "mi hai salvato la vita poco fa, non voglio farti del male."
Il lupo però scattò in avanti con gli artigli pronti ad affondare nella sua carne, quindi dovette reagire d'istinto. Soffiò forte nel suo flauto e successo la stessa cosa che era successa nel campo di battaglia. Nonostante nessun suono uscisse dallo strumento, il licantropo si afferrò entrambe le orecchie con le zampe e guaì selvaggiamente. Ma il satiro non si lasciò per vinto e continuò a soffiare nello strumento finché il licantropo non dovette arrendersi e scappare, seguendo la direzione che aveva preso Cerbero.
Quando Neofante finalmente smise di suonare, il licantropo era già lontano e finalmente poté tirare un sospiro di sollievo. Si guardò la gamba ferita, non aveva un bel aspetto, aveva un grosso buco corrispondente ad uno dei denti di Cerbero a livello della coscia. Per fortuna la ferita, per quanto brutta fosse, non sanguinava molto e Ambrosio, trovato un panno appeso fuori dalla finestra di una casa, probabilmente lasciato lì ad asciugare, si fece uno stretto bendaggio. Si alzò in piedi e, zoppicando, si avviò nella stessa direzione in cui Cerbero e il lupo mannaro erano spariti.
In piazza, intanto, dove la battaglia tra lupi mannari ed umani infuriava, Pirenea era a carponi e cercava disperatamente la spada che le era caduta di mano, da qualche parte tra folla. Ogni guerriero è molto legato alla sua spada, questo è vero, ma lei non la stava cercando disperatamente solo per questo motivo. Certo, la sua spada era stata la sua salvezza e la sua migliore amica nell'ultimo mese, ma ciò che la legava tanti alla sua arma era il fatto che era magica e che un pezzo di lei ci vivesse dentro.
Mentre lei era alle prese con questa ricerca, qualcuno le era sgusciato alle spalle ed era pronto a colpirla. Si trattava di uno dei nani di Barsabas, che aveva scoperto il suo segreto, ossia che era lei ad avere il bracciale magico che loro cercavano. Il nano aveva appena sollevato la spada, pronto a sferrare un colpo letale, che successe qualcosa di molto strano.
Una freccia sibilò nell'aria, sfiorò l'orecchio di Pirenea e arrestò la sua corsa nel corpicino del nano, che fece un volo di un paio di metri per la forza dell'impatto. La guerriera si girò e capì subito che quella freccia errante non era stata destinata a lei, ma a salvarle la vita. Allora alzò lo sguardo per vedere chi fosse stato a scagliarla.
Una pioggia di frecce cadde sulla folla, abbattendo alcuni licantropi e ferendone altri. Pirenea vide una trentina di centauri sulla soglia della città e riconobbe il gruppetto che le dava la caccia per la fuga da Chiratide. A dirla tutta si sentì un po' sollevata nel vederli così numerosi e ben armati. Equimante, in testa al gruppo, diede l'ordine di attaccare e tutti i centauri rimisero l'arco in spalla, sfoderarono le spade e si buttarono nella mischia. Gli umani, prima sorpresi dal loro arrivo, ora capendo che si trattava di alleati e non di nemici, lanciarono un grido di battaglia e ricominciarono a lottare con foga per respingere i licantropi. Ma anche con l'aiuto dei centauri, i lupi mannari non indietreggiarono, perché la dove chiunque avrebbe visto un pericolo incombere, loro vedevano solo altra carne da divorare.
Pirenea si guardò intorno e vide che la battaglia era al culmine della furia e tutti i duellanti lottavano per uccidere. Equimante le si parò di fronte con un sorriso a trentadue denti.
"Sorpresa di vedermi mia dolce margherita? Sai, in realtà eravamo da tutt'altra parte, il tuo artificio per depistarci ha funzionato alla grande e mi ha fatto innamorare ancora di più di te, se questo è possibile" Pirenea sentì lo stomaco gorgogliare di disgusto "quando abbiamo trovato Euclidea, lei ci ha assicurati che tu eri diretta a Nord e noi abbiamo seguito quella falsa pista, poi però qualcuno ha mandato un richiamo d'aiuto che ha percepito tutta la foresta. In realtà non si è trattato che di poche note suonate da quello che poteva sembrare un clarinetto magico, ma comunque ti assicuro che l'hanno sentito tutti quanti! Abbiamo capito che se c'erano guai da qualche parte, di sicuro là in mezzo c'eri anche tu; quindi, abbiamo galoppato per ore ed eccoci finalmente arrivati."
"Non posso dire di essere felice di vederti Equimante" commentò Pirenea "ora devi farmi un favore e prestarmi il tuo arco e tre frecce"
"Spero non siano destinate a me!" esclamò sorridendo e consegnandole quanto richiesto.
Il centauro la vide scagliare le tre frecce in un luogo indefinito e, riconsegnatogli l'arco, lei gli spiegò che aveva perso la sua spada in battaglia e che doveva assolutamente ritrovarla. Il centauro le disse che l'avrebbe aiutata a cercarla ma che, appena trovata, sarebbe dovuta tornare a Chiratide con lui. Pirenea non ne aveva la minima intenzione, ma accettò, sperando di riuscire ad approfittare del caos della battaglia per fuggire, così prese una spada da una guardia morta lì vicino e si mise alla ricerca, respingendo alcuni nemici. Fortuna volle che ben presto lei ed Equimante furono separati dai duellanti, così per un po' non dovette più pensare al problema di come fuggire senza farsi notare da lui.
