25, Perché ti amo, razza di idiota

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Martedì 19 aprile 2022, ore 3:56, Lewes, St. Mary Jane, stanza di Harry e Louis.

Sbatté le ciglia sugli occhi torbidi, liquidi di sonno. Da una zona indistinguibile della camera si sparse il brusio acconciato da un paio di voci.

Allungò il braccio verso sinistra, imbattendosi in nient'altro che la frescura delle lenzuola deserte.

Justin non era al suo canto.

Pochi attimi più tardi, la porta fu svincolata dalla serratura e nell'ambiente trapelò una coda di luce fredda che scomparve quasi all'istante.

Si udì il tonfo di due scarpe scagliate contro il pavimento. Una metà del materasso si appesantì, deformata da una nuova presenza.

Le narici rilevarono un profumo mielato, mite, però ricco.

Si sentiva odore di lavanda.

«Lou?» rischiò mediante una voce rauca, fievole.

«Sono io» confermò quello, coricandosi su un fianco.

Non aggiunse nulla, non una parola, e neppure si cimentò in una manovra di riconciliazione.

Harry si avventurò a cercarlo, districandosi nel buio massiccio da cui era sommerso. Rasentò una sua spalla. Louis non si mosse.

«Non era in programma che James venisse a trovarmi... è stata solo una coincidenza» si giustificò, benché l'altro non avesse richiesto nessuna spiegazione.

«Va bene» si limitò a rispondere con tono frettoloso.

«Sei arrabbiato con me?»

«Sì» non esitò ad ammettere il ragazzo.

«Perché sei tornato allora?»

«Perché ti amo, razza di idiota» sbottò il marito, contorcendosi sul posto. «E poi perché Niall russa come un fottuto trattore. Accidenti a lui, non ho chiuso occhio».

Malgrado la criticità della situazione, Harry non poté eludere una risata.

Lo amava proprio tanto, tantissimo. Ammirava quella sua capacità di sfoderare umorismo a dispetto del proprio umore nero, e si sentiva uno stupido per averglielo rinfacciato, qualche ora prima.

Certe volte lasciava che la frustrazione prendesse il sopravvento. Non ne andava fiero, ma non sapeva come contrastare l'impulso di arrendersi alla futilità della propria sorte.

«Lou, mi dispiace» sussurrò, traslocando con i polpastrelli avanti e indietro sul suo bicipite.

Non fu immediato ricavare un'interazione. Louis si prese del tempo, come se avesse bisogno di riflettere.

E la domanda che scelse di porgli, alla fine, per Harry fu rovinosa quanto una pugnalata al petto: «Ti scoccia che io parli di Jaime?»

«No!» si affrettò a giurare. «No Louis, ti prego, non pensare a nulla del genere».

«Però mi hai mandato a fanculo, prima, quando ho accennato a lui» considerò il ragazzo.

«Lo so, ma... Jaime non c'entra» s'impegnò a chiarire. «E' che sono stanco di vegetare tra queste pareti, di avvertire prurito dentro alle ingessature, di non poter toccarti come vorrei. Sono sfinito perché è come se la mia vita fosse in pausa e non riuscissi a trovarvi un senso. Tutto questo mi rende irascibile e brutale. Non è colpa tua, né tantomeno lo è di Jaime... è colpa mia».

Louis fece un respiro profondo e si schiarì la gola. Strisciò sul materasso, accostandosi a lui, e spostò le sue dita ancora incollate al proprio braccio, scortandole fino alle labbra.

Stampò baci morbidi sulle nocche, una per volta. Il suo fiato era umido, caldo, avvolgente, e scatenò un brivido violento, sfrenato.

Harry chiuse gli occhi, assaporando la percezione di comprensione e benessere elargita da quel gesto piccolo, eppure immenso.

«Ti capisco, per quanto riguarda il prurito» mormorò l'altro.

«Sì?»

«Mh-mh» mugolò. «A tredici anni sono ruzzolato giù da una collina mentre pattinavo. Ho avuto la gamba ingessata per due mesi e mezzo».

«E hai avuto il coraggio di prendermi in giro per la mia caduta, la scorsa estate!» biasimò, esterrefatto.

Anche se coperto da quel manto di ombra folta, fasciante, Harry scorse il suo adorabile, strabiliante sorriso.

«Darti il tormento è uno dei miei compiti più impegnativi, Scheggia» commentò, ridendo sommessamente.

«Stronzo» lo accusò, flettendo le dita per appigliarsi alle sue.

Louis proseguì ad avvicinarglisi, tratteggiando un sentiero di baci soffici sulla sua clavicola, sul collo, sulla mandibola. Poi sulle labbra.

«Mi manca così tanto fare l'amore con te Harry» ansimò, intrecciando la mano libera ai suoi capelli, per poi ricominciare a baciarlo.

Stava tremando. Louis tremava e gemeva nella sua bocca, agitandosi sul letto.

Scostò la testa, sfregando contro le sue le labbra gonfie, madide di saliva.

Harry respirava a malapena. Bramava di spogliarsi e consegnarsi a lui, sdraiarsi sul suo corpo nudo, percepire la sua carne rovente sbattere contro la propria, più di ogni altra cosa al mondo.

Invece quello fece scivolare la bocca sopra il suo orecchio e bisbigliò, mordicchiandogli il lobo: «Se racconti a qualcuno della caduta sui rollerblade ti ammazzo, Scheggia. Mi hai capito? Ti faccio fuori. Nessuna indulgenza».

Da quelle parole germogliò la risata più genuina, spontanea, musicale, che potessero mai condividere.

E all'acquietarsi pigro di quel ridere, si addormentarono attorcigliati uno all'altro: Louis con la guancia premuta contro il suo cuore, Harry con lo zigomo poggiato sulla sua mente.

St. Mary Jane - The summer experience (PARTE 3) [Larry Stylinson]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora