«Fa un sacco di luce questa abatjour.» Cameron parlò senza muoversi di un solo millimetro dal cornicione. La spalla poggiata allo stipite, il viso che accompagnava i suoi occhi, sollevandosi e inclinandosi per osservare ogni angolo di quella stanza. «Non vedevo la tua camera così disordinata dai tempi del trasloco.»
«Questo perché non hai mai assistito alla preparazione per la California. Di solito è messa anche peggio.»
«La mia lo è sicuramente», commentò.
«Sarò felicissima di non esserci quando tua madre inizierà a urlare per tutta la casa.» Lo osservai di sottecchi mentre il suo sguardo virava dai vestiti poggiati sopra lo schienale della sedia alla valigia ancora aperta in prossimità dall'armadio.
Non indossava più né i jeans né il maglioncino; quegli indumenti erano stati sostituiti da una t-shirt dell'hard rock, troppo leggera persino per una casa riscaldata dei termosifoni, e da un paio di pantaloni in tuta.
«Lo ha già fatto stamattina. Comunque ho riattivato l'allarme. Sai, a causa delle donne della notte...»
Risi in modo flebile, scuotendo appena il capo. E poi la vidi, riposta sulla scrivania a pochissimi centimetri da Cameron: la busta rossa contenente la divisa da chef.
Mi paralizzai per una manciata di secondi. Curioso com'era, se l'avesse notata probabilmente si sarebbe avvicinato a sbirciare. Quindi mi alzai lentamente. Raccolsi il tubino dalla sedia e impugnai i manici del sacchetto, dirigendomi verso il guardaroba.
I suoi occhi mi si piantarono addosso. «Hai deciso di mettere a posto a quest'ora?»
«No», aprii una delle ante e nascosi la busta in basso. «Tolgo solo le cose che non mi servono.» Afferrai una gruccia vuota, appendendo il vestito dai laccetti interni.
«Alla fine sei riuscita a sfruttarlo per andare a una festa.»
Mi girai fin troppo velocemente, e dalla sua espressione mi fu chiaro che se avesse potuto rimangiarsi quell'ultima affermazione, l'avrebbe fatto all'istante. Perché in quella frase c'era la ragione per cui, a casa di Brad, mi aveva fissata in quel modo, e io quasi non respirai nel rendermene conto.
Aveva riconosciuto il mio vestito, lo stesso che avevo indossato al drive in. Lo stesso che aveva sfilato via con le sue stesse mani.
«Vero», mormorai, sbrigandomi a sistemarlo nella barra appendiabiti.
«Ti sei divertita?»
Inclinai il capo. «Mi sono divertita di più alla festa di Tyler. Quelle di Brad sono troppo caotiche. Però ci teneva, e anch'io.» Certo, avevo avuto bisogno di una bella spinta, ma dicevo la verità. «Tu?»
Annuì. «Quando ve ne siete andate abbiamo giocato a beer pong, Tyler si è versato la birra addosso. È stata la parte più divertente di tutta la serata.»
«Che fine ha fatto il cartellone?» Mi avvicinai al letto e scostai le coperte, poggiandomi contro la testiera. «Non lo vedo da un po'.»
«Jennifer gli ha rovesciato sopra una bottiglia di gin. Era impossibile da recuperare.» Storse le labbra in una smorfia. Non saprei dire se per il fatto di aver pronunciato quel nome o per il fastidio di aver perso un gioco che aveva creato insieme al suo migliore amico.
«Mi dispiace», sussurrai. «Le avete più parlato?»
Abbassò lo sguardo sulle sue mani e scosse la testa. «No, Charlie. Meno la vedo e meglio è.»
I miei sentimenti nei confronti di quella ragazza erano uguali ai suoi, quindi rimasi in silenzio. Non proferii una sola sillaba finché non allontanò la spalla dalla porta, senza accennare a entrare. «Rimani lì?»
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Under the same roof
Teen FictionCharlotte Reed, trasparente come l'acqua cristallina e drammatica come un'attrice di teatro, non è assolutamente pronta ai cambiamenti che le si paleseranno nel mezzo dei suoi diciassette anni. In particolar modo, non è preparata alla proposta di su...