Torniamo però a Ade, che stava usando la magia per strangolare Neofante. Il ragazzo annaspava in cerca d'aria e fissava i diabolici occhi del suo nemico, mentre lui sorrideva beatamente mentre lo guardava morire. Con le mani, Neofante tastava il tetto spiovente attorno a sé in cerca di qualcosa che potesse usare contro il Dio.
Con una mano afferrò l'elsa della spada che aveva preso in battaglia, ma sapeva che non avrebbe mai potuto battere Ade con quella perché il Dio era immune a qualsiasi arma priva di magia. Il ragazzo però ebbe un lampo di genio, gli serviva un'arma soprannaturale e lui ne aveva una! Ercolea, infatti, alcune ore prima gli aveva regalato un pugnale forgiato con l'artiglio di un'arpia. Mentre la mente gli si annebbiava per la mancanza di ossigeno, lasciò l'elsa della sua spada, afferrò il pugnale che gli pendeva dalla cinta e si lanciò contro Ade.
Quello però fu più rapido e gli afferrò il polso prima che lui potesse pugnalarlo.
"Interessante" disse "questo è l'artiglio di Aello, vero?"
Sfilò con cura l'arma dalla mano e di Neofante e, con un gesto rapido la incenerì davanti ai suoi occhi.
"Meglio ridarlo al suo proprietario, non sei d'accordo?"
Era la fine, Neofante sentiva che stava per soccombere, ma ecco che dal nulla tre frecce, una dopo l'altra, trafissero Ade, che, sorpreso, interruppe lo strangolamento del ragazzo. Con difficoltà si estrasse le frecce dal fianco, mentre Neofante riprendeva aria. Il ragazzo sapeva di dover assolutamente agire mentre lui era ancora distratto e decise pertanto di fare una delle ultime cose che ci si aspetterebbe.
Corse incontro al Dio della Morte e, prima che lui potesse vederlo o capire cosa volesse fare, lo placcò. Insieme rotolarono giù dal tetto, stretti l'uno all'altro in una morsa fatale. Fecero una serie di capitomboli, finendo poi col fare un volo di diversi metri, prima di atterrare per terra tra i combattenti. A questo punto Ade rotolò più lontano nella folla e Neofante sentì un calore improvviso inondargli il braccio sinistro e un dolore lancinante percorrergli tutto l'arto. Se l'era rotto e ora gridava per il dolore.
Parliamo un po' di Filomena e di quello che Dimitrea le aveva fatto. Bisante stava guardando con orrore la megera e il suo pugnale insanguinato.
"L'hai uccisa!" esclamò, col cuore pieno di dolore.
Quella sembrò sorpresa e fece correre lo sguardo dal re alla principessa, poi al suo pugnale, infine alle tracce di sangue sulla parete e capì perché Bisante aveva reagito in quel modo; dunque, scese dal letto di Filomena gli disse:
"Tranquillo, non ho ancora avuto il tempo di sfiorarla, ma grazie per esserti presentato alla festa, così potrò uccidere padre e figlia in un colpo solo!" il sottile pugnale insanguinato brillava nella sua mano.
Bisante tirò un sospiro di sollievo e vide una cosa che gli era sfuggita entrando nella stanza poco prima: una delle ragazze che faceva a turno per dare le cure a Filomena era inerme, stesa a terra in un angolo. Il sangue sulle pareti doveva essere il suo.
"Perché stai facendo tutto questo?" le domandò Bisante.
"Vendetta!" disse lei.
"Tu menti" sussurrò l'altro "uno di noi due questa sera morirà, quindi perché continuare a mentire?"
Dimitrea sghignazzò.
"E va bene" gli disse "non serbo rancore verso Filomena perché rinchiudendomi nelle segrete mi ha concesso di lavorare sui miei progetti e di farmi avere delle visioni degne di questo nome."
"Quindi cosa vuoi da mia figlia?" domandò Bisante.
"Una visione mi ha rivelato che il suo primo figlio avrebbe potuto prendere due strade nella vita: quella del male e quella del bene. Il pargolo, che avrà dei poteri straordinari, scegliendo la prima strada condannerebbe alla rovina gli Dei. Se questo dovesse succedere, io potrei finalmente distruggerli e prendere il loro posto. Però, se il bambino dovesse intraprendere la seconda strada, sarei io quella condannata!"
"Allora perché uccidere Filomena se suo figlio potrebbe servire ai tuoi maligni scopi?" chiese il re, sorpreso.
"Perché temo che se dovesse vivere in un ambiente come la corte di un regno, i suoi valori morali mi si ritorcerebbero contro" disse Dimitrea "togliendo la madre di mezzo, estirpo il problema alla radice."
"Che mi dici di Pitone?" Bisante stava temporeggiando, ma anche lui non ne sapeva bene il motivo.
"Ricordi sicuramente che ti chiesi di portarmi un'erba nella mia cella tempo fa" disse la megera e il re si accorse che aveva smesso di dargli del voi ora che non aveva più bisogno di lui.
