In vista della partita, il Preside Wilson aveva organizzato una riunione in palestra. Ci teneva così tanto a fare una buona impressione con la scuola avversaria, da aver speso la prima mezz'ora a parlare di educazione e rispetto.
Probabilmente, perché l'ultima volta in cui avevamo ospitato una squadra nel nostro campo, perdendo schifosamente, non era andata per niente bene.
Nonostante le sue buone intenzioni, però, la Mitchell non sembrava affatto entusiasta dell'iniziativa. L'aveva definita: un'inutile perdita di tempo, prezioso e irrecuperabile.
Non sopportava l'idea che si parlasse così tanto di una partita, solo perché giocata in casa, anziché di arte pura. Di un progetto che avrebbe dato dei riconoscimenti alla scuola. Non aveva tutti i torti ma erano i modi, l'atteggiamento di superiorità rispetto a tutti, colleghi compresi, che soffocavano la parte di ragione e portavano in superficie tutt'altro.
Ogni tanto lo sguardo mi cadeva sulla sua figura. Se ne stava in piedi, nel cerchio di centro, con l'espressione torva, pulendo i suoi occhiali senza neppure fingere d'interessarsi.
In fin dei conti, per lei, il preside Wilson, non era altro che un grandissimo incompetente. Lo aveva detto a più riprese, senza mezzi termini, elencando persino i motivi che la spingevano a pensare tale cattiveria. Uno di questi, citato proprio quella mattina, apparteneva alla sua inesistente capacità di punire gli alunni. Dal modo in cui mi aveva guardata sputando tale sentenza, ero convinta che il riferimento alla giornata della vernice fosse sott'inteso.
Sentii dei colpetti alla spalla e mi girai.
Brad si sporse in avanti con il busto, mettendosi in mezzo tra me e la mia amica. Ci piazzò le sue braccia sulle spalle, prendendosi una confidenza che nessuna delle due gli aveva dato. Soprattutto Jessica, che lo teneva a debita distanza da quando, una mattina, aveva iniziato a provarci con lei.
«Stasera si festeggia la vittoria a casa mia. Siete invitate, ovviamente.»
Rivolsi a Jessica uno sguardo complice, poi posai gli occhi su Brad. «E come sai che vincerete?»
«Scherzi, vero? È la Hollins! Vincerebbero pure dei bambini contro di loro.»
Jessica gli poggiò una mano sul petto e lo spinse indietro, rimettendolo a suo posto. «C'è un po' di presunzione in questa frase.»
«Stasera mi darete ragione. Allora, vi posso contare?»
Scossi la testa. «Io ho già un impegno.»
Il viso di Jessica scattò verso il mio. Mi rivolse una domanda muta, a cui risposi muovendo soltanto le labbra: «Simon.»
Era tornato a scuola dopo giorni d'assenza, e voleva vedermi.
Lei mi osservò con sospetto. Non lo disse apertamente, ma il fatto che non avessi condiviso con lei quell'informazione non le tornava per niente.
«Allora non ci sarò neppure io» comunicò a Brad.
Lui si corrucciò, e mi scappò un sorriso di fronte a quell'espressione. Brad poteva essere il tipo di tantissime ragazze, ma non lo era di Jessica.
«Martin» Brad bisbigliò quel cognome, facendomi girare dalla sua parte. «Mi servono rinforzi per convincere la tua amica.»
Cameron aggrottò le sopracciglia. Scese un gradino, chiedendo scusa alle persone che aveva davanti e si sedette accanto a Brad. «Che ti serve?»
Quest'ultimo indicò la ragazza al mio fianco con un cenno del capo. «Non vuole venire alla festa.»
«Certo che verrà.» Le poggiò la mani sulle spalle e la tirò indietro, verso di sé, abbracciandola. «Dico bene, Mills?»
Lei lo implorò con lo sguardo, ma alla fine disse di sì.
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Under the same roof
Novela JuvenilCharlotte Reed, trasparente come l'acqua cristallina e drammatica come un'attrice di teatro, non è assolutamente pronta ai cambiamenti che le si paleseranno nel mezzo dei suoi diciassette anni. In particolar modo, non è preparata alla proposta di su...