Esisteva un filo sottilissimo tra fare la scelta giusta ed essere felici di averla fatta.
E io, felice, non lo ero per niente.
Da una parte, l'aver accettato di lasciare la mia casa, per dare a mio padre la possibilità di vivere con Jane mi faceva sentire eticamente bene; dall'altra, il solo pensiero di dovermi trasferire mi aveva rubato il sonno.
Ed era per quello che il mio lunedì era partito nel peggiore dei modi. Solo che non era l'unico motivo.
Non appena spinsi la porta-finestra della caffetteria, un delicato tintinnio causato da diversi piccoli campanelli, annunciò la mia presenza all'interno del locale, facendo voltare non solo la signora Smith ma anche la ragazza con cui stava chiacchierando davanti ai divanetti in pelle bordeaux.
Alla mia vista, il sorriso che Jessica aveva rivolto alla responsabile di quel luogo si strinse immediatamente in uno scontro di labbra serrate, accompagnato da uno sguardo talmente truce che, per un momento, ebbi l'impulso di chiamare mio padre e pregarlo di tornare indietro a prendermi.
Ciononostante alzai le mani e le mostrai i palmi, avvicinandomi lentamente, con la speranza che decidesse di non maltrattarmi per i trenta messaggi carichi di disperazione che le avevo inviato durante la notte.
«Vengo in pace!» Mi sedetti con un sorriso da finta innocente stampato sul viso. «Vorrei salutarla con un buongiorno, signora Smith, ma di buono in questa giornata non c'è un bel niente.»
«Ottimista come sempre», mormorò Jessica.
La signora Smith scosse la testa e ridacchiò come se il mio cattivo umore e l'ironia della mia amica fossero la sua combo preferita. «Un brownie al cioccolato e un mocaccino potrebbero aiutare entrambe?»
«Sì!» Congiunsi le mani in una preghiera. «Assolutamente sì.»
«Allora torno subito.»
Un odore intenso di burro invase la sala, facendomi voltare la testa verso il bancone nell'esatto momento in cui un addetto alla cucina posizionava un vassoio con i croissant all'interno della vetrina.
Quella scena mi fece rendere conto di quanto presto fossimo arrivate in caffetteria. Di solito non riuscivamo a trovare più di quello che la signora Smith, affezionatasi a noi, ci metteva da parte. Brownie al caramello. Sempre.
Invece, quella mattina, a differenza dei tavoli quasi vuoti, il banco era colmo di cibo dolce e salato.
«Dovremmo farlo ogni mattina», dissi, tornando a guardare Jessica. «Intendo alzarci presto e venire qua quando non c'è ancora nessuno.»
«O magari anche no?»
Mi imbronciai. «Non vuoi proprio fare niente per me.»
«Proprio niente. Infatti, non mi sono svegliata all'alba solo per essere qui alle 6:45 a parlare con te della tua famiglia allargata.»
«Ti prego», arricciai il naso. «Non dire...» L'aroma di caffè mi solleticò le narici prima ancora che il bicchiere mi fosse posto davanti. «Grazie» dissi in contemporanea di Jessica. Poi, una volta rimaste sole, ripresi il filo di una frase che mi metteva i brividi solo a pronunciarla. «Non dire famiglia allargata in quel modo.»
Jessica portò la bevanda alle labbra e deglutì un sorso. «Quale modo?»
Mi strinsi nelle spalle. «Come se fosse normale.»
«E non lo è?» Inclinò il capo di fronte alla mia espressione contrariata. «Andiamo, Charlotte, se ti fermi a riflettere era proprio scontato che prima o poi sarebbe accaduto. E poi non ho mai pensato che tuo padre e Jane avrebbero vissuto per sempre in case separate, e neppure tu.»
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Under the same roof
Teen FictionCharlotte Reed, trasparente come l'acqua cristallina e drammatica come un'attrice di teatro, non è assolutamente pronta ai cambiamenti che le si paleseranno nel mezzo dei suoi diciassette anni. In particolar modo, non è preparata alla proposta di su...