"Certo" rispose lui, invitandola a spiegarsi meglio.
"Era un ingrediente fondamentale per un lungo e complesso incantesimo destinato a farmi diventare sua padrona. Poco fa ho finalmente terminato il sortilegio e ora Pitone mi sta cercando in giro per tutto il castello, proprio come un cane cerca il suo padrone."
"Avevi pensato a tutto quanto" constatò Bisante, che aveva capito di essersi fatto prendere in giro per tutto quel tempo.
"Come ti ho già detto, ho avuto molto tempo a disposizione per meditare nell'ultimo mese, chiusa nella mia cella" Dimitrea lo guardò intensamente poi aggiunse "ora però basta parlare e affrontami perché come hai detto tu, uno di noi due sta per morire."
Lei gli si scaraventò contro col pugnale alzato e ingaggiarono un duello. I due anziani cercavano di colpirsi come potevano e la loro lotta durò alcuni minuti. Bisante le fece fare un volo contro il comò che Filomena usava per tenere i trucchi, e lo mandò in frantumi. Dimitrea rispose colpendolo con una gomitata alla gola, che gli tolse il respiro.
Colpisci e vieni colpito ripetutamente in quella terribile lotta, Bisante riuscì a sbattere Dimitrea contro la finestra da cui Filomena osservava il popolo lavorare. Era una delle più alte del castello ed ecco che il re si ricordò che lui aveva una spada; quindi, afferrò l'elsa e fece per estrarla, ma non ci riuscì. Evidentemente la spada si era arrugginita nel fodero ed era rimasta incrostata lì dentro perché il re non l'aveva più tirata fuori da anni.
Tirò con tutte le sue forze, intanto sentì un colpo ventre, ma non si lasciô destabilizzare e finalmente, dopo alcuni lunghi istanti, con un rumore secco, riuscì ad estrarre la spada. Ma quella venne fuori con talmente tanta forza che colpì Dimitrea col piatto della lama, le fece perdere l'equilibrio e la megera cadde fuori dalla finestra. Il re esultò e si affacciò al di là del parapetto, ma proprio in quel momento, Pitone gli passò accanto in picchiata e la prese al volo, prima che toccasse terra. Il mostro, con Dimitrea stesa sulla lunga schiena, sparì nell'oscurità e Bisante sentì per l'ultima volta in vita sua la sgradevole risata della vecchia veggente.
La gioia per la sconfitta che le aveva inferto non durò che un paio di secondi, perché Bisante si accorse quasi subito che qualcosa non andava. Si sentiva debole e un liquido caldo gli bagnava le gambe, allora guardò verso il basso e si accorse con terrore di quello che era successo. Prima di cadere, Dimitrea lo aveva pugnalato al ventre ma lui, pieno di adrenalina per il combattimento e convinto che gli avesse solo tirato un pugno, aveva ignorato il colpo. Ora però un fiume di sangue stava sgorgando impetuoso dalla ferita e gli bagnava i vestiti, creando una pozza ai suoi piedi. Come capita spesso in queste situazioni, a Bisante bastò guardare la ferita per iniziare a provare dolore, si accovacciò a terra mugugnando e fece pressione con una mano su questa.      
Parlando di ferite dolorose possiamo tornare a Neofante, che avevamo lasciato steso a terra nel cuore della battaglia con un braccio rotto. Si rialzò in piedi più in fretta possibile e si guardò attorno cercando Ade. Lo vide poco lontano mentre affrontava due centauri.
Il ragazzo si soffermò un attimo ad ammirare la maestosità di quelle creature che non aveva mai visto, poi si chiese (a ragione, se posso dare la mia opinione) se fossero amici o nemici e cosa ci facessero lì. Neofante decise di allontanarsi da Ade finché era impegnato nella battaglia e, reggendosi il braccio sinistro col braccio destro, si buttò nella mischia, con lo scopo di attraversare il campo di battaglia e sbucare vicino al campanile, dove avrebbe potuto decidere meglio la sua prossima mossa.
Si fece strada tirando spallate a chi aveva intorno, o almeno finché non diede una spinta al licantropo sbagliato. Neofante non lo sapeva, ma si trattava di Soccante che, sentendo la spallata che gli tirò, abbatté il soldato e il centauro che stava affrontando e si voltò di scatto ruggendo. Piu avanti il ragazzo avrebbe descritto quel licantropo dal pelo candido come il più feroce che avesse visto quella sera.
Soccante menò un paio di colpi d'artigli che Neofante riuscì a schivare, ma nel farlo inciampò sul corpo di qualcuno e cadde a terra con una fitta di dolore al braccio. Il licantropo gli si buttò addosso, ma proprio mentre stava per atterrargli con le zanne sulla gola, un centauro venne fuori dal nulla e lo placcò.
"Tutto bene ragazzo? Sembri ferito, io non sono un buon guaritore, ma mi diletto abbastanza bene nell'arte del combattimento... ehmm, aspetta un attimo" Soccante era tornato all'attacco ma questa volta se la stava prendendo col centauro, cercando di colpirlo alla groppa.
Lui scartò agilmente l'attacco e con l'elsa della spada lo colpì sul muso.
"Stavo dicendo, che ho pensato che a Pirenea, l'amore della mia vita, potesse far piacere se salvassi i suoi amici umani in questa battaglia, quindi eccomi! Io sono Equimante figlio di Chir..." In quel momento Equimante dovette evitare un altro attacco di Soccante.
"Facciamo che io tengo occupata questa bestiaccia e ne parliamo più tardi, ti va?" Neofante grugnì dolorante e si rialzò in piedi mentre Equimante e Soccante si colpivano con violenza l'un l'altro.
Anche Ambrosio era giunto nel cuore della battaglia. Per via della sua immensa stazza, aveva subito individuato Cerbero, che se la stava vedendo con due nani, tre centauri e addirittura un licantropo dalla parte opposta della piazza. Per lui non sembrava essere un grosso problema e se ne liberò abbastanza in fretta, ma poi uno stregone gli si parò davanti e iniziò a tormentarlo con incantesimi e maledizioni. Il satiro si domandò se quello non fosse il famoso Cleopas, ma non poteva dirlo con certezza perché lo conosceva solo di fama.
Ciononostante, anche lui aveva avuto il suo bel da fare, perché appena era entrato nel campo di battaglia, due lupi mannari gli erano corsi incontro. Si domandò se per caso i satiri non facessero venire l'acquolina in bocca ai licantropi e nonostante questo dubbio, si portò il flauto alle labbra. Uno dei due aggressori aveva la pelliccia bianca e Ambrosio si domandò se non fosse quello che lo aveva salvato dalle fauci di Cerbero, ma questo non portava una spada al fianco e sembrava in un qualche modo un po' più anziano dell'altro. Si trattava ovviamente di Licaone.
Per fortuna Ambrosio li vide arrivare da lontano e poté suonare il suo flauto magico in tempo. Il primo licantropo, quello dalla pelliccia più scura, mentre correva nella sua direzione, dovette fermarsi di forza. Non riusciva più a muovere i piedi perché erano sprofondati nella pietra, si dimenò come poté, ma ecco che un'altra cosa strana gli successe: la pelliccia si ritirò, scoprendo uno strato di pelle scura e dura; le sue gambe si unirono, le braccia si immobilizzarono, dita e artigli iniziarono a ramificarsi e la sua testa divenne verde ed enorme. Molti dei presenti smisero un attimo di combattere per assistere alla strana ma favolosa trasformazione del licantropo in un melo dal fogliame verde smeraldo e i frutti rossi lucenti.
Licaone invece riuscì ad arrivare un po' più vicino al satiro, ma neanche troppo perché la sua melodia era diventata un po' più rapida e sfrenata e una radice (che penso appartenesse al nuovo melo apparso in piazza) sbucò dal pavimento e gli si attorcigliò attorno alla zampa. Il licantropo volle tagliarla con un colpo degli artigli, ma ecco che una seconda radice gli si serrò attorno alla zampa. Altre radici sbucarono e gli si attorcigliarono attorno tutto il corpo, perfino attorno al muso. Non poté fare molto che si ritrovò innocuamente immobilizzato a terra.
Soddisfatto del suo lavoro, Ambrosio si guardò attorno, cercando forse qualcuno che si congratulasse con lui per come aveva messo fuori gioco due licantropi in un colpo solo, ma tutti avevano ripreso a combattere e nessuno gli fece caso. Ecco che scrutando la folla, vide qualcosa brillare poco lontano, proprio davanti a lui. La riconobbe all'istante: era la lira!
Si fiondò in quella direzione per quanto la zampa ferita glielo permettesse, ma con orrore vide che Vanitea stava facendo lo stesso ed era in vantaggio rispetto a lui. Non avrebbe fatto in tempo ad usare il flauto, dunque decise di agire in un altro modo.
La vide afferrare la lira e portare le dita verso le corde, ma ecco che le fu addosso e prima che lei riuscisse a vederlo, Ambrosio le aveva già strappato la lira dalle mani. Vanitea provò a colpirlo e lui fece la prima cosa che gli venne in mente...
SBANG!
La colpì forte con la lira, rompendole un labbro. Lei si lasciò scappare un gemito di dolore e indietreggiò.
"Fa male, non è vero?" la schernì lui, divertito.
Vanitea lo guardò inferocita e gli si fiondò di nuovo addosso. Chiamatelo spirito di sopravvivenza o dolce vendetta, ma Ambrosio, abituato a salvarsi la pelle suonando strumenti incantati, vedendola arrivare andò in panico e pizzicò una corda della lira. Poi ci fu il finimondo.
Era bastata una nota, una sola nota e la lira aveva cominciato a brillare di una splendida luce dorata che sembrava provenire direttamente dal sole. In quel momento un'onda di luce si era sprigionata e aveva investito tutti i presenti col suo bagliore accecante. Si era riversata su tutta la piazza e in tutta la città facendola brillare intensamente per un paio di secondi. Tutti quanti smisero di combattere. Un suono molto nobile iniziò a invadere l'animo dei presenti e quel suono, proprio come fosse un richiamo naturale e divino, ebbe un effetto miracoloso. Nonostante fosse notte fonda e mancassero ancora diverse ore all'alba, il cielo a Est si tinse di Arancione e il primo spicchio di sole apparve all'orizzonte, nobile e alto, pronto a dare il cambio alla luna.
La luce del sole raggiunse tutto il regno, perfino Filomena, che si trovava ancora nel suo letto, in una delle torri più alte del castello. La sua pelle nera come la pece venne guarita istantaneamente dai raggi del sole. Finalmente, dopo giorni di sonno, aprì gli occhi e con uno sbadiglio si mise seduta.
Guardando fuori dalla finestra vedeva l'alba tingere l'orizzonte. Solitamente non si svegliava mai così presto, ma tanto valeva alzarsi perché quel giorno era di buon umore e sentiva anche una bella vibrazione nell'aria. Poi si guardò attorno e gridò dall'orrore.
Le pareti erano sporche di di sangue, il suo comò era distrutto, i suoi gioielli e i suoi trucchi sparpagliati sul pavimento, c'era una donna morta in un angolo della stanza e altre due fuori dalla sua porta, che era aperta. Sentiva un odore acre e capì che si trattava di fumo, sintomo che c'era anche un incendio da qualche parte nelle vicinanze.
"Ce l'hanno fatta" sentì sussurrare una dolorante voce ai piedi del suo letto "qualcuno ha suonato la lira."
Filomena scese dal letto per capire chi avesse parlato e con orrore vide suo padre, che era seduto a terra accovacciato in una pozza di sangue. Si teneva una mano sul ventre e aveva un rivolo di sangue anche all'angolo della bocca. Il suo viso era pallido, quasi bianco, ma stava sorridendo.
"Per Zeus, cosa vi è successo padre?" esclamò Filomena, accovacciandosi accanto a lui e gridando in seguito "aiuto, il re è ferito, che qualcuno ci aiuti!"
"Filomena, figlia mia, il regno è sotto assedio e non verrà nessuno ad aiutarmi" disse lui debolmente, ma senza smettere di sorridere.
"E la battaglia si è svolta nelle mie stanze mentre dormivo?" domandò lei, riacquistando un po' del suo vecchio sarcasmo.
Bisante si lasciò scappare una mezza risata che divenne ben presto una smorfia di dolore.
"È stata Dimitrea, la veggente che hai fatto rinchiudere nelle segrete" le disse "devi stare attenta, lei ti vuole morta."
Il re si fece forza e le raccontò quello che Dimitrea gli aveva rivelato prima di cominciare il duello. Al che Filomena scoppiò in lacrime.
"Oh padre!" disse senza sapere cosa aggiungere.
"Ti prego Filomena, dammi del tu almeno nei miei ultimi attimi di vita che mi rimangono" mormorò lui, sempre più debolmente.
"Papà io non so che dire... pensavo che volessi liberarti di me dandomi in sposa prima a Soccante, poi ad un qualunque individuo del regno... ma adesso sei moribondo ai piedi del mio letto dopo avermi salvato la vita, non riesco a non pensare che tutto quello che hai fatto era perché mi volevi bene ed io sono stata così superficiale da non essermene mai resa conto!"
"Filomena" le disse lui "io ti ho sempre voluto bene e non devi sentirti in colpa per la mia morte perché adesso che ti vedo guarita posso finalmente tirare un sospiro di sollievo e andarmene in pace."
"Papà!" esclamò Filomena disperata e gli si buttò al collo.
"Sii forte figlia mia, sii forte regina Filomena."
La principessa non sapeva quanto tempo fosse rimasta abbracciata al padre, ma ricordò per sempre il momento in cui se ne staccò e vide i suoi occhi vacui e un mezzo sorriso ancora dipinto sulle sue labbra. La Morte l'aveva portato dalla sua parte e lui l'aveva accolta con serenità. 
Dal canto suo Pirenea stava duellando con Barsabas quando Ambrosio aveva suonato la lira. Avevano interrotto il duello solo per pochi istanti, poi, all'unisono e senza proferire una parola, avevano deciso che a nessuno dei due interessava il miracolo che stava avverandosi e che l'unica cosa che volevano era di continuare il combattimento.
Quando spuntò il sole però dovettero interrompere di nuovo il duello perché in quell'istante, tutti i licantropi si erano ritrasformati in umani e si guardavano sbalorditi l'un l'altro. Licaone dal canto suo, grazie all'aiuto di alcuni suoi alleati, era riuscito a liberarsi dalle radici e ora che era ridiventato umano, si guardava attorno preoccupato. Pirenea vide anche Soccante nudo, in ginocchio in mezzo alla piazza, con la spada appesa al fianco, mentre si guardava le mani inorridito. Il poveretto non ricordava cosa fosse successo quella notte, ma sapeva che doveva aver commesso varie crudeltà.
Per un attimo ci fu un momento di calma generale perché sembrava che non ci fosse più bisogno di combattere, poi però un centauro nella folla gridò:
"Caccia al lupo mannaro!" e mentre tutti i licantropi se la davano a gambe e Licaone trascinava Soccante in piedi, tutti i centauri ancora in grado di correre iniziarono ad inseguirli al galoppo.
La piazza si svuotò in un attimo, lasciando dietro di sé solo i morti, i feriti e coloro che ancora stavano duellando. Tra questi c'erano Pirenea, che aveva ripreso ad affrontava Barsabas, Cleopas che lottava con Cerbero, Ambrosio che si rotolava a terra con Vanitea la quale cercava di strappargli la lira di mano e Ade che voltandosi al suono della lira aveva visto all'ultimo una lingua di fuoco provare a colpirlo e ora lanciava saette dorate contro Pitone, che le schivava con straordinaria abilità mentre Dimitrea si reggeva sul suo dorso come meglio poteva.
Pirenea schivava e parava i selvaggi colpi di Barsabas, faceva roteare la spada e tirava calci, ma il suo avversario faceva lo stesso e scintille scaturivano dallo scontrarsi delle loro lame. Dal canto suo Cleopas faceva il meglio che poteva nell'evitare le tre teste di Cerbero e le sue quattro zampe e se la cavava piuttosto bene, svanendo e riapparendo magicamente alle spalle dell'avversario. Lo colpiva con un incantesimo, quello si girava, lo attaccava e lo stregone ricominciava. Ambrosio e Vanitea si azzuffavano come due bambini per un giocattolo. Le saette di Ade esplodevano in aria come fuochi d'artificio e Pitone rispondeva con enormi lingue di fuoco che il Dio schivava e parava.
Poi ecco che tutto quanto per la prima volta in questa lunga storia virò per il meglio. Con la velocità di una lepre, Pirenea prese il sopravvento nel duello e anziché parare un colpo che Barsabas era sicuro avrebbe parato, lo schivò e menò un colpo secco ma preciso con la sua spada. L'arma di Barsabas cadde a terra e con questa anche la mano che la reggeva. Il nano vide l'amputazione all'altezza dell'avambraccio, poco sotto il gomito, e fece la cosa più naturale di tutte: urlò di tutti i suoi polmoni la sofferenza di quel taglio e cadde a terra sconfitto. Gli altri nani gli vennero in soccorso, lo presero e lo portarono via, fuori dalla città, diretti nella foresta.
Quell'urlo però aveva distratto Cerbero, che, abituato a sentire la gente torturata urlare negli inferi, per un attimo si era sentito a casa, ma ben presto ci si ritrovò anche fisicamente, perché Cleopas aveva approfittato di quell'attimo di disattenzione per lanciare tre rapidi lampi rossi alle tre teste, lo stesso incantesimo che aveva usato contro Licaone la sera in cui aveva salvato Soccante dalle sue grinfie e che avrebbe dovuto ucciderlo. Dato che Licaone era immortale, aveva solo finito col ferirlo, ma siccome Cerbero non lo era, guaì brutalmente e cadde a terra stramazzando. L'enorme cadavere venne assorbito dal terreno, in seguito Cleopas avrebbe giurato che quello non era stato un suo artificio e personalmente gli credo e penso che sia stata opera degli inferi stessi, che ne abbiano richiamato il corpo.
La caduta di Cerbero non passò inosservata da nessuno, in special modo da Ade che fu preso da un attacco d'ira verso Cleopas. Stanco di giocare al gatto e il topo con Pitone, aveva lanciato una raffica di saette una di queste aveva finito col colpirlo. Pitone aveva ruggito di dolore, ma non era morto, e, con ancora in groppa Dimitrea che cercava invano di dargli ordini, se la diede a gambe levate, se questo modo di dire può essere usato per parlare di un serpente alato. In breve tempo scomparve dalla vista di tutti, dirigendosi indomabile verso le grandi montagne del Nord.
Pure Ambrosio e Vanitea avevano smesso la loro piccola rissa per guardare Cerbero soccombere. Solo Neofante non aveva il naso per aria. Il ragazzo infatti era preso da tutt'altra cosa: aveva visto un oggetto strano per terra vicino a lui: si trattava di una spada, ma aveva l'elsa che brillava di rosso..
Intanto Ade si era voltato verso Cleopas e aveva tutta l'aria di volerlo incenerire seduta stante per quello che aveva appena fatto al suo amato e, per così dire, piccolo Cerbero. Aveva alzato una mano in aria prontò a scagliare un'altra delle sue temibili saette dorate (che avevano un'aurea molto più oscura delle ben conosciute saette di Zeus), quando qualcosa lo fermò. Un dolore lancinante gli attraversò il corpo, dalla schiena al petto e il fulmine gli si spense in mano.
Neofante estrasse la spada dal corpo del Dio della Morte e vide con piacere che era sporca di sangue. Ade si voltò sempre con la mano tesa in alto davanti a sé. Guardava Neofante senza capire, poi il suo sguardo si posò sulla spada e sull'elsa che ancora brillava di rosso.
"Una spada magica" biascicò "me la pagherai."
Ma Neofante capì a stento queste ultime parole perché Ade aveva la bocca e la gola piene di sangue. Passarono ancora pochi secondi e il Dio cadde a terra come una bambola di pezza. Finalmente gli inferi riscattarono anche la sua anima e vi posso assicurare che passò molto tempo Laggiù seduto sul suo trono a maledire Neofante e il mondo intero.
Proprio mentre tutto sembrava finito, ecco che qualcuno arrivò in piazza al galoppo e, con gli occhi ancora gonfi dalle lacrime, ma con voce ferma domandò:
"Per Zeus ma che cosa è successo qui?" era Filomena e ora stava smontando da cavallo.
Nessuno seppe bene cosa risponderle e fu Ambrosio a prendere la parola per primo.
"I licantropi ci hanno attaccati, poi è apparso anche Ade con Cerbero che hanno distrutto tutto, ma per fortuna i centauri sono venuti ad aiutarci, poi ho suonato la lira e tutto è finito."
"E tu che diamine sei?" gli chiese Filomena disgustata, facendo correre il suo sguardo dalle zampe caprine, alla lira che teneva in mano.
"Oh io sono Ambrosio, un satiro della foresta" rispose l'altro con un sorriso, evidentemente non aveva percepito il tono di Filomena "e tu chi sei?"
"Ti rivolgi a me come se facessi parte dei selvaggi che abitano la foresta" Ambrosio parve confuso "ebbene sappi che se fossi umano ti farei rinchiudere nelle segrete fino alla fine dei tuoi giorni."
"Va bene" le rispose, interdetto.
"Per il momento mi accontenterò di darti solo un avvertimento e a rompere la promessa fatta da mio padre, memore re Bisante di Plantea, non sposandoti."
"Va bene" ripeté Ambrosio sempre più confuso.
"Re Bisante" disse Vanitea, poi guardò meglio Filomena "tu devi essere la famosa principessa Filomena, la cui bellezza si dice superi quella di qualunque donna.
Si alzò in piedi e le andò pericolosamente incontro, fermandosi vicino al pozzo, ma Filomena non si lasciò intimorire e non indietreggiò.
"Per amor del vero da oggi dovrai rivolgerti a me con l'appellativo di regina" la corresse "pertanto mi duole doverti dare un avvertimento: io non sono una donnaccia del tuo stesso stato sociale; pertanto, rivolgiti ancora una volta alla mia persona dandole del tu e te ne farò pentire a vita."
Ma Vanitea non la stava ascoltando perché troppo intenta ad analizzarla con occhio critico.
"Devo ammettere" disse infine "che le voci su di te sembrano essere più grandi di quello che la tua persona dimostra. Certo, dal tuo orgoglio deduco che tu dai credito alle bugie raccontate sul tuo conto, ma non è colpa tua, infondo sei nata e cresciuta principessa, tutti quanti fin dalla tua più tenera età ti dicevano che eri la bambina più bella del mondo, vero? Immagino che vedermi e compararti a me ti crei moti di gelosia, vista la mia di bellezza, quindi, forse è meglio se mi tiro in disparte..." aveva esagerato.
Filomena andò su tutte le furie e fece la cosa più malvagia che potesse fare in quel momento.
"Ancora una volta provi a metterti sul mio stesso piano, pensando che io sia talmente disperata dal comparare la mia bellezza con quella di una donnaccia di campagna" le disse "ebbene se le cose stanno così, in quanto mia suddita, ritengo di dover correggere questo tuo inspiegato sentimento di superiorità mandandoti nel posto più buio e profondo di questo regno. Lozzo pozzo che la verità non dice a metà, sveglia il tuo potere e fai il tuo dovere."
Inizialmente Vanitea non capì cosa dovesse succedere e fece una risatina di scherno diretto alla regina. Lei dava le spalle al pozzo, perciò fu l'unica presente a non vedere il corpicino pallido della bambina uscirne. Tutti quanti trattennero il fiato e Vanitea, non capendo quel movimento generale della folla, si voltò di scatto, ma le braccia fini e pallide del demone l'avevano già avvinghiata. Nessuno osò, né volle, per dirla tutta, intromettersi mentre gridando e dimenandosi, Vanitea veniva trascinata verso il vecchio pozzo.
"Aiutatemi!" esclamava "cos'è questo essere! Toglietemela di dosso! No, non portarmi nel pozzo! No, no! Filomena aiutami, ti scongiuro, non volevo mancarti di rispetto, mettevo solo in evidenza la verità!"
Si dimenò a lungo, ma inutilmente perché si stancò subito e la bambina, con la forza di un leone affamato, la prese per i capelli e per le vesti e la fece cadere nel buco. Quando finalmente il demone del pozzo finì il suo lavoro e Vanitea sparì completamente oltre l'orlo, la bambina ebbe un tremito che le scosse tutto il corpo. Un'immensa nuvola nera uscì dal suo corpo e venne aspirata dal pozzo. La piccina cadde in ginocchio, riacquistando un po' di colorito sulle guance.
Filomena la guardò sbalordita e lei ricambiò lo sguardo.
"Ci siamo scambiate" disse "ora non sono più io il demone che infesta questo pozzo ma quella perfida ragazza!"
"E tu chi sei?" le domandò Cleopas, stupito.
"Mi chiamo Veritea, sono la figlia illegittima della veggente Dimitrea e di re Bisante. Molti anni fa mia madre mi intrappolò in questo pozzo dopo che un demone aveva preso possesso del mio corpo per colpa di uno dei suoi esperimenti con la magia nera" rispose la bambina "ma oggi, grazie a mia sorella, la regina Filomena, posso dire di essere finalmente libera da questa malvagia stregoneria."
"Un classico" mormorò Cleopas sconcertato, ma nessuno lo sentì.
"Filomena, dovete sapere che non ho perso il mio dono e sono ancora capace di riconoscere tutta la verità. Devo a questo proposito darvi una notizia" disse rivolgendosi alla regina con un inchino, mentre questa la guardava ancora spiazzata "riguarda il sacerdote Smarrante, il padre del bambino che portate in grembo. Quando gli parlaste della vostra gravidanza alcune settimane fa, lui era appena stato maledetto dalla Dea Atena ed era stato costretto alla sordità, quindi, non ha sentito una sola parola di quello che gli avete detto, ma ora la sua maledizione è stata sconfitta dalla musica della lira e potrete parlargliene di nuovo."
Tutti i presenti si voltarono verso Filomena, visibilmente storditi dalla novità della gravidanza. Tutti quanti tranne Pirenea, che aveva recuperato la spada dalle mani di Neofante e ora si era avvicinata a qualcuno che era steso a terra in preda a piccole convulsioni, stretto nella morsa della morte. Si trattava di Equimante, che aveva la groppa ricoperta di sangue, sgualcita di profondi tagli e puntellata di morsi. Era piuttosto evidente che aveva finito col perdere il duello ingaggiato con Soccante.
"Pirenea" sussurrò vedendola accovacciarsi accanto a lui "io temo sia giunta la mia ora, mi mancherai quando galopperò verso gli inferi, ma sappi che ti aspetterò lì finchè Morte non richiami pure te. Ho sempre desiderato che finisse così, caduto in battaglia, potrò rendere finalmente fiero mio padre, ma sai qual è la cosa che preferisco della morte? È che una volta nell'aldilà noi due potremmo amarci seguendo i tuoi tempi e non sarai più costretta a scappare da me perché io aspetterò che tu mi ami come io amo te, che ci voglia l'intera eternità. Ah, come soffro! Ah, come fa male la morte! Ah, che tormento! Ah, che..." Ma Equimante non finì mai la sua frase.
Pirenea non aveva ascoltato una sola parola di quello che il centauro le aveva detto perché era intenta a esaminare le sue ferite. Aveva constatato che erano troppe e troppo profonde e che il centauro aveva già perso molto sangue. Non poteva essere salvato, così aveva deciso di dargli la grazia e lo aveva pugnalato dritto al cuore con la sua spada, sussurrando:
"Mi dispiace Equimante, ma sono contenta di vedere che neanche la Morte sia riuscita a toglierti la tua irritante parlantina."
Pirenea si alzò in piedi e si trovò davanti Cleopas.
"Io posso aiutarti" le disse "ma tu dovrai darmi il bracciale."
"Prima dimmi cosa devo fare e poi eventualmente, se sono soddisfatta dalla tua risposta, ti darò il bracciale" ribatté cautamente la guerriera.
"Stai tranquilla ragazzina, sto per proporti un accordo molto vantaggioso per entrambi" Pirenea rimase in silenzio, aspettando il seguito "ci sono solo due modi per risolvere il tuo problema d'amore perduto: il primo è quello di uccidere il tuo amato con la stessa spada che contiene il tuo amore, così facendo libererai il sentimento imprigionato al suo interno; immagino che quest'opzione non ti convinca, ecco perché penso che la seconda possa rivelarsi migliore..."
"Continua stregone" gli disse lei.
"Dobbiamo andare alla ricercare della fonte del desiderio, una leggendaria fonte perduta sulle lontane montagne del Nord, dove ogni desiderio può diventare realtà."
"Ho capito bene, hai detto che dobbiamo andarci? Nel senso che verresti con me?" domandò Pirenea, che dopo l'avventura recentemente vissuta non osava più dubitare dell'esistenza di cose soprannaturali come la fonte del desiderio.
"Certamente" rispose Cleopas "all'incirca trenta giorni fa ho rubato un bracciale magico al popolo dei Pigmei con l'intenzione di mettermi alla ricerca della fonte e fare un potente incantesimo mischiando queste due magie."
"Ma perché mi vuoi tra i piedi? Pensavo che fossi uno stregone solitario" disse Pirenea, con cauto scetticismo.
"Lo sono infatti, ma ti ho vista combattere e non più tardi di questa notte ti sei fiondata a salvarmi la vita mentre un nano stava per pugnalarmi alle spalle quando avresti benissimo potuto lasciarlo fare visto l'odio che ti sforzi di provare nei miei confronti. Questo fa di te l'unica persona al mondo di cui io possa realmente fidarmi... o almeno credo."
"La scarsa fiducia che riponi in chi ti sta intorno mi spiazza" commentò Pirenea "però non riuscirei mai a trovare la fonte senza il tuo aiuto quindi accetto la proposta, ma prima di partire devo salutare due amici."
Pirenea andò da Ambrosio, che aveva ancora la lira in mano e Neofante, spiegò loro che doveva partire per una missione e li salutò come fossero vecchie conoscenze (quando l'uno l'aveva conosciuto solo due giorni prima e l'altro la notte stessa). Non c'è di cui stupirsi di questo comportamento, perché immagino che combattere fianco a fianco in una battaglia crei questo tipo di legame tra le persone. E con questa ultima nota in favore dei nostri eroi, si può dire chiusa quella che negli anni venne ricordata dai cittadini del regno di Plantea come la notte del massacro dei lupi.